«Perché un napoletano non può farsi sei mesi al Politecnico di Torino e un torinese sei mesi a Napoli o a Palermo per studiare archeologia, arte, cultura o diritto?». Nel febbraio del 2020 Mattia Santori – tra i fondatori del movimento delle Sardine e attualmente Consigliere Comunale a Bologna nel gruppo del Partito Democratico – proponeva all’allora ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, la creazione di un scambio tra giovani universitari di Nord e Meridione, sul modello dell’Erasmus europeo. Ne seguì per qualche settimana un vivace dibattito in ambito accademico e sui giornali, poi della proposta non si ebbe più traccia.
Tre anni dopo il Ministero dell’Università e della Ricerca ha realizzato la suggestione di Santori, mettendo a punto un sistema di partnership tra Atenei: una rete di scambi permetterà agli studenti di sostenere esami in università diverse da quella di iscrizione. L’obiettivo è chiarissimo, l’ha ribadito la stessa ministra poche settimane fa al Forum Ambrosetti di Cernobbio: «Il nostro progetto è quello di portare in maniera volontaria studenti dal Nord al Sud – e non solo dal Sud al Nord – consentendo loro di creare le proprie offerte formative mescolando quelle dei diversi atenei».
Non è una misura laterale; Bernini ha definito l’Erasmus italiano «una priorità» per il suo dicastero e il Governo. Il contesto infatti richiede misure urgenti per attenuare – o addirittura invertire, come si augura la ministra – l’esodo di studenti meridionali che scelgono di frequentare le università del Nord.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), in dieci anni le Regioni del Sud e le Isole hanno perso circa centomila iscritti, mentre quelle settentrionali hanno oggi quasi centodiecimila studenti in più. Se l’Emilia-Romagna, il Lazio e Lombardia sono le Regioni che attirano più studenti dalle altre aree del Paese – con un una media rispettivamente di 4,3, 3,1 e 2,2 nuovi alunni per ogni studente che si trasferisce fuori – tutte le Regioni del Sud sono in saldo negativo, e perdono fino a dieci studenti per ogni ingresso.
Non a caso il progetto pilota dell’Erasmus italiano riguarda due Atenei posizionati agli antipodi del Paese, le Università degli studi di Bergamo e Reggio Calabria. Lo scambio si limiterà inizialmente alle sole lauree magistrali, in particolare alle aree di Ingegneria e Scienze della formazione primaria. I numeri per partire sono estremamente ridotti, con non più di sei studenti inizialmente coinvolti per ognuno dei due Atenei.
I soldi, per ora, ce li mettono le due università attraverso proprie borse di studio e posti nelle residenze, mentre in futuro l’idea è quella di finanziamenti in capo al Ministero per coprire parte delle spese. Proprio come accade nell’Erasmus, con la differenza che gli scambi italiani non saranno sovvenzionati dall’Unione Europea: le risorse necessarie dovrebbero essere stanziate con la prossima legge di Bilancio, anche se i sindacati studenteschi non hanno ancora ricevuto rassicurazioni in merito. In ogni caso, non ci sono ancora indicazioni sulla platea ipotetica di beneficiari.
Se l’obiettivo della ministra Bernini è condivisibile, il mezzo per raggiungerlo rischia invece di rivelarsi un flop. L’impianto del progetto infatti si basa sull’idea che ogni Ateneo, con le proprie aree di specializzazione e riferimento, possa rendersi appetibile sul mercato in modo più flessibile e controllato – era già possibile effettuare esami in altre università italiane, ma solo pagando e seguendo numerosi passaggi burocratici. Il problema è che, come ricorda l’Anvur, i gap tra le università del Nord e del Sud «non dipendono probabilmente soltanto da quanto le istituzioni universitarie sono in grado di offrire ma, soprattutto, da quanto sono in grado di offrire i territori in cui esse sono collocate».
Secondo l’ente, la propensione degli studenti ad abbandonare dipende da molti aspetti, come «l’offerta formativa disponibile, le prospettive occupazionali, la rete dei trasporti, il contesto economico del territorio di origine e di destinazione». Queste motivazioni vengono riprese da uno studio della Banca d’Italia pubblicato nel 2022, il quale sottolinea che, a causa del ritardo infrastrutturale del Mezzogiorno, per gli studenti di alcune Regioni meridionali risulta più economico e veloce raggiungere le grandi città di Centro e Nord piuttosto che altre città del Sud.
Insomma, molti fuorisede vanno al Nord anche perché lì la qualità della vita è più alta e hanno maggiori probabilità di trovare lavoro una volta conclusa l’università. In questo senso, un Erasmus a Milano, per un meridionale, è un investimento con un ritorno superiore rispetto all’iscrizione in un’università fuori regione. Lo scambio, inoltre, potrebbe solo dilazionare nel tempo un trasferimento che è destinato ad avvenire negli anni successivi.
Per gli stessi motivi, le università del Sud continueranno ad avere poco appeal per chi viene dal Nord. Simone Agutoli, responsabile comunicazione dell’Unione degli Universitari, aggiunge che «il meccanismo di finanziamento degli Atenei penalizza le università del Sud. Perché uno studente del Nord dovrebbe pagare per un’offerta formativa di un certo livello per poi affidarsi ad università come meno risorse?». Gli Atenei del Nord accolgono anche molti fuorisede che provengono da regioni settentrionali. «Questi studenti, che arrivano dalle aree interne, hanno già fatto la scelta di trasferirsi in città come Milano, Bologna, Torino», ricorda Agutoli. «Difficilmente lascerebbero temporaneamente queste città per un’esperienza di studio nel Sud Italia».
Piuttosto potrebbero optare per l’Erasmus, quello vero, che garantisce in molti casi un’offerta didattica migliore in contesti territoriali più allettanti. «E lo stesso vale per gli studenti meridionali: l’Erasmus in genere lo fai nel luogo che può garantirti il meglio, il vincolo nazionale è estraneo a questa logica», aggiunge Marco Leonardi, Professore di economia politica all’Università di Milano, già capodipartimento alla programmazione economica del Governo Draghi.
Un’idea per incentivare il flusso verso il Meridione potrebbe essere l’adozione di borse di studio particolarmente favorevoli per chi decide di trasferirsi in università collocate in contesti di basso sviluppo socio-economico. Ma di finanziamenti ancora non si parla, e già oggi mancano le risorse per pagare le borse a tutte le persone che ne avrebbero diritto. Secondo quanto dichiarato dal Governo, nell’ultimo anno accademico ci sono stati 5.666 idonei non beneficiari. Per Agutoli, «il Ministero ha aumentato il valore delle borse e allargato la platea, ma i conti non sono stati fatti correttamente. Sarebbe un po’ assurdo se il Governo decidesse di finanziare le borse per gli scambi tra Atenei mentre ci sono ancora migliaia di studenti meritevoli che restano fuori da quelle ordinarie».
Un altro fattore che potrebbe attirare gli studenti verso il Meridione «potrebbe essere la differenza nel costo degli affitti, che come sappiamo sono particolarmente alti nelle città del Nord», ragiona Leonardi. In linea teorica il costo della vita più basso rende appetibili i centri del Sud. Ma nei fatti i servizi e la migliore offerta formativa competono altrettanto nel definire le scelte di mobilità, come spiega lo studio della Banca d’Italia di cui sopra.
Al posto di ridurre il gap tra le università, «il rischio è dunque quello di ampliarlo», conclude Agutoli: «Gli Atenei del Sud cedono già studenti ai grandi hub nazionali e internazionali. Se l’Erasmus italiano avrà successo non è assurdo immaginare corsi con aule dimezzate durante i semestri più coinvolti dagli scambi».