Dopo AmarenaPer salvare l’orso marsicano bisogna lavorare anche fuori dalle aree protette

Come tutti i piani di azione per la tutela delle specie a rischio, anche il Patom non ha un esplicito valore giuridico. Implementare le azioni di informazione e conservazione nei territori al di fuori dei parchi nazionali è fondamentale, ma è urgente allo stesso tempo ampliare il sistema di zone protette

Wikimedia commons

Sappiamo da tempo in che modo possiamo garantire la conservazione dell’orso bruno marsicano, la più rara sottospecie ursina d’Europa di cui oggi esistono solo cinquanta-sessanta esemplari tra Abruzzo, Lazio e Molise. Eppure l’elenco di buone pratiche, invece di tradursi regolarmente in azioni positive, rimane talvolta sulla carta o, peggio, nelle intenzioni. In questo contesto l’uccisione dell’orsa Amarena non è uno sfortunato incidente, ma «è figlia da una parte di un clima politico non particolarmente sensibile alla tematica ambientale, dall’altra di una non sufficiente sensibilizzazione e comunicazione all’esterno delle aree protette», spiega Marco Antonelli, zoologo e naturalista del Wwf Italia. 

La tragedia – perché di tragedia dobbiamo parlare di fronte a una così esigua e minacciata popolazione di orsi – è avvenuta nella tarda serata del 31 agosto in Abruzzo, nella periferia di San Benedetto dei Marsi, al di fuori del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e dell’area contigua (una zona confinante con il parco che, pur non essendo protetta, è regolata da particolari norme di tutela ambientale). 

L’uomo di 56 anni che ha sparato all’orsa con un fucile ha detto di avere esploso il colpo «per paura». Un fatto gravissimo e ingiustificabile per l’Ente parco, che ha sottolineato che «Amarena, pur arrecando danni ad attività agricole e zootecniche, sempre e comunque indennizzati dal Parco anche fuori dai confini dell’area contigua, non aveva mai creato alcun tipo di problema all’uomo». 

«L’uccisione di Amarena è una tragedia di cui forse non tutti colgono la gravità», dice Antonelli. Le femmine di orso impiegano fino a otto anni prima di riprodursi per la prima volta e poi danno alla luce 2 o 3 cuccioli a gestazione, ma non ogni anno. Ecco perché una variazione nel numero di femmine ha un impatto significativo sul futuro della sottospecie. In più Amarena, che aveva da poco avuto altri due cuccioli, era una delle orse più prolifiche della storia recente di questa residua popolazione. 

Il rischio ora è di perdere tre orsi con un solo sparo: le possibilità di sopravvivenza dei due cuccioli, infatti, non sono alte. Accantonata l’ipotesi di catturarli per monitorarne lo stato di salute, le autorità del Parco nazionale hanno per ora optato per un monitoraggio a distanza. Anche se i due piccoli si sono ricongiunti e sembrano in grado di nutrirsi e orientarsi da soli, il loro destino è ancora incerto e qualunque tentativo di cercarli, avvicinarli o fotografarli li metterà ulteriormente in pericolo.

Il piano nazionale per tutelare gli orsi marsicani
Tutto ciò che sappiamo sulla conservazione dell’orso marsicano è nel Piano d’azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano, detto più brevemente Patom. Il documento, redatto più di dieci anni fa e aggiornato ogni due, contiene azioni, obiettivi e priorità per la gestione e la salvaguardia di questo plantigrado. Gli ostacoli alla sua piena realizzazione non sono un segreto, tanto che sono esplicitati già nelle premesse. 

Il primo tema è la difficoltà di attivare un piano unico e coerente con i tanti attori coinvolti. Il protocollo è infatti sottoscritto da ministero dell’Ambiente, Regioni, enti locali, parchi nazionali, istituzioni (come Ispra) e associazioni (tra cui Wwf Italia e Legambiente). Attivare una gestione coordinata ed efficace non è scontato, anche in considerazione del fatto che i settori interessati dalla presenza dell’orso vanno dal turismo alla sicurezza pubblica, dall’agricoltura alla zootecnica. 

In secondo luogo il Patom, come tutti i piani di azione per la tutela di specie a rischio, non ha un esplicito valore giuridico. «Sono linee guida a cui gli enti firmatari dovrebbero attenersi, ma senza obbligo né vincoli. Insomma, non sono previste sanzioni o simili nel caso in cui le azioni prescritte non vengano realizzate entro i termini indicati», specifica Antonelli. 

«Ci sono enti che effettivamente fanno moltissimo: penso al Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, al Parco nazionale della Maiella o ad associazioni come Wwf e Salviamo l’orso. Ma ci sono anche enti che sono carenti: la Regione Abruzzo, ad esempio, dovrebbe essere responsabile della conservazione e gestione dell’orso marsicano fuori dalle aree protette, dove invece viene fatto ancora poco». 

Nel 2022 la Regione Abruzzo ha stanziato per la prima volta i fondi da destinare alla conservazione dell’orso bruno marsicano non su una singola annualità, ma sul triennio 2022-2024, scelta che dovrebbe consentire una migliore gestione delle risorse. I fondi del 2022, cinquantamila euro, sono stati destinati all’indennizzo dei danni da orso nei comuni limitrofi al Parco e al finanziamento di interventi di conservazione nei Siti Natura 2000.

L’idea prevalente è che l’orso marsicano sia una responsabilità esclusiva del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, uno dei più antichi d’Italia e certamente la roccaforte di questo plantigrado, nei cui confronti i residenti hanno nella maggior parte dei casi un atteggiamento positivo e responsabile. Muovendosi molto e su lunghe distanze, però, l’orso non può evidentemente rimanere confinato soltanto entro i limiti di quest’area protetta. 

«La conservazione dell’orso marsicano, che deve essere considerata una vera emergenza naturalistica italiana, si gioca molto fuori dai confini del Parco: nelle altre aree protette che cominciano gradualmente a essere interessate dalla sua presenza, come il Parco della Maiella, e nelle aree che attualmente non sono protette, ma che speriamo lo diventino in futuro», prosegue Antonelli. Anche il presidente del Parco, Giovanni Cannata, ha notato che all’interno delle aree protette c’è in genere maggiore consapevolezza ambientale, mentre al di fuori è più comune che si verifichino problemi di convivenza.

Buone pratiche e prospettive future
Le misure di tutela contenute nel Patom, già adottate negli ultimi anni, si concentrano su due filoni: fare adeguata sensibilizzazione sul territorio e mitigare il conflitto tra orso e attività umane come apicoltura e allevamento, specialmente quello domestico di piccoli animali. L’orsa Amarena, stando a quanto emerso fino ad ora, è stata uccisa proprio in seguito all’avvicinamento a un pollaio. 

«Arnie, pollai e allevamenti vanno messi in sicurezza o adeguatamente protetti, ad esempio con recinzioni elettrificate», spiega Antonelli, che chiarisce che mitigare il conflitto tra orso e attività umane significa di conseguenza «ridurre il bracconaggio, le possibilità di giustizia fai da te e la mortalità per causa antropica». 

Importante è anche la riduzione della mortalità causata da investimenti stradali, che si previene soprattutto con la diffusione di strumenti per diminuire la velocità sulle strade, con l’installazione di dissuasori anti-attraversamento e con la manutenzione dei sottopassi che consentono alla fauna selvatica di attraversare in sicurezza le strade ad alto scorrimento (oltre che sensibilizzando la popolazione sulla necessità di rispettare i limiti di velocità). 

Dal 1970 al 2022, a parte gli orsi marsicani morti per cause ignote (quarantadue casi), le armi da fuoco sono state la prima causa di mortalità (ventidue) seguite da incidenti stradali (tredici), avvelenamento (undici), bracconaggio (sette) e incidente ferroviario (sette). Juan Carrito, orso confidente e figlio di Amarena, è morto a gennaio 2023 proprio in seguito a un investimento lungo la statale 17 tra Castel di Sangro e Roccaraso.

Tra le misure introdotte per mitigare il conflitto uomo-orso c’è da tempo anche la possibilità di ricevere un indennizzo per i danni economici causati dal plantigrado. Dal 2006 al 2015 l’ente parco ha indennizzato poco meno di seicentosettantatremila euro per i danni provocati dall’orso bruno, pari a circa il ventisette per cento del totale dei risarcimenti erogati al settore zootecnico. In tutto il 2022 le richieste di indennizzo ammesse per danni alla zootecnia sono state centocinquanta, di cui centodieci in Abruzzo; quelle per i danni all’agricoltura quaranta, meno della metà rispetto al 2021. 

Secondo uno studio recente coordinato dall’Università La Sapienza di Roma, il conflitto «aumenta in relazione alla percezione di come i costi e i benefici della coesistenza con l’orso siano distribuiti tra categorie sociali, nonostante tutte sostengono la causa della sua conservazione». Il suggerimento degli autori è anche quello di collaborare maggiormente con tutti i portatori di interesse, tra cui allevatori e cacciatori, così che anch’essi possano sentirsi più coinvolti e responsabilizzati.

Nel Patom c’è poi il grande filone della comunicazione e della sensibilizzazione, un punto su cui, ribadisce Antonelli, bisogna insistere soprattutto nelle aree esterne al Parco nazionale e alle aree contigue. Al di là del far conoscere biologia di base e comportamento dell’orso, l’obiettivo è fare in modo che tutti – apicoltori, allevatori, automobilisti di passaggio, alunni delle scuole, turisti, residenti – sappiamo cosa fare quando si trovano in una zona abitata o potenzialmente visitabile dall’animale. 

Ad esempio, i cittadini devono essere informati sull’importanza di una corretta gestione dei rifiuti, che altrimenti potrebbero attirare nel centro abitato un orso in cerca di cibo e renderlo con il tempo confidente, cioè abituato alla presenza umana e potenzialmente problematico. «Sono piccoli dettagli che però possono fare la differenza, quindi si deve investire tanto nella comunicazione, anche coinvolgendo i comuni e le aziende responsabili della gestione e dello smaltimento dei rifiuti», aggiunge l’esperto.

La messa in sicurezza di apiari e allevamenti e la buona gestione dei rifiuti sono esempi di pratiche che vengono già messe in atto con successo in altri territori fuori dall’Italia, dove siano presenti orsi o grandi carnivori. Ma su altri fronti l’Appennino centro-meridionale naviga in un territorio relativamente inesplorato: la situazione dell’orso bruno marsicano non ha eguali e per questo bisogna trovare soluzioni diverse da quelle adottate altrove. «Su una popolazione di mille orsi, non è un problema prelevare e togliere dall’ambiente naturale un esemplare confidente o problematico. È difficile farlo invece se la popolazione è solo di sessanta orsi: in questo caso ogni individuo ha un valore enorme e l’obiettivo è che resti in natura per contribuire alla sopravvivenza della specie».

Implementare le azioni di informazione e conservazione specialmente nei territori al di fuori dei parchi nazionali è fondamentale, ma secondo Antonelli è urgente allo stesso tempo ampliare il sistema di aree protette. Lo prescrive anche la Strategia europea sulla biodiversità: il target è portare le aree protette italiane al trenta per cento del territorio entro il 2030 (attualmente oscillano tra il venti e il ventuno per cento). «L’orso è una specie particolarmente sensibile al disturbo umano e alla qualità dell’habitat; quindi, è molto importante che ci sia un sistema di aree protette più ampio e meglio connesso. È questa la vera sfida da vincere per garantire la sopravvivenza di una popolazione vitale di orso in Appennino in futuro». 

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