Il quadrato costruito sul taglio è uguale alla somma dei quadrati costruiti sulle croste: così proclama un utente su Twitter (No, non lo chiameremo mai X). Il tema è noto, e in rete si è già scatenato l’inferno, compresi meme e trattati di geometria del toast. Centinaia di articoli hanno raccontato la storia, perché quando ci sono “notizie” così, subito clickbait. Invece di cavalcare l’onda del click forsennato, noi ci siamo chiesti che cosa c’è dietro a questa scelta apparentemente scellerata, che forse, però, tanto peregrina non è.
Ripetutamente e sempre più spesso, in particolare nei periodi di vacanza, leggiamo polemiche relative in generale “all’attività di transumanza vacanziera a mungitura forzata”. Nel senso che durante la transumanza del bestiame si munge poco, perché le bestie sono stanche, mentre quando la transumanza riguarda le persone o i turisti, la mungitura diventa estrema.
Prezzi esagerati, scontrini stravaganti, voci di servizio a dir poco singolari e, peggio ancora, corrispondenti servizi di ristorazione approssimativi. Naturalmente la solita notizia appare con un titolo accattivante, ad alto contenuto drammatico e polemico e a caratteri sottolineati. E viene immediatamente diffusa (nella comunicazione moderna, chi arriva prima vince, a prescindere).
Piace particolarmente quando i soggetti coinvolti sono locali prestigiosi, operatori del settore famosi, località per soli vip (l’invidia esiste). Piace ancora di più se il cliente che si lamenta è un vip o presunto tale (chi lo adora e chi lo odia esprimeranno pareri discordi non sulla base dei probabili fatti, ma sulla base della simpatia o dell’antipatia, anche questa presunta). Sarebbe meglio valutare criticamente e serenamente il fatto, senza dimenticare che i casi clamorosi sono tali proprio perché sono eccezionali e non rappresentano la “normalità”.
Il tema sostanziale, centrale, importante delle vicende raccontate in queste cronache è il servizio. Il servizio è il luogo, più o meno esclusivo e costoso, molto costoso per l’operatore, che chiede ovviamente la giusta ricompensa. Il servizio è la qualità dell’accoglienza che il locale offre (ampiezza del locale, microclima, bagni pulitissimi, trattamento professionale e gradevole e cosi via). Il servizio è la qualità e la varietà dei prodotti offerti. Il servizio è la professionalità dei lavoratori. Per l’operatore sono costi significativi, che un ospite intelligente e attento sa cogliere e capire.
Ma torniamo alla cronaca spassosa di questi giorni: il toast tagliato a metà o la porzione di pasta che la mamma condivide con la bimba e il sovrapprezzo richiesto. C’è sicuramente sia un margine significativo di clientela fastidiosa, pretenziosa e maleducata, e ristoratori poco pazienti, incompetenti.
Abbiamo il sospetto che la richiesta di pagamento sia una questione contingente, legata a quel cliente e a quella specifica occasione (cliente fastidioso, ristoratore nervoso). Capita. Ma rimane il tema importante: il servizio personalizzato, le richieste speciali, devono essere pagate? Anche quelle che il cliente considera, a ragione o spesso a torto, poco impegnative?
Qualcuno del settore, che ha ragionato a lungo sul tema e ha grande esperienza di gestione, pensa proprio di sì: «Chi vomita disprezzo e indignazione (termine abusato come pochi, letteralmente significa ribellione a ciò che offende la dignità. Presuppone che una dignità ce la si abbia) per i due euro toast-icidi, fa parte della stessa categoria di chi prenota per tre e poi si presenta con una comitiva da otto, perché tanto “uniamo due tavoli e ci siamo”; o al contrario, blocca intere sale per gruppi da dodici, salvo poi arrivare in meno della metà, “va bene lo stesso?”. No che non va bene. Chi non avvisa di avere un bambino tra i coperti prenotati, magari piombando un venerdì sera con un passeggino da dover sistemare chissà come; quando non addirittura con un cane di taglia medio/grande, che magari si stenderà sullo stesso pavimento che saranno i bartender, gestori, professionisti di sala a dover pulire (e che avevano già pulito prima del servizio). Chi non segnala da subito eventuali intolleranze o allergie, senza quindi dare modo a cuochi o bartender di preparare un’offerta specifica per tempo. L’utenza italiana ha insita la concezione per cui un locale è una sorta di zona franca, dove tutto è permesso perché “se pago, posso, anzi mi è dovuto”».
Quante volte, da clienti, abbiamo dato per scontato un servizio, quante volte non abbiamo chiamato per dire che eravamo in più o in meno, e abbiamo pensato che “servizio” significhi semplicemente che quel professionista sia a mia totale e completa disposizione? Proseguono i tipi di Baround: «Qualcuno offriva loro un servizio, come è un servizio, seppur minimo, quello del taglio del toast, che implica anche il dover lavare un piatto in più, che a sua volta richiede più energia da consumare (che il ristoratore paga). Tutta questa sequela di risorse economiche necessarie a un’attività per andare avanti è assolutamente ignota alla massa: chi consuma non ha la minima idea di cosa ci sia dietro la gestione di un locale, e a questo aggiunge una sempre più assurda dose di ignoranza e presunzione, legittimata dalla facilità con cui può dire la propria online. In soldoni: consumo, non ho contezza di quello che succede e perché, ne parlo male se non mi piace, perché ne ho la possibilità».
Come ci fa notare un ristoratore, infatti, c’è un altro tema da portare all’attenzione di chi legge: le shit storm che seguono a questi casi di cronaca sono la parte peggiore del tema. Abbiamo guardato che cosa scrivono gli utenti su Tripadvisor di un innocentissimo ristorante monzese, che ha l’unica sfortuna di chiamarsi come quello che ha fatto pagare per il piattino in più: insulti a raffica, e chi se ne importa se non è lui l’accusato. Siamo perennemente arrabbiati con il mondo, e ogni occasione è buona per sfogarci malamente online. Anche a discapito di attività economiche di cui non conosciamo i conti, e soprattutto con realtà che non sapremmo gestire.
Ma sarà davvero solo questione dei due euro, o è più un modo come un altro per fare cartello contro qualcuno che pensiamo sempre ci stia fregando? Il giustizialismo digitale a tutti i costi non nasconde un’insoddisfazione generale verso una categoria di persone che non apprezziamo fino in fondo e che riteniamo comunque poco trasparente? Un cliente assiduo di molti ristoranti di livello chiude la questione con il buon senso: «Su coperto e servizio sono talebano e quasi sempre contrario, poi abbozzo ma se potessi lo abolirei. Il prezzo del piatto per me deve includere tutto, se inizi a frammentare le voci sul conto l’impressione che mi fa non mi piace. Mi sembra che gonfi il conto finale tipo Ryanair: 9,9 euro per il volo, poi però se aggiungo tasse, bagaglio ecc diventano 50 euro. Poi, se sono stato davvero bene con il servizio, decido io di lasciare una mancia. Ma se il sovrapprezzo è scritto nel menu, e sono preparato, per me vale tutto. Anche decidere di scegliere un altro posto, che sia più aderente alle mie aspettative e alle mie finanze disponibili».