C’è chi lo chiamava dubbio iperbolico, per altri il dubbio sorge quando alla decima domanda «Cosa hai mangiato in quel ristorante?», «Che cucina fanno?» non sai cosa rispondere.
Questo succede puntualmente durante le riunioni familiari o con amici, perché da buoni italiani non ci togliamo mai il cibo di bocca, letteralmente.
Premesso che il racconto di un’esperienza gastronomica può essere letto come un discorso fatto di emozioni, sapori rimasti impressi, ricordi scaturiti da alcune portate e collegamenti ad altre mille specialità assaggiate qua e là, è comprensibile che questa narrazione sia parte della sensibilità del singolo e talvolta possa risultare complesso per un esterno trarre delle chiare conclusioni che delineano la tipologia di cucina assaporata.
Se facciamo un passo indietro ci accorgiamo che la storia di questo settore è stata segnata da movimenti che si sono susseguiti delineando il panorama di ciascuna epoca e che noi ben conosciamo. Invece ora ci sono situazioni che si muovono in libertà sulla base di insegnamenti passati e di esperienze vissute, scrivendo il presente con il quale ci confrontiamo quotidianamente.
Da questi presupposti nascono delle riflessioni che sfociano nel voler trovare un filo conduttore comune alle realtà della nuova gastronomia globale, in cui si innesta la cucina italiana contemporanea, spesso fatta da giovani.
Allora, ricorriamo a termini che semplificano tutto. Parlare di cucina “tradizionale” o “locale”, a seconda della regione in cui ci troviamo, dà un’idea immediata di cosa vogliamo far arrivare alla pancia e all’immaginario dell’ascoltatore. Lo stesso avviene se diciamo di aver mangiato pesce frollato. In altri ristoranti siamo certi che il pasto verterà su frattaglie e quinto quarto… Per semplificare il concetto: se diciamo di aver mangiato sushi, tutti avranno già un’immagine in mente. O ancora: potremmo parlare di bistrot oppure social table, ma anche qui non abbiamo dettagli sulla cucina che troveremo e dei suoi sapori.
Eppure, ci sono quei posti che non si prestano a un nome prefissato e che hanno un filo conduttore ampio (geograficamente).
In altri casi, ci sono i “gastronomici”, spazi in cui si vive un’esperienza che ci impegna sia livello palatale, sia concettuale. Qui le portate danzano su un palco che questa volta è una tavola. Sono dei laboratori, dove avviene un esercizio intellettuale: quello della creatività culinaria.
Ma torniamo ai primi. Stiamo parlando di quei luoghi che stanno vivendo un risorgimento contemporaneo, trovando ispirazioni qua e là e sfociando in qualcosa di totalmente nuovo, ancora difficile da sintetizzare in una parola. Sono quei posti in cui predomina il vegetale, ingrediente centrale di molti piatti, ma non praticano una cucina vegetariana. È il caso di Rantan Farmhouse a Trausella: in mezzo ad asparagi con aglio orsino, vellutate di zucchine e menta troviamo sempre “un’intrusa” pancetta di maiale con carciofi o un succoso polletto tonchese con ceci.
Qualche volta si torna alle salse di stampo francese ma, allo stesso tempo, ci si muove verso una semplificazione che non esclude la bellezza, intesa come esaltazione di ciascuna singola materia prima. Ci sono spicchi di verza al forno, come quelli del Nécessaire Bistrot a Rimini, con una delicata crema e qualche nocciola che arrivano dritte, ti avvolgono e sono “semplicemente” squisite. Ogni tanto guardiamo alla cucina molecolare, come accade per Sarment a Marsiglia; quindi, troviamo lo stesso ingrediente in più consistenze che danno vita a piatti separati, ognuno con un proprio carattere tattile e gustativo.
È una cucina stagionale, e qui ecco tornare la cuisine du marché, che permette di avere una lista di piatti dinamici (approccio divertente per clienti e chef).
Alcuni prodotti vengono nobilitati: nel caso di Ahimè a Bologna il pane viene collocato in carta fra le portate da ordinare e con un suo prezzo.
Anche il servizio e il menu hanno dei punti in comune: portate come se fossero delle tapas, spesso à partager (è il caso di Zaza a Barcellona), una carta che non esiste o, meglio, scritta rigorosamente di giorno in giorno. Discorso che, come leggiamo, accomuna città e Paesi, rompendo i confini geografici.
Ma quindi, come la chiamiamo questa cucina? O meglio, nella storia della gastronomia abbiamo assistito a un susseguirsi di correnti e movimenti, ora questo come definirlo, ma soprattutto è importante limitarlo a un nome?
Invece per i gastronomici come la mettiamo? Probabilmente anche qui valgono le stesse regole in cucina: una forte sperimentazione spinta dalla fusione di cucine lontane nel tempo e nello spazio, mai state così armoniose insieme. Ciò che viene implementato è l’aspetto concettuale. Ogni piatto è portatore di sfumature valoriali, oltre a quelle gustative. Poi, indubbiamente, ci sono altri aspetti tecnici sui quali potremmo soffermarci e che completano l’esperienza, rendendola totalizzante.
Forse non è il momento di trovare dei “titoli” a tutto questo. Potremmo pensare che sia una nuova cucina globale, che include quella italiana. Una condivisione di intenti in cui ogni realtà riesce a declinare le proprie tecniche, materie prime, usi ed esperienze.
Rantan
Via Rueglio, 39 – Valchiusa, Fraz. Trausella (To)
Necessaire Bistrot
Via XX Settembre 1870, 118 – Rimini
Sarment
22 Bd Paul Peytral – Marseille
Ahimè
Via S. Gervasio, 6e – Bologna
Zaza Cuinaivi
Carrer del Poeta Cabanyes, 43 – Barcelona