Ci sono luoghi più magici di altri. Luoghi nati per raccontare storie, per farle vivere, per affascinare e incantare. Le Dolomiti sono uno di questi luoghi. Sono scenari da fiaba, dove dietro a ogni anfratto di bosco si nascondono quasi mondi diversi, capaci di proiettarci in altre dimensioni. Di leggende, di natura.
Di fronte al Monte Sciliar nasce una delle storie appartenenti a questi luoghi. Quella della Loacker, che nella nostra mente è gioco, colore, bontà, felicità bambina. Ed effettivamente Loacker queste parole le incarna davvero tutte. Perché è la storia di una famiglia che nel 1925 fondò una piccolissima pasticceria a Bolzano, con un unico grande desiderio: quello di realizzare cialde golosissime. E queste cialde erano talmente buone che si rese necessario cercare un modo per conservarle.
Il resto lo conosciamo tutti: i wafer Loacker sono diventati famosi in tutto il mondo. La parola stessa Loacker è sinonimo di wafer. Oggi l’azienda mantiene sempre un’anima familiare, perché la bontà i Loacker ce l’hanno nel Dna, ma la dimensione è quella di una realtà con un fatturato da oltre 400 milioni di dollari e un brand esportato in cento Paesi, in Nord America, Asia e Medio Oriente.
Bontà, quindi, ma anche sostenibilità nel senso più ampio del termine. Forse è quello che ci piace di più della famiglia Loacker e del suo progetto. Una sostenibilità in grado di coniugare diversi aspetti. Da quello ambientale a quello economico e sociale. E questa potrebbe sembrare pure la solita solfa con cui le aziende oggi sparano fumo in faccia ai consumatori, ma a toccare con la mano la vita di Auna di Sotto, dove si trovano gli stabilimenti del brand, si capisce immediatamente che in questo caso si tratta di un qualcosa di reale e tangibile.
Basti pensare che, già negli anni ottanta, si decise di costruire il primo sistema di recupero del calore della fabbrica per utilizzarlo nella produzione di acqua calda sanitaria e nel riscaldamento degli stabili. Una pratica virtuosa che negli anni ha permesso di mirare ad obbiettivi sempre più ambiziosi.
La sostenibilità degli ingredienti
Sembra ovvio, ma è bene parlarne: la sostenibilità parte dalle materie prime e dai suoi produttori. No, non vogliamo fare un discorso sul chilometro zero, che spesso è un qualcosa di sopravvalutato e usato a fini spiccioli di marketing. Parliamo, in questo caso, di materie prime che mirano alla conservazione del patrimonio naturale, unite alla responsabilità sociale del territorio e delle sue persone.
Loacker infatti, per creare i suoi golosissimi dolcetti, si approvvigiona da produttori locali, con cui ha contratti a lungo termine, proprio per costruire una rete commerciale pulita, solida e controllata.
Le nocciole, ad esempio, sono tutte italiane e provengono da terreni di proprietà in aziende agricole toscane, dove vengono coltivati in 275 ettari di noccioleti. E il “parco” si è allargato con altri 1200 ettari in Veneto, Umbria e Toscana, con 83 aziende. Un progetto che prevede non solo la fornitura, ma l’affiancamento continuo con consulenze agronomiche e supporto alla lavorazione delle nocciole in loco, che rende il rapporto con il territorio un qualcosa di unico. In fondo, le nocciole sono fondamentali per Loacker.
Il loro prodotto di punta è il Napolitaner, chiamato così perché Alfons Loacker andava a comprare le nocciole a Napoli, ma oggi l’italianità di questo prodotto è qualcosa di davvero tangibile. C’è tanta sostenibilità in questo. Perché se pensiamo che spesso le terre vengono abbandonate per mancanza di redditività, capiamo quanto è importante investire nel rapporto con chi la coltiva la terra. Un noccioleto infatti comincia a produrre dopo cinque anni: la garanzia di sapere che quel raccolto avrà uno sbocco commerciale diventa fondamentale per evitare l’abbandono delle campagne.
Attenzione, cura e tecnologia quindi sono le parole chiave per comprendere questo aspetto: ogni parcella dei singoli agricoltori infatti viene monitorata attraverso un’applicazione che determina i fabbisogni della pianta, in modo che la coltura sia ottimale, anche dal punto di vista del consumo dell’acqua.
Per il latte invece dobbiamo spostarci proprio in quel luogo magico delle Dolomiti con cui abbiamo aperto questo racconto. Il latte è da sempre sinonimo di bontà. È nutrimento, è crescita. E questo in Loacker lo sanno bene. Quando parliamo di territorialità è a questo che dobbiamo guardare.
In Alto Adige l’allevamento di bestiame da latte e la produzione di prodotti lattiero caseari significano patrimonio culturale e Loacker ha voluto stringere un accordo con la cooperativa Brimi, tra le prime realtà della zona, realizzando lo stabilimento “Dolomites Milk”, dove viene lavorata la maggior parte del latte utilizzato nei prodotti e che si trova a meta strada tra Auna di Sotto e Heinfels (dove c’è un secondo stabilimento Loacker), proprio per ridurre i viaggi a lunga distanza e le emissioni di CO2. Quello che utilizza Loacker è siero di latte, latte scremato e intero in polvere da latte di animali alimentati con mangimi senza OGM, certificati Kosher e Halal.
Noi siamo andati a visitare proprio una delle cinquemila aziende agricole, organizzate in 1530 cooperative locali del territorio, e abbiamo toccato con mano un mondo fatto di tradizione, ma molto orientato al futuro, con pratiche di produzione e allevamento dedite ad una filiera migliore, per l’uomo e per l’ambiente.
Abbiamo conosciuto Erich Hohenegger, giovane allevatore del maso Lichtensternhof, che con le sue mucche ci parla. E non per modo di dire, ci parla davvero. Questo per spiegare il rapporto meraviglioso che si può instaurare con gli animali, che sono forma di sostentamento, che sono vita. Il benessere animale qui infatti è un qualcosa di fondamentale.
Le quaranta vacche di Erich producono circa una trentina di latte biologico al giorno e abbiamo avuto la certezza di quanto amore e attenzione ci siano nella loro cura. Il riposo, la condizione fisica, il distanziamento, un’area dedicata al loro benessere: sono tutti fattori costantemente monitorati che permettono agli animali di vivere felici e di produrre un latte che non ha bisogno di molte spiegazioni, va gustato.
Territorio e sostenibilità li ritroviamo anche per quanto riguarda gli altri due ingredienti essenziali di Loacker: il cacao e la vaniglia. Attraverso il “Sustainable Cocoa Farming Program” infatti vengono supervisionate tutte le fasi di coltivazione e produzione del cacao in Costa D’Avorio ed Ecuador, Paesi in cui l’azienda altoatesina acquista questa materia prima. Un programma, questo, rivolto alle comunità in loco, grazie al quale vengono attivati percorsi di formazione sulle tecniche agronomiche, igiene, prevenzione di malattie, come ad esempio la malaria, e anche coltivazione di alimenti essenziali per un’alimentazione sana ed equilibrata.
Anche in questo caso viene creato con gli agricoltori locali un rapporto di fiducia e trasparenza, che dà vita ad una filiera responsabile e sostenibile. Ad oggi il Cocoa Farming Program soddisfa il 33 per cento del bisogno totale di Loacker, ma l’azienda punta al cento per cento entro il 2025.
Anche la vaniglia ha il suo programma di sostenibilità, il “Vaniglia Bourbon dal Madagascar”, avviato nel 2019 nel Paese africano e che si pone come obiettivo quello di garantire una retribuzione equa agli agricoltori malgasci, al fianco di una rintracciabilità completa della filiera.
La coltivazione di questa pianta, infatti, è un qualcosa che va a beneficio di tutto un territorio e in questo caso vengono sostenute le cooperative di famiglie impegnate nel settore, attraverso un contatto diretto e un supporto continuo. Come? Con la creazione di pozzi e strutture igieniche, con l’installazione di fornelli solari che comportano una riduzione dei consumi di legna e carbone, con la formazione sull’ambiente e la salvaguardia della foresta pluviale. Azioni concrete che incidono sull’economia locale e sul suo sviluppo.
L’ambiente, prima di tutto
Loacker su questo è chiara: i loro prodotti sono fatti per addolcire anche le generazioni future e qui non c’è spazio per una cattiva gestione delle risorse ambientali. Anche se si tratta di un’industria. Ecco perché l’impegno qui parte proprio per monitore e ridurre tutte le emissioni di CO2 in tutte le fasi di lavorazione. Abbiamo già parlato di come il calore dei forni viene utilizzato per altri usi, come il riscaldamento e la fornitura di acqua calda degli uffici. Allo stesso modo, l’olio combustile viene utilizzato per coprire i picchi di produzione, facendo risparmiare centinaia di litri di gasolio, e l’energia è data al cento per cento da fonti rinnovabili, come l’acqua e il vento.
Anche la logistica rientra in questo disegno e, attraverso misure e attenzioni particolari, i camion che trasportano i prodotti Loacker viaggiano solo a pieno carico per ottimizzare gli spostamenti e sono dotati di strumentazioni in grado di ridurre le emissioni nocive.
Anche il traposto privato avviene in ottica green e i dipendenti possono usufruire di navette per potersi recare a lavoro e di altri strumenti per ridurre al minimo l’utilizzo di mezzi privati.
Buoni dentro, per una sostenibilità alimentare
La filosofia di Loacker non comporta la realizzazione di prodotti buoni da mangiare per soddisfare la gola. Questi prodotti devono poter essere inseriti in un’alimentazione sana e corretta. Ecco la vera bontà di Loacker. E questo è il motivo per cui gli ingredienti contenuti all’interno dei wafer e degli altri dolcetti sono rimasti quelli di un tempo, di quando nel 1925 la pasticceria a Bolzano sfornava cialde calde e golose. Perché goloso non fa rima con non-salutare. Prendersi cura del proprio benessere diventa infatti fondamentale, soprattutto in tempi moderni.
Loacker a questo proposito è riuscita a ridurre l’apporto di zucchero, senza modificare il gusto dei sui wafer, e ha studiato prodotti sempre diversi per ampliare lo spettro delle necessità e dei bisogni dei suoi consumatori. La linea “Nutritional & Functional” ne è un esempio, con due prodotti leggeri, ma ricchi di fibre, a base di farina di farro, frumento e avena integrale il primo, e con il trenta per cento in meno di zucchero nel ripieno nel secondo.
Allo stesso modo, vengono condivise idee e nuovi approcci per una vita bilanciata e sana sia con i collaboratori che con i vari partner di Loacker. Ecco perché l’azienda si fa promotrice di programmi sportivi nel territorio in cui opera, così come realizza materiale di informazione per portare avanti questa filosofia.
Le persone: l’ingrediente di qualità in Loacker
È vero, stiamo parlando di una realtà industriale e, entrando nella fabbrica di Loacker, ci rendiamo conto di essere in un settore lavorativo che può essere duro, monotono e ripetitivo. Può spaventare, certo, soprattutto per chi svolge professioni totalmente diverse. Ma spaventa meno quando ci si ferma a parlare delle condizioni lavorative e di vita di chi prepara questi deliziosi wafer.
Come abbiamo già scritto, qui in Loacker la sostenibilità è totale e comprende anche quella umana. Abbiamo infatti scoperto la presenza di tante azioni concrete per il benessere dei lavoratori. A partire dalla possibilità di formazione sulla salute psicologica (dal work-life-balance per genitori, alla gestione dello stress, alla gestione corretta del sonno), fino ad arrivare alle linee telefoniche per consulenze gratuite e anonime, dove un team di professionisti risponde alle chiamate, rigorosamente anonime. E in un momento come questo, in cui il valore della vita privata si sente preponderante su quello della propria vita professionale, ci si rende conto quanto pochi semplici strumenti possano davvero fare la differenza.
Quello che ci ha colpito, visitando la sede di Auna di Sotto, è la presenza di tanti giovani all’interno delle varie aree di lavoro e l’atmosfera stessa di condivisione che si respira, sia in contesti semplici, quali ad esempio la mensa aziendale, in cui poi tutti collaborano per mettere in ordine, sia nelle fasi decisionali, che comunque prevedono una comunanza di valori comuni e conoscenza.
Insomma, quella di Loacker è davvero una bella storia, da vivere e da raccontare. Lo è perché non si accosta alle classiche manovre di greenwashing aziendale, a cui spesso assistiamo, ma è un qualcosa che nasce da dentro, dai valori di una famiglia e di una comunità intera. Si può credere nelle favole? In questo caso la risposta non può che essere affermativa.