Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale c’era la consapevolezza che la costruzione della bomba atomica – recentemente raccontata nel film di Christopher Nolan dedicato a Robert Oppenheimer – avrebbe definito i futuri equilibri mondiali. Volendo azzardare un paragone, si potrebbe dire che oggi la nuova corsa al predominio è rappresentata dalla supremazia quantistica. Così come per il machine learning e l’intelligenza artificiale, anche la ricerca nel campo dell’informatica quantistica è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni (le due cose non si escludono a vicenda e, anzi, la loro convergenza aprirà a scenari di enorme portata).
Ma di cosa si tratta? I computer quantistici utilizzano un approccio completamente diverso rispetto all’informatica tradizionale e sfruttano le leggi della meccanica quantistica per l’esecuzione di operazioni complesse molto più velocemente rispetto ai computer classici, che sono basati su un sistema binario di bit che possono rappresentare due stati: 1 oppure 0. Al contrario, le quantum technologies sono basate su bit quantistici (qubit) che possono esistere in più stati contemporaneamente. Le potenzialità di questo nuovo modo di intendere l’informatica sono ormai ampiamente riconosciute: la realizzazione di grandi impianti di calcolo dedicati (un settore che si stima supererà i trecentocinquanta miliardi di dollari nel 2030) giocherà un ruolo sempre più centrale nelle simulazioni scientifiche e nell’ambito della cybersicurezza, per via delle implicazioni legate ai sistemi di crittografia.
A fronte di questo scenario, l’Unione europea non resta a guardare. Visto l’enorme impatto che i calcolatori quantistici avranno sulla nostra società, Bruxelles ha plasmato una strategia chiara per evitare di restare indietro rispetto al resto del mondo, consapevole di trovarsi di fronte a una rivoluzione che potrebbe avere ripercussioni anche sugli equilibri geopolitici mondiali.
A testimonianza di questo approccio c’è l’EuroHPC JU, l’impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni, un patto stipulato tra i Ventisette con il duplice obiettivo di sviluppare un’infrastruttura di supercalcolo paneuropea e sostenere le attività di ricerca e di innovazione su questo fronte. A seguito dell’approvazione del programma nel 2018, a marzo 2022 è stato annunciato il bando per l’installazione di sei computer quantistici in Europa. Dopo l’assegnazione, lo scorso giugno sono stati sottoscritti gli accordi con i sei siti che ospiteranno e gestiranno questi mostri del calcolo informatico: tra i Paesi ospitanti figura anche l’Italia, con l’EuroQcs Italy che sarà integrato nel supercomputer Leonardo (attualmente il quarto più potente al mondo), all’interno del datacenter del Cineca al Tecnopolo di Bologna. Gli altri sono Repubblica Ceca (presso la sede del Centro Nazionale di Supercalcolo IT4Innovations di Ostrava), Francia (al Très Grand Centre de Calcul du Cea a Bruyères-le-Chatel), Germania (Leibniz Supercomputing Centre vicino a Monaco), Polonia (Supercomputing and Networking Center di Poznan) e Spagna (Barcelona Supercomputing Center). L’investimento totale è di oltre cento milioni di euro, derivanti per metà dal Digital Europe Program e per metà dai contributi degli Stati partecipanti.
Come spiega il sito Guerre di Rete, l’obiettivo non è solo lavorare sul quantum computing in sé, ma riuscire anche a svilupparlo tramite i sistemi di calcolo ad alte prestazioni (Hpc – High Performance Computer). Il rapporto tra questi supercomputer e i dispositivi quantistici è molto stretto, perché i primi vengono spesso utilizzati proprio per simulare il comportamento dei secondi. Il punto è quindi integrare calcolatori “classici” molto potenti con quelli quantistici, dando vita a quelle che potremmo definire macchine ibride.
A differenza degli Stati Uniti, dove gli investimenti privati sono molto più massicci, nel vecchio continente la corsa al quantum computing riguarda per lo più i centri di ricerca finanziati a livello pubblico. Secondo un report del World Economic Forum l’Europa rappresenta la seconda area geopolitica per investimenti pubblici in questo ambito, con stanziamenti totali per 7,2 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali effettuati da Germania (quarantadue per cento), Francia (ventotto per cento) e Olanda (quattordici per cento). A guidare la classifica mondiale c’è la Cina con 15,3 miliardi, dove tuttavia gli investimenti privati di aziende come Baidu o Alibaba rappresentano una fetta considerevole del totale.
Stando ai dati del report, attualmente il Regno Unito spende poco meno degli Stati Uniti. Londra ha recentemente annunciato di voler raddoppiare i suoi sforzi, portando i finanziamenti a 2,5 miliardi di sterline – oltre 3 miliardi di dollari – entro il 2033.
Il primato, considerata anche l’attività privata, resta però saldamente nelle mani di Washington. Nel 2021 l’amministrazione Biden ha vietato l’export verso la Cina di hardware e software legati alla tecnologia quantistica: il dipartimento del Commercio aveva giustificato la scelta sostenendo che alcune compagnie del Dragone avevano contribuito ad attività nucleari o ai programmi sui missili balistici del Pakistan. Negli anni l’elenco di aziende cinesi tagliate fuori dal commercio di beni tech americani si è arricchito notevolmente: una strategia per permettere agli Stati Uniti di mantenere questo vantaggio quantistico su Pechino, reso possibile soprattutto dai grossi investimenti di realtà come Google e Ibm.
Tornando in Europa, lo scorso giugno proprio Ibm ha annunciato che aprirà il suo primo data center quantistico nel nostro continente. Verrà costruito a Ehningen, in Germania. La struttura sarà operativa nel 2024 e ospiterà più sistemi di calcolo, ognuno dei quali monterà processori utility scale in grado di elaborare più di 100 qubit. Il progetto faciliterà l’accesso di aziende, istituti di ricerca e governi a strumenti di calcolo quantistico all’avanguardia.
Nel frattempo, anche l’Italia si dà da fare: oltre ad essere stato selezionato per il bando EuroHPC JU, a fine 2022 il nostro Paese ha avviato lo sviluppo del Centro Nazionale Hpc, Big Data e Quantum Computing a Bologna, grazie a un finanziamento di 320 milioni di euro reso possibile dai fondi del Pnrr.