La prova del fuocoLa Sicilia brucia, tra risorse mal distribuite e conflitti di interesse

Nel 2022 l’isola ha registrato da sola la metà degli incendi di tutta Italia, con oltre trentacinquemila ettari arsi. Nonostante i tentativi di prevenzione, la situazione rimane critica anche quest’anno, con un’amministrazione che non riesce ancora a sfruttare in modo efficace i suoi strumenti e le idee

Lapresse

Cominciamo dai dati. Estate 2022: in Italia è stata interessata dagli incendi una porzione di territorio di 78.500 ettari, dice l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. È un’estensione quasi uguale a quella del Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Oltre metà di questo territorio bruciato, trentacinquemila ettari, è in Sicilia, che è anche la Regione italiana che ha subito più danni in termini di superficie bruciata forestale. Tra gli incendi più devastanti, quello che ha colpito la provincia di Enna, con novecento ettari di pineta in fumo, e quello che ha riguardato, in provincia di Trapani, il secolare bosco Scorace.

È anche per questo che, tutto l’inverno, non sono mancate le riunioni, i tavoli tecnici, i protocolli, alla Regione Siciliana, per cercare di organizzarsi al meglio nella prevenzione degli incendi per la stagione estiva 2023. Salvo poi correre il rischio di trovarsi impreparati.

Le prime avvisaglie sono state registrate in questi giorni. E con l’arrivo del gran caldo, unito allo scirocco, c’è da aspettarsi un copione già visto: le fiamme, l’allarme, i volontari, i Canadair, le riserve naturali che bruciano, la conta dei danni, polemiche e sospetti, riunioni, impegni. Per poi ricominciare. Un altro incendio, e via. Il tutto condito da un clima di sospetto. Sono gli operai dell’azienda forestale, lo fanno per essere chiamati e lavorare di più, così prendono anche l’indennità. No, è la famigerata mafia dei pascoli. No, sono i piromani. No, sono criminali al servizio di chi ha intenzione di desertificare il paesaggio, per dare il via a nuove speculazioni edilizie.

Negli anni, la Regione Sicilia ha tentato di tutto per cercare di contrastare gli incendi. Ma senza alcun esito. L’ex presidente Musumeci fece anche uno spot in tv, per invitare tutti a collaborare.  Poi sono state provate le ronde di volontari per pattugliare boschi e riserve, le “sentinelle del fuoco”, come furono ribattezzate.  Idea flop, nessuno ha partecipato. Si è passati all’acquisto di telecamere a infrarossi da venticinquemila euro l’una, ma ci sono problemi enormi di installazione e manutenzione.

A medio e lungo termine, l’impatto degli incendi è devastante. Perché portano al disboscamento.  E al disboscamento seguono le frane. Lo sanno bene gli abitanti di Makari, frazione di San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, diventata famosa per l’omonima serie tv sulla Rai. A casa loro c’è il rischio che oggi entri, letteralmente, la montagna. Dopo i devastanti incendi degli anni passati, infatti, Makari sta lentamente franando. Che fare? L’anno scorso, di fronte alle proteste degli abitanti, agli appelli alla Protezione Civile, con petizioni e sit in, e persino un’interrogazione in parlamento tutto fu risolto… con un cartello collocato proprio all’ingresso della strada principale del paese.  Invitava i residenti a «non dormire in camere da letto rivolte verso la montagna». E di correre a valle «nel caso di un rumore violento proveniente da monte».

A cercare di fare luce su quello che accade in Sicilia è il comitato “Salviamo i boschi”, che dal 2017 si batte per la tutela del territorio.  Ha avviato delle indagini, incrociando fonti, chiedendo documenti, facendo accesso agli atti, raccogliendo in giro testimonianze, filmati, foto. Scoprendo cose interessanti. Per esempio sui forestali, cioè i dipendenti dell’Azienda regionale delle foreste demaniali e del Corpo Forestale della Regione.

Innanzitutto, sono distribuiti male –alcune zone sono proprio scoperte, guarda caso quelle con gli incendi più gravi. E poi il quaranta per cento di coloro che, sulla carta, dovrebbero essere addetti al servizio antincendio, dichiara patologie mediche che rendono necessario spostarli ad altri incarichi (ufficio, sala radio, meccanici) senza essere sostituiti.  L’età media degli autisti, inoltre, è di cinquantanove anni. Guidano mezzi vecchi, che di inverno rimangono nell’autoparco all’aperto, senza manutenzione, fino all’estate successiva. Ancora: le torrette di avvistamento non sono curate, alcune sono addirittura inagibili. Molti sindaci tardano con le ordinanze per la pulizia delle aree, e i primi terreni incolti, dove nascono incendi devastanti, spesso sono di proprietà comunale.

Per non parlare del grande affare dei Canadair.  A ogni richiesta di intervento (anche nel caso dovesse andare a vuoto) la ditta proprietaria riceve un rimborso di diecimila euro, mentre i lanci sono pagati milletrecento euro.  Il pagamento può avvenire anche a ore: quindicimila euro l’ora. La spesa media annua per lo spegnimento aereo degli incendi in Sicilia è trenta milioni. Ma perché rivolgersi ai privati? Perché i Vigili del Fuoco hanno i mezzi (la flotta nazionale comprende nove Canadair), ma non ha né le strutture logistiche né i piloti abilitati. E così si ricorre, a caro prezzo, ai privati.

Chissà cosa ci aspetta questa estate. Con il governo Schifani, all’assessorato Territorio e Ambiente, è stata chiamata Elena Pagana. Breve storia: Pagana è eletta deputata regionale nel 2018 con i Cinque Stelle. Si innamora, ricambiata, dell’allora assessore regionale alla sanità e pupillo di Nello Musumeci, Ruggero Razza. I due si sposano, hanno anche una bambina. Pagana lascia i Cinque Stelle. Si ricandida con Fratelli d’Italia come deputata, a Settembre del 2022. Perde. Viene “ripescata” come assessora all’ambiente. Voilà. In occasione dei primi piccoli incendi di stagione dichiara che «il sistema di prevenzione ha funzionato bene».

Eppure, le idee, e le risorse non mancano. Anziché utilizzare “armi spuntate”, potrebbero essere adoperate le nuove tecnologie. C’è chi, come i Cinque Stelle, propone una rete di sensori nei boschi, per rilevare precocemente i gas della combustione. Hanno presentato un disegno di legge all’Assemblea Regionale Siciliana.  Nel frattempo, sono arrivati rinforzi dal Piemonte. Tre missioni del Corpo AIB (Antincendi Boschivi) piemontese sono in programma quest’anno. Attualmente, la prima missione è in corso proprio in Sicilia fino al 30 luglio, con una colonna mobile composta da quattordici volontari, coordinati da un responsabile e dotati di quattro mezzi pick-up operativi e due mezzi logistici. La colonna si trova a Sant’Agata di Militello e lavora principalmente nella provincia di Messina. Fino a pochi giorni fa, invece, c’erano i rinforzi dalla Lombardia, con una squadra di nove persone, cinque uomini e tre donne, provenienti dal Parco del Ticino con due automezzi attrezzati per l’antincendio boschivo e un pulmino, per collaborare nella prevenzione degli incendi nelle Madonie. In tempi di autonomia differenziata, questa solidarietà tra Regioni sembra quasi demodè.

L’ultima idea è quella dell’occhio virtuale, vale a dire telecamere e droni che segnalano in tempo reale ciò che accade nel territorio. Un sistema che ormai, con il costo della tecnologia, è economico, anche se serve comunque il personale che i droni riesca a guidarli, è chiaro. Ma l’iniziativa non andrà a regime. Contro, infatti, si muove la potente lobby dei cacciatori. «Noi siamo i primi amanti dell’ambiente – protestano le associazioni delle doppiette – ma l’occhio virtuale proprio non lo vogliamo». Perché? «Viola la nostra privacy», rispondono.

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