La rottura tra i partiti di Carlo Calenda e di Matteo Renzi è ormai solo da formalizzare e ci si può già chiedere quali conseguenze potrà portare a medio termine. Il Terzo Polo in realtà era morto da mesi, per l’esattezza da aprile quando Azione e Italia viva non riuscirono a concordare uno straccio di iter congressuale. Solo che non si erano celebrati i funerali. Da allora è stato tutto un tira e molla, un volare di stracci, un tintinnare di sciabole più che di fioretti fino alla rottura finale in atto da quarantotto ore.
Questa novità potrebbe dare una imprevista e clamorosa spinta a un ritrovato bipolarismo per quanto sempre incerto e malfermo. Vedremo se i due ex alleati rimarranno fedeli al proposito di costituire un’alternativa al bipolarismo, prospettiva adesso molto più complicata, o se verranno in un modo o nell’altro attratti nell’orbita dei due poli, cioè in quella del Partito democratico (in teoria, Azione e Più Europa) o, con meno probabilità, in quella di Forza Italia (in teoria, Italia viva): è un’ipotesi, non una certezza.
Dipenderà non solo da quello che Calenda e Renzi vorranno fare da grandi, ma soprattutto dalla capacità degli altri di attirarli in un nuovo schema di gioco. Se cioè Elly Schlein sarà brava potrà occupare lei quello spazio centrale, moderato e riformista che Calenda e Renzi non riescono a coltivare.
Il Pd, in altre parole, dovrebbe cercare di svincolarsi da quella immagine (ma è una questione di sostanza) di partito radicale di massa all’americana per tornare all’idea di un soggetto unitario di centrosinistra attento alle ragioni dell’Italia che si oppone alla destra meloniana ma non vuole cadere nell’antagonismo, nella testimonianza del disagio sociale e men che meno nel populismo: un Pd, dunque, che proprio per questo prende definitivamente le distanze da Giuseppe Conte.
In verità, sinora Schlein è andata in direzione opposta, quasi sovrapponendo il suo Pd al Movimento 5 stelle, e dovrebbe chiedersi se il fatto di restare bloccata nei sondaggi al venti per cento non sia l’effetto di questo posizionamento. L’ambizione di parlare a un centro oggi ferito dalla implosione del Terzo polo non può essere delegato ai riformisti del Pd, tra l’altro sempre più evanescenti, ma dovrebbe essere un compito della segretaria in prima persona: ne sarà capace?
Si convincerà della necessità di dare una sterzata alla linea “americana” soprattutto (non è in gioco di parole) in vista delle Europee dove il Pd potrebbe mettere in campo liste in qualche modo aperte ad altri soggetti politici (l’esempio più facile è quello di Più Europa), a personalità di area laica, socialista e riformista, finanche accettando la contraddizione di eleggere eurodeputati che dopo il voto potrebbero andare in altri gruppi del Parlamento europeo? Con liste aperte a posizioni riformiste, socialiste e liberali il Pd potrebbe puntare a superare nettamente il discreto risultato delle Europee del 2019 (22,7 per cento) sotto il quale la segreteria Schlein traballerebbe.
Si aprono dunque spazi nuovi nel centrosinistra. Il Pd potrebbe ritrovare quella forza che negli ultimi anni ha perduto se si decidesse a mollare Conte al suo destino e a rivedere la sua piattaforma in senso più riformista aggregando forza oggi disperse. Altrimenti lunga vita a Giorgia Meloni.