I detrattori del ministro della Cultura dicono abbia escluso Roma come sede dell’incontro del secolo, quello tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, perché intenzionato a candidarsi alla presidenza della Regione Campania. Motivo per cui, qualunque cosa ci sia da organizzare, Gennaro Sangiuliano vorrebbe sempre organizzarla lì, anche a costo di spostare il Colosseo a Napoli (sono sempre i suoi detrattori che parlano, sia chiaro). Quanto ai suoi estimatori, diranno senza dubbio qualcosa di diverso, ma questo posso solo immaginarlo, non avendone mai conosciuto uno.
Gli avversari politici, in compenso, gli contestano di essersi opposto all’utilizzo di monumenti e aree archeologiche per i concerti, in nome della tutela del patrimonio artistico e dei suoi superiori valori, e di farne adesso lo sfondo per una scazzottata tra miliardari frustrati, vera o finta che sia. Gli rinfacciano tutta quella retorica sovranista, tutto quel culto della tradizione, tutti quei pomposi discorsi sul conservatorismo, l’identità dei conservatori, i valori dei conservatori, e lo accusano di svendere ogni cosa, adesso, per quattro soldi e un po’ di pubblicità.
Lui però non sembra scalfito da nulla, anzi. Se ne vanta. Si affretta a twittare di avere avuto una «lunga e amichevole conversazione con @elonmusk su un grande evento di evocazione storica» (che è un po’ come definire una partita a biliardino un grande avvenimento sportivo); precisa che l’evento «non si terrà a Roma» (chissà perché) e chiude con il tipico ricattino morale sulla «ingente donazione a due importanti ospedali pediatrici italiani» con cui evidentemente immagina di proteggersi da qualsiasi polemica.
Dal canto suo, Musk twitta – a proposito, si dirà ancora così, o dovremo cominciare a dire piuttosto «icsa»: cosa ne dice il nuovo amico di Sangiuliano? – di più e di meglio. In particolare, questo: «Ho parlato con la presidente del Consiglio italiana e con il ministro della Cultura». Non solo Sangiuliano, dunque. A quanto pare, neanche il capo del governo del nostro paese – pardon, della nostra nazione – ha cose più importanti di cui occuparsi.
Personalmente non do molta importanza a come andrà a finire questa surreale vicenda: in una bolla di sapone, nella trasposizione internazionale di una puntata di Paperissima, in un vero scontro nella «gabbia» secondo le cruente regole delle Arti marziali miste o magari in una versione aggiornata di certi duelli al “primo sangue” che furono davvero una pittoresca tradizione italiana, caratterizzati da epici scontri capaci di protrarsi per mesi, di graffietto in graffietto, con conseguenti sospensioni e rinvii, riconciliazioni ma poi magari anche nuove offese, e dunque nuove convocazioni di padrini, arbitri, medici e cortei di spettatori al seguito (cerimoniale ben raccontato qualche anno fa in un romanzo di Giorgio Dell’Arti: «Gli onorevoli duellanti»). In quest’ultimo caso, non mi meraviglierei se i vertici del governo, in linea con la rinascita strapaesana di cui sono ardenti promotori, facessero presentare l’evento a Pippo Franco.
Se l’Italia non ci fa un figurone, va detto però che anche il capitalismo e la società americana non ne escono meglio. Questi nuovi emiri della Silicon Valley, questi raís tecnologici, questi Gheddafi pallidi e palestrati non hanno davvero nulla da invidiare, con i loro costosi capricci e le loro pose machiste, con il loro narcisismo patologico e il loro insuperabile cattivo gusto, ai satrapi delle aree più arretrate del pianeta.
Quello che proprio non si capisce è cosa c’entrino – con tutto questo – la storia, la tradizione, il patrimonio artistico e culturale dell’Italia. È evidente a tutti come lo sfondo perfetto per un simile evento sia, semmai, proprio negli Stati Uniti: in un saloon di qualche sperduto paesino del Texas, dove i due cowboy possano affrontarsi secondo le classiche regole del western. L’Italia, al massimo, potrà offrire il contributo personale del ministro Sangiuliano, ovviamente nel ruolo di pianista.