Fiamma spentaLa nuova sfida della destra italiana e la trappola identitaria di Meloni

Se la presidente del Consiglio vorrà forgiare alleanze durature con i popolari in Europa non dovrà solo mostrare fedeltà politica, ma dovrà convincere la sua comunità ad accettare il sistema di diritti civili, sociali e parità di genere su cui neanche il Ppe vuole tornare indietro

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Giorgia Meloni l’abbiamo conosciuta come la donna che ha riportato la sua gente, i suoi militanti, i suoi elettori a casa. Ha riacceso la fiamma, ha dato un rifugio a una destra divisa dalle diaspore degli esperimenti di fusioni a freddo di Silvio Berlusconi e ha condotto vecchi colonnelli e giovani leve verso il governo del Paese. Ha archiviato Matteo Salvini, reso innocuo Silvio Berlusconi facendo sponda con sua figlia Marina e ora è arrivata al livello più difficile: non cadere nella trappola identitaria, quella che per intenderci ha consumato anche Gianfranco Fini.  Di tutti i partiti rimasti Fratelli d’Italia è senza dubbio quello che affonda nel novecento le sue radici e le sue contraddizioni, fatte di sangue e memoria, di morti e di idealità. 

Meloni tuonava in campagna elettorale che la sua vittoria sarebbe stata la rivincita di un Paese, di quel Paese che secondo lei era figlio degli esclusi del dopo venticinque aprile, dei ragazzi morti nelle piazze, negli agguati. Una storia per così dire carica di eroi vinti e non vincitori. E così ora che Giorgia Meloni non è solo il capo di una comunità politica ma di un governo asse e cardine della democrazia occidentale si trova per la prima volta nel ruolo di vincitrice e non sa come ci si deve comportare, lei che per una vita ha agitato gli spettri di un mondo in lotta, tra Atreju, signori degli anelli, storie infinite sembra essere rimasta incastrata nell’adagio di Curzio Malaparte che scriveva «non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore: di una cosa sono certo, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori». 

Ma le sfide che attendono la destra italiana non sembrano adattarsi ai sentimentalismi, le prossime elezioni europee ad esempio non saranno solo un banco di prova per il Governo ma testeranno la capacità dell’inner cicle meloniano di traghettare i conservatori nell’alveo dei popolari, di avere la capacità di governare a Bruxelles da pari, ben sapendo che l’Europa logora chi non ce l’ha. Ma non basteranno i buoni uffici con Ursula von der Leyen servirà dismettere il bagaglio post fascista che rende indesiderata la presenza dell’allegra compagine di ECR nelle sfere dell’Europa che conta. 

Non basta essere alleati fedeli oltre i confini ma occorre essere alleati credibili e convinti di quell’insieme di idealità che tiene insieme la famiglia europea, un sistema di valori che passa per l’inclusione, gender equality, diritti civili e sociali e su cui neanche il Partito Popolare Europeo vuole tornare indietro. Forse anche per questo motivo la raffica di casi scomodi da Daniela Santanchè a Marcello De Angelis proiettano indietro l’ombra della destra italiana che punta a Bruxelles e rischia come in un videogioco di cadere nella trappola e di ritrovarsi nuovamente a Colle Oppio.

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