«Sono un fotografo, non un artista». Lo sottolinea spesso, anzi sempre, infastidito dalle regole conformiste che attribuisce al mondo dell’arte e che evitano il confronto autentico, quello con il pubblico. A dire il vero, di quel sistema lo infastidiscono parecchie cose, a partire dalle cornici che inquadrano una foto proteggendola come una reliquia, messa in evidenza come se quel riquadro attorno garantisse, in automatico, che abbia qualcosa da dire.
Se gli proponi una mostra con le cornici salta su, si arrabbia di brutto, cominciano discussioni infinite, nonostante le mediazioni pazienti di Nicolas Ballario che fu suo assistente e oggi è tra le voci nuove più interessanti della comunicazione e della critica d’arte, che sa come prenderlo e riportarlo a più miti consigli.
E tuttavia, quando qualcuno cambia radicalmente la storia di un linguaggio come ha fatto lui, definirlo soltanto attraverso la qualifica professionale risulta limitante. Le immagini di Toscani hanno abitato le città italiane per decenni, in particolare dagli anni ottanta: le abbiamo viste sui cartelloni stradali e sulle pagine dei giornali, ci hanno turbato, scioccato, provocato e, nonostante la pubblicità nasca per veicolare un prodotto e sia destinata a un rapido consumo, ce le siamo ricordate a lungo. Dunque erano qualcosa di più di un semplice annuncio e, anche se l’autore non gradisce, si deve proprio parlare di artista, perché resistono al logorio del tempo e rispetto a uno scatto normale o casuale uniscono la componente istintiva con un’altra progettuale e teorica.
Con l’arte, in ogni caso, Toscani ha avuto più di un contatto, a cominciare dalla Biennale di Venezia del 1993, cui fu invitato da Achille Bonito Oliva a esporre un intero ciclo fotografico che neppure un uomo di larghe vedute come Luciano Benetton si sentì di abbinare al suo prodotto: centinaia di organi sessuali maschili e femminili, di tutte le età, forme e colori, a dimostrare che nel mondo le differenze le stabiliamo comunque noi.
Dopo una strenua resistenza, Toscani alla fine ha ceduto e si è deciso a esporre il proprio lavoro negli spazi museali. Nel 2022, pochi mesi dopo l’ottantesimo compleanno, Milano gli ha dedicato un sentito omaggio a Palazzo Reale, un’antologica pressoché completa delle sue foto, stampate grandi e affisse al muro come fossimo per strada, a cominciare dal bianco e nero degli anni settanta, quando andò a ritrarre Andy Warhol nella Factory, fino agli scatti recenti, con protagonisti i Måneskin, il volto del rock italiano negli anni venti del xxi secolo.
Con Oliviero Toscani è cambiata non solo la fotografia, ma anche il rapporto tra un prodotto di facile fruizione e l’immagine molto spesso dalla natura traumatica: la maglietta insanguinata di un soldato morto in guerra, il barcone dei migranti, le ultime ore di un malato di aids, i primi istanti di vita di un bambino. E poi le campagne di sensibilizzazione per il sesso sicuro, contro l’anoressia, con la scelta davvero estrema di una ragazza nuda dal corpo scheletrico che poi morì di quello stesso male e Toscani confessò a posteriori che mai avrebbe voluto fotografarla. Alcuni dei suoi scatti più famosi hanno mandato messaggi chiari contro il razzismo e le discriminazioni, cominciando dai bambini che non hanno pregiudizi né preconcetti. È il trionfo del colore sullo sfondo bianco e l’unico rimando al prodotto che resta nell’inquadratura è il rettangolino verde in basso a destra, presenza minima, United Colors of Benetton. Eppure, tutti sapevamo che quella era la sua pubblicità e la foto di Toscani.
Il suo stile ha innescato il cortocircuito di senso tra immagine e messaggio fin dalla storica pubblicità «Jesus. Non avrai altro jeans all’infuori di me» e «Chi mi ama mi segua» che fece storcere il naso ai benpensanti, intascando l’apprezzamento di Pier Paolo Pasolini sul «Corriere della Sera», perché univa l’erotismo allusivo dello short strizzato sul sedere e sul basso ventre della modella a una frase che manipolava un comandamento e un’altra di origine evangelica. Provocazione intelligente o blasfemia? Toscani lascia a noi il giudizio. Era il 1973, l’anno di Jesus Christ Superstar, una nuova versione di un Cristo hippie e alternativo a suono di rock. Oliviero colse il momento, poi il resto venne da sé. Lui, che si definisce un situazionista, nella sua autobiografia Ne ho fatte di tutti i colori insiste nel prendere le distanze dal mondo dell’arte, però alcuni suoi progetti come Razza umana – un work in progress cominciato diversi anni fa spostandosi di città in città per ritrarre le persone che meglio la rappresentano – hanno tutte le caratteristiche di un’opera d’arte perché svincolate dal rapporto con il prodotto indispensabile nella foto pubblicitaria.
Nel 2022, a Berlino, Toscani ha cercato i nuovi tedeschi, che non corrispondono più allo stereotipo di capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara, ma dimostrano che l’Europa di oggi è composta da gente di diversa provenienza, cultura, cittadinanza. Anche nell’attività di Fabrica, il laboratorio di idee che ha diretto a Treviso, oppure in «Colors», la rivista che usciva ogni volta in formato diverso e con contenuti differenti – il contrario della serialità che impone il mercato –, Toscani ha sempre premuto il tasto della sperimentazione, fregandosene delle abitudini più ovvie.
Certo, un soggetto così difficilmente sta alle regole, rispetta i limiti e accetta i paletti. Toscani può dire ciò che vuole, è imprevedibile, talvolta ingestibile, comunque sorprendente. Meglio non affrontare temi politici con lui, la sua opinione si regge quasi sempre sul paradosso, adotta un registro sopra le righe non proprio da persona diplomatica: in genere detesta tutti i politici e il suo riferimento resta ancora Marco Pannella, il leader radicale con cui ebbe un rapporto di intensa amicizia.
Altre sue vittime preferite sono i creativi, i direttori artistici, le agenzie: letteralmente massacrati dalle sue dichiarazioni, ritiene siano gli assassini di qualunque aspirazione artistica, convinto che il genio debba fare da sé nella piena libertà di azione ed espressione. Proprio questo desiderio di libertà, di non avere padroni, rende Oliviero Toscani uno dei maestri nella cultura del nostro paese, se per maestro intendi soprattutto chi non ha paura di sovvertire le regole, chi ci prova ogni volta e quasi sempre ci riesce.
L’autore presenterà il libro in tre date:
– Venerdì 15 settembre ore 17.00 a Pordenonelegge, Pordenone Spazio San Giorgio, con Gian Mario Villalta
– Lunedì 18 settembre ore 21.00 Circolo dei Lettori di Torino, via Bogino 9, con Antonio Grulli e Elena Loewenthal
– Giovedì 21 settembre, ore 18.00 Roma MAXXI, via Guido Reni 4A con Nicolas Ballario e Cristiana Perrella