Open to Lollobrigida La destra, il poveraccismo pasoliniano e le lezioni sull’Italia di Ally Millman

Il dibattito scatenato dal cognato di Meloni è strano in uno Stato che feticizza proprio la cucina di cui parla lui. Peccato che non si sia ancora inserita nella discussione la mia pensatrice di riferimento, che dovrebbe fare la consulente al ministero del Turismo e quello dell’Agricoltura

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Sono molto triste perché, al terzo giorno di polemicuzza estiva su quel Lollobrigida che è non Gina ma Francesco, non è ancora comparsa su TikTok una risposta di Ally Millman, mia pensatrice di riferimento e donna che non so perché il ministero del Turismo e quello dell’Agricoltura non abbiano ancora assunto come consulente.

Ally è un’americana che vive a Milano, è fidanzata con un italiano e, in un’estate che – beati voi se non ve ne siete accorti – è stata all’insegna del clash culturale tra turisti americani e tipicità italiane, è l’unica voce della sanità mentale.

Le turiste americane vanno a Positano e fanno video stravolti perché sono dovute andare a piedi coi bagagli dal molo all’albergo, non essendo evidentemente mai andate prima in vacanza non dico in costiera amalfitana, ma anche solo in posti meno orrendi di Orlando, in posti in cui non arrivi prendendo un taxi dall’aeroporto.

Le turiste americane tornano dall’Italia stravolte perché al ristorante hanno ordinato l’acqua ed è arrivata quella minerale, e sotto i loro post i saperlalunghisti altrettanto americani scrivono eh ma è perché in Italia fino a trent’anni fa l’acqua non era potabile e allora la gente non si fida di bere quella di rubinetto. La famosa acqua non potabile degli anni Novanta.

Le turiste americane tornano dall’Italia e dicono state attente perché a mangiare tutta quella pasta e mai fibre poi state male, in Italia è praticamente impossibile trovare frutta e verdura, vi do una dritta pazzeschissima, cercate la voce «contorno» nei menu. Residenti in un paese in cui una pesca costa quanto farsi gestare un figlio spiegano serissime che qui c’è carenza di frutta e verdura, e appropriatamente suggeriscono una soluzione: tutti i ristoranti hanno le patate fritte – perché se sei americano la tua idea di verdura è quella.

A fronte di questo inevitabilmente – il mercato crea le proprie nicchie – ci sono le spiegatrici di Italia agli americani (il New York Times ne ha persino consultate alcune per un pezzo che sarebbe stato più appropriato comparisse su Cavalli e segugi). Quelle che dicono cose originali e sagacissime quali «non ordinate cappuccino dopo mezzogiorno» o «non mettete il ghiaccio nel vino».

Poi, per fortuna, c’è Ally. Che dice ma cosa state dicendo, ma veramente pensate che l’acqua l’abbiano inventata gli americani, che l’antica Roma non avesse l’acqua? È che le fontane italiane non le riconoscete perché sono molto più fighette di quelle americane. (Peraltro ho imparato molte più cose dell’Italia dal TikTok di Ally che da tutte le campagne da «Please, visit Italy» a «Open to meraviglia»: voi lo sapevate che per strada, vicino Como, ci sono i distributori automatici di latte sfuso?).

E quindi Lollobrigida (Francesco, no Gina) dice che gli italiani poveri mangiano meglio, perché vanno dal contadino a farsi dare i prodotti freschi. Il che, visto che (per fortuna) siamo un paese di provinciali, ricorda a tutti noi qualche episodio d’infanzia – la nonna che ti fa bere l’uovo crudo appena uscito dal culo della gallina, e tu che vorresti vomitare – o d’età adulta (il tragico mal di testa dopo aver bevuto il-vino-genuino-del-contadino).

A me viene in mente anche Romolo Catenacci, il personaggio di Aldo Fabrizi in “C’eravamo tanto amati”, quando dice al genero che il ricco è solo, i poveri sono tanti, sempre assieme. Oppure quella direttrice di newsmagazine che guarda le foto del reportage dall’Africa, i ragazzini con la pancia gonfia e le mosche attorno, e sospira: come sono belli questi bambini poveri. Chissà se Lollobrigida sa quant’è pasoliniano, chissà se questa destra tutta sa quant’è pasoliniana, chissà quanto ci mette la sinistra ad accorgersene e a mollare finalmente Pasolini e i suoi danni sulla psiche collettiva.

Oltre che pasoliniani, sono anche fermi ai dietologi del 1986, con la mistica della dieta mediterranea e Ignazio La Russa che interviene per dire quanto sia sano un piatto di pasta alla Norma, cioè un mix di carboidrati e fritto perfetto per alzarti la glicemia e il colesterolo.

Intanto l’elettorato di sinistra – quel che ne resta – si chiede, come in quella puntata di Portlandia, non più solo se il pollo con cui sta per cenare sia biologico, ma se abbia avuto una vita felice. L’ultima frontiera del delirio antispecista è che dovremmo essere tutti vegani, che è una prospettiva stupenda se come me detestate gli animali: se nessuno mangerà più maiali, chi mai ne alleverà più? Il veganesimo come via perfettissima all’estinzione di intere specie animali: si proceda pure.

Chissà se alle prossime elezioni Lollobrigida (il cognato, no la bersagliera) intende candidarsi a Milano. Perché, oltre a Romolo Catenacci e alla direttrice che guardava il reportage africano e al poveraccismo di Pasolini, la sua uscita mi ha ricordato la fissazione milanese per il panettone.

Un dolce insensato, superato dalla storia, che non ha nessun senso mangiare in un’epoca in cui alla pasticceria all’angolo trovi la Sacher o la lemon meringue pie, in una città in cui hai le torte di Knam e mille altre prelibatezze su cui non mi dilungo per non arrubbare il lavoro a Gastronomika.

Eppure ogni anno – è quasi autunno, ci siamo quasi – i milanesi si accapigliano su quale sia il panettone migliore. E cos’è, questo, se non feticismo del dolce povero, anche quando esso ha ormai prezzi da ricchi?

Se fossi Beppe Sala, chiamerei Lollo (il Lollo, no la Lollo) a fare il giudice d’una competizione tra panettoni. Proclamazione del vincitore all’Opera San Francesco, e per l’occasione dibattito di lotta e di governo: con canditi o senza?