Good Morning, VilniusIl ritorno della centralità della Nato e le ragioni della difficile adesione dell’Ucraina

I membri sono divisi sulle condizioni che Kyiv dovrebbe soddisfare per entrare nell’Organizzazione. Ma nonostante la narrazione di un Occidente in crisi, la determinazione di Zelensky dimostra che la politica delle porte aperte è ancora l’unica a permettere allargamenti davvero pacifici

Lapresse

Prima di invadere l’Ucraina, la Russia condannava l’allargamento a est della Nato lamentandosi di sentirsi «accerchiata» e «minacciata», accusando l’Europa di essere al servizio del disegno imperialista degli Stati Uniti. La prima volta che Vladimir Putin usò pubblicamente questo argomento fu nel suo discorso alla Conferenza di Monaco del 2007, un manifesto della nuova politica estera russa che il Cremlino iniziò presto a mettere in pratica con l’invasione della Georgia nel 2008 e successivamente con l’annessione unilaterale della Crimea e la destabilizzazione del Donbass nel 2014. Da quel momento in poi il racconto di un allargamento della Nato ostile alla Russia e il rifiuto dell’idea del mondo unipolare è stato diffuso tra le opinioni pubbliche europee in un modo sempre più pervasivo. Ha trovato nel malessere della crisi dell’Eurozona, nell’orizzontalità dei social e nell’ascesa dei partiti populisti un terreno estremamente fertile per radicarsi ben oltre la realtà limitata dei movimenti antagonisti del mondo complottista.

Con l’ordine di invadere dell’Ucraina, Putin ha trasformato quella retorica in una profezia autoavverante, spingendo nell’Organizzazione del Trattato due Paesi che, pur essendo inequivocabilmente occidentali, facevano vanto della loro neutralità. Dopo l’adesione ad aprile della Finlandia, e con l’imminente ingresso della Svezia, la Nato ora avrà un’ulteriore influenza su due quadranti strategici fondamentali della geopolitica russa: il Mar Baltico e l’Artico, che presto avrà membri dell’alleanza atlantica sette nazioni su otto del Consiglio Artico.

La guerra in Ucraina ha rivitalizzato quella che ormai era quasi un’alleanza dormiente, spingendo il presidente francese Emmanuel Macron a dire che Putin «ha risvegliato la Nato con l’elettroshock», neanche tre anni dopo aver affermato che l’alleanza era in uno stato di «morte celebrale». E il cancelliere tedesco socialista Olaf Scholz ad annunciare il più grande stanziamento di spesa militare della Germania dopo decenni di tagli e sottoinvestimenti. La Zeitenwende, l’hanno definita i tedeschi, ovvero «una svolta epocale».

Il vertice di Vilnius ha riaffermato questa svolta. Pur non avendo dato a Volodymir Zelensky il percorso di adesione con le tempistiche che desiderava, la Nato gli ha dimostrato di essere sempre più unita nel sostegno a Kyjiv. E questo nonostante le diversità all’interno di un’alleanza che va dal Mediterraneo orientale al circolo polare Artico e che ormai si appresta a integrare il suo trentaduesimo membro.

Alcuni Paesi sono riluttanti. Oltre all’attivazione dell’Articolo cinque e di conseguenza l’entrata in guerra con la Russia, temono che la promessa di un’adesione quasi automatica potrebbe dare a Putin un incentivo sia per intensificare sia per trascinare a oltranza la guerra.

Il Regno Unito vuole che il percorso di adesione sia accelerato. Altri alleati – tra cui gli Stati Uniti e la Germania – sono più cauti. Vorrebbero, infatti, che Kyjiv affronti meglio i suoi problemi di corruzione, rafforzi la magistratura, e garantisca il pieno controllo civile sui militari. I Paesi baltici e le nazioni dell’Europa orientale (tranne l’Ungheria) preferirebbero, invece, che l’alleanza chiarisca con più precisione quali sono le condizioni da soddisfare.

Inoltre, un ingresso dell’Ucraina della Nato richiederebbe la ratifica di più di trenta parlamenti, e basterebbe un solo Paese a tenere in stallo il processo. Proprio perché la realtà dell’alleanza non è quella descritta nella propaganda filorussa, l’adesione alla Nato non è l’imposizione autoritaria di una potenza sulle altre ma un processo democratico e multilaterale tra nazioni alleate.

Vista la delicatezza delle questioni aperte, se si forzasse la mano, non è detto che andrebbe tutto liscio nemmeno a Washington. Tra i Democratici c’è un consenso generale per il massimo sostegno all’Ucraina. Questo anche perché Joe Biden e la sua amministrazione sono sempre stati molto chiari nel sottolineare che gli Stati Uniti non vogliono entrare in guerra con la Russia e che nessun soldato americano sarà inviato a combattere in Ucraina.

Anche i Repubblicani con il tempo hanno ammorbidito la loro opposizione all’invio di armi e allo stanziamento di fondi gli aiuti a Kyjiv. Secondo i sondaggi del Pew Resercher Center, YouGov e Reuters-Ipsos, oggi gli elettori Repubblicani sono quasi spaccati a metà sull’idea di sostenere un candidato presidenziale schierato dalla parte del sostegno all’Ucraina, con una tendenza che dopo la ribellione della Wagner è diventata più favorevole per Kyjiv. Dopo il summit di Vilnius quindi non è chiaro come e quando l’Ucraina aderirà alla Nato. La determinazione di Kyjiv di entrarne a far parte nonostante il sostegno ricevuto dimostra, però, una realtà fondamentale.

Come ha spiegato il politologo Hal Brands in un editoriale su Bloomberg, mentre la Russia e la Cina usano la forza e la coercizione economica per portare altre nazioni nella loro sfera d’influenza, gli Stati Uniti fanno l’opposto. Si trovano spesso, infatti, nella posizione di dover respingere e moderare le pressioni dei Paesi che vogliono entrare a far parte a pieno titolo dei loro sistemi di alleanze.

La guerra in Ucraina ha reso più evidente che c’è una differenza sostanziale tra gli Stati Uniti e le potenze rivali che propongono un mondo alternativo. Al contrario di quanto affermano i realisti della geopolitica, le grandi potenze, o gli imperi, non sono fondamentalmente tutti uguali nella loro ricerca di potenza e grandezza sulla scena internazionale. Per tanti Paesi in cima alla lista delle mire egemoniche delle autocrazie – come l’Ucraina – è estremamente chiara la differenza tra far parte della sfera d’influenza occidentale e far parte di quella dei suoi avversari. Significa scegliere tra libertà e dittatura, tra lo sviluppo economico e il sottosviluppo e, a volte, tra la vita e la morte. È per questo che la Nato non accetta che venga messa in discussione la politica delle porte aperte, l’unica che prevede allargamenti, davvero, pacifici.

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