Import-export d’antanGli italiani e la passione sconfinata per le bollicine

A ritroso nei secoli per scoprire quando i nostri connazionali hanno iniziato a consumare, e quindi acquistare, uno degli Champagne più noti al mondo

Bere Champagne non è mai stato così facile. Vista l’incredibile proliferazione di enoteche selezionate, negozi e bistrot in cui assaggiare e acquistare e un settore enologico nel pieno della produzione, ora bersi un calice di Champagne non è più così insolito. Sempre più produzioni escono sul mercato a un prezzo interessante anche per il consumatore medio – fino ad oggi fedele alla bollicina italiana – sdoganando in parte l’allure intorno al prodotto francese.

Andando a ripercorrere tratti di storia, in realtà scopriamo che nel 1772 nel libro ordini della Maison Veuve Clicquot comparve per la prima volta il nome di Venezia. Proprio qui Gio anto Benintendi si fece spedire una cassa con sessanta bottiglie di Champagne aprendo in qualche modo la via all’azienda per farsi conoscere e approdare in modo più consistente sul territorio nazionale, esplorando diverse città in spedizioni di ricognizione e imparando a conoscerne meglio dinamiche e abitudini. Le guerre napoleoniche di quegli anni non facilitarono certo il lavoro e la consegna del vino risultava essere macchinosa e lunga.

Le vendite di Champagne aumentarono solo gradualmente fino al 1805, quando Napoleone divenne re d’Italia. Da qui si vide un calo netto degli scambi commerciali dovuto anche al blocco tecnico degli inglesi su Capri, i quali impedirono lo scarico merci al porto di Napoli. La capitale partenopea all’epoca era una metropoli molto estesa, con circa 500.000 abitanti, uscita meno acciaccata dalle guerre di indipendenza rispetto a tante città del Nord, ma in ogni caso con un mercato ancora instabile per questa tipologia di vino.

Il 10 dicembre 1806, Madame Clicquot scrisse a Frassinet & Co., il suo agente in città «[…] Il consumo a Napoli non è regolare: dipende dal numero (più o meno grande) di stranieri che vivono in quella città. Inoltre, la nostra Maison non controlla tutti gli affari in città e supponiamo che il consumo possa raggiungere 20.000 bottiglie di Champagne».

Madame Clicquot, ritratto

La situazione in Italia non era per nulla omogenea e il Paese rimaneva estremamente frammentato. La distribuzione delle merci francesi variava in grande misura da regione a regione, in base alle restrizioni sulle spedizioni. I mercati esclusivi di Veuve Clicquot erano costituiti principalmente da Napoli, Livorno e Trieste, mentre Venezia e Ancona restavano mercati secondari.

Chi comprava? L’aristocrazia del Paese. Nel 1778, centosessanta bottiglie di Champagne Rosé vengono spedite a Sua Eccellenza il Marchese Dom Luis de Provera, ciambellano di Sua Maestà Imperiale a Milano. Fu poi il turno del Principe di Palermo e delle Due Sicilie fino a quando il Re d’Italia, nel 1907 non si fece ordinare una cassa campione con quattordici bottiglie di vini diversi: dolci, Demi-Sec, Rosé, Dry England eccetera.

La vendita avveniva, un po’ come oggi, con agenti di commercio selezionati dalla casa madre e attivi sul territorio nazionale. A partire dal 1811 circa non ci fu solo più l’Italia nel mirino delle vendite, ma si iniziò a guardare oltre confine, in Paesi quali Austria o Polonia. L’incremento degli scambi portò i rappresentanti della Maison Clicquot a organizzarsi per avere dei magazzini di stoccaggio dove poter gestire giacenze cumulative di prodotto. In questo modo i costi riuscivano a restare contenuti e gli ordini processati con maggiore efficienza.

L’agente che più si distinse agli occhi della Maison fu François Majeur, viaggiatore instancabile e ottimista, che percorse tutta la penisola da Nord a Sud. Torino, Milano, Bergamo, Verona, Padova, Venezia, Trento, Bolzano, Udine, Trieste, Fiume, Genova, Bologna, Parma, Piacenza, Reggio, Firenze, Livorno, Roma e Napoli. A ogni viaggio forniva report dettagliati delle sue tappe e dei suoi incontri, scriveva una descrizione del mercato per i vini Champagne e forniva un elenco di commercianti e registrava le commissioni.

All’inizio del diciannovesimo secolo, le spedizioni di Veuve Clicquot per l’Italia partivano dal porto di Marsiglia. Le navi facevano vela verso i principali porti italiani, come Genova, Livorno, Civitavecchia, Roma, Napoli, Palermo, Messina e Trieste ma i problemi legati ai costi e alla sicurezza del trasporto non erano indifferenti. Dal 1807, il blocco inglese dei porti del Mediterraneo fece aumentare i tariffari marittimi tanto da spingere la Maison a trovare delle soluzioni alternative. Nel 1808, Veuve Clicquot decise di fornire il porto, allora austriaco, di Trieste passando per Vienna, abbandonando così la rotta marittima che partiva dalla Francia. Anche le città del Nord Italia venivano rifornite via terra, via Lione o Milano, oppure Strasburgo o Ulm, in attesa del ritorno di una situazione di pace.

Estratto che testimonia la prima spedizione di Champagne Clicquot in Italia

L’acquirente tipico italiano si dimostrò subito un osso duro, per difficoltà (culturale) di gusto, connesso ad abitudini e aspettative, ma anche per via della concorrenza diretta delle produzioni regionali locali. Un ordine dal nostro Paese in genere veniva sempre appuntato con una richiesta di partite molto effervescenti e qualora ci fossero stati difetti o irregolarità nel vino non si sarebbe esitato a informare il produttore.

Inoltre, il clima mediterraneo non si addiceva allo Champagne, così spesso si aggiungeva la richiesta di spedizione dopo la calura estiva. Questo però non distolse nel tempo a far affezionare sempre più il nostro Paese a questa specifica produzione, vista ancora oggi come il vino d’eccellenza per le grandi occasioni, per feste, matrimoni e  celebrazioni.

Se qualcuno non è un grande appassionato di vino, possiamo esser certi che sarà sempre un estimatore di Champagne.

 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter