Phishing d’aprileLa notte che andò offline Glonass e la prima guerra mondiale satellitare

Il conflitto in Ucraina è stato combattuto, sin dall’occupazione della Crimea nel 2014, anche nello spazio. Un’inchiesta di Frediano Finucci (Paesi edizioni) ricostruisce, con fonti inedite e interviste, le schermaglie tra superpotenze a centinaia di chilometri di distanza dalla Terra

Foto di Igor Mashkov su Pexels

«La U.S. Air Force ha rilevato un aumento dell’attività dei satelliti russi nelle vicinanze della fascia geosincrona, che ospita molti satelliti militari e di intelligence degli Stati Uniti. Funzionari hanno detto a Cnn di essere preoccupati per queste manovre, ma non hanno ancora tratto conclusioni su ciò che i russi potrebbero cercare di fare».

La fonte anonima dell’Aeronautica militare statunitense conclude che queste manovre dei satelliti russi sono viste come «potenzialmente pericolose per gli asset [i satelliti, ndr] americani»

È interessante notare come questo articolo della Cnn sia scomparso da Internet: non è più rintracciabile, neppure con gli appositi programmi che recuperano le pagine web rimosse. Eppure, è stato pubblicato: l’abbiamo recuperato grazie al motore di intelligenza artificiale ChatGPT, che ci ha restituito il testo e anche l’indirizzo originario. Questo significa che l’articolo è stato sì rimosso, ma evidentemente è stato anche citato in qualche pubblicazione che ChatGPT ha memorizzato durante la sua quotidiana «pesca a strascico di informazioni».

Ora, sarà un caso, ma esattamente due settimane dopo il referendum in Crimea ed il contestuale, inusuale, allarme dell’Air Force americana alla Cnn si verifica il più clamoroso guasto ad un’infrastruttura satellitare mai avvenuto nella storia, a danno delle forze armate russe.

Alle 10.30 della sera moscovita del primo aprile 2014, in una manciata di minuti, tutti i ventiquattro satelliti della costellazione Glonass (il Gps russo) vanno contemporaneamente fuori uso per ben tredici ore: tredici lunghissime ore durante le quali le navi militari russe, gli aerei e quindi anche i sistemi di controllo dei loro missili si sono trovati senza il proprio sistema di navigazione. Una cosa del genere non era mai successa.

I responsabili russi si trincerano nel silenzio e non rilasciano dichiarazioni. Ripristinato finalmente il servizio, passano quindici giorni e di nuovo otto satelliti Glonass vanno fuori uso per mezz’ora; trattandosi di un terzo della costellazione, gli esperti sostengono che i rimanenti potrebbero aver inviato dati non accurati, mettendo quindi di nuovo in tilt l’intero sistema di navigazione e i suoi utenti (di fatto soltanto le forze armate russe).

Soltanto 23 giorni dopo il blackout totale l’allora capo dell’agenzia spaziale russa, Oleg Ostapenko, si presenta alla stampa e dichiara che il malfunzionamento era dovuto a non precisati «errori matematici nel software»; che quindi non era un problema serio (!) e che sarebbe stato risolto a breve.

Ora, il sistema russo Glonass ha la reputazione di essere, come molta tecnologia di derivazione sovietica, «rustico»: è robusto, funziona egregiamente per quel che deve fare, ma non lavora di fino e per questo non è usato nelle più diffuse applicazioni commerciali (smartphone, tablet e apparecchiature navali) e comunque viene sempre utilizzato (dai russi) in accoppiamento col Gps americano per migliorare la precisione ed evitare di rimanere scoperti in caso di problemi.

Due mesi dopo il clamoroso blackout, il 2 giugno 2014, sulla pagina Linkedin di un’analista americano di nome Paul Szymansky, molto seguita da esperti militari e legati al mondo della difesa, appare un lungo e dettagliato report scritto da Szymansky stesso, un fisico che ha lavorato a lungo per le forze armate statunitensi occupandosi di questione relative allo Spazio e alla sicurezza.

Szymansky, che abbiamo a lungo intervistato, ha verificato che i ventiquattro satelliti Glonass il primo aprile 2014 non sono andati in blocco contemporaneamente ma si sono spenti in ordine numerico progressivo, sequenziale, uno dopo l’altro: eventualità che – a suo dire – renderebbe poco credibile la casualità o il semplice guasto, ma sembrerebbe più consona a un agire umano, a una «manina» che segue una lista in modo ordinato e preciso, spegnendo un satellite dopo l’altro.

Non solo. L’analista sostiene di aver analizzato le orbite dei satelliti per capire dove si trovassero al momento dello spegnimento e scrive che l’unico punto del globo dove c’era una finestra di visibilità per sferrare un attacco del genere era la località australiana di Alice Springs, nelle cui vicinanze si trova Pine Gap, una base di controllo, ascolto e ricezione satellitare che fa capo ai cosiddetti Five Eyes («Cinque Occhi») ossia l’alleanza tra le agenzie di spionaggio di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. […]

Durante il nostro lungo colloquio, Szymansky rafforza la sua tesi aggiungendo un particolare davvero gustoso: ci fa notare come l’attacco sia partito alle 6.30 del mattino di Alice Spring, orario che – a suo dire – coincide con il canonico inizio del primo turno di lavoro in quel-la struttura.

Inoltre Szymansky sostiene che, sebbene gli esperti presenti a Pine Gap siano perfettamente in grado di fare un’operazione del genere, a suo parere (e qua, precisiamo, nonostante la nostra insistenza, non porta prove a riguardo) l’attacco potrebbe essere stato fatto dal 4° Squadrone Space Control di stanza nella base aerea di Holloman, in New Mexico: una sezione dei Marines appositamente creata per fare jamming in teatri di guerra e che per questo si muove con grandi elicotteri che trasportano le antenne necessarie a queste operazioni.

Ora, Paul Szymansky, ha un curriculum tecnico di tutto rispetto e un seguito su Linkedin di autorevoli personaggi legati al mondo militare americano e della ricerca aerospaziale.

Andando a rileggere i suoi articoli, abbiamo verificato che in effetti ha anticipato (addirittura di una decina di anni) alcuni eventi che si sono effettivamente verificati nel mondo dei satelliti militari. Detto questo, la sua tesi è impegnativa, per usare un eufemismo, e abbiamo quindi mostrato i suoi scritti e riferito le sue ipotesi ad esperti del settore per un parere.

Alcuni sembrano più propensi ad attribuire il blackout del Glonass ad intrinseche debolezze della tecnologia russa, non escludendo però – con una probabilità del 30% – che si sia trattato di un intervento esterno. Altri ancora definiscono l’ipotesi dell’attacco «possibile, probabile, ma non dimostrabile» con la certezza, comunque, che solo gli Stati Uniti hanno la tecnologia per fare una cosa del genere.

Un’altra fonte interpellata, che possiamo senza dubbio definire estremamente qualificata, non ha avuto difficoltà a credere alle ipotesi di Szymansky, spiegandoci che la disconnessione dei satelliti Glonass potrebbe essere stata fatta in modo sequenziale proprio per far capire che non si trattava di un malfunzionamento improvviso dell’intero sistema bensì di un’azione deliberata, un modo per lasciare volutamente le «impronte digitali».

La nostra fonte l’ha definita «effetto deterrenza». Come dire: vedi cosa ti posso fare? Per correttezza dobbiamo riportare che altre fonti usano la stessa motivazione per smontare l’ipotesi dell’attacco: se si trova una falla nel sistema del nemico, perché farglielo capire in modo che possa porvi rimedio e lasciare anche la firma? Un’altra fonte che abbiamo consultato, con forti competenze di elettronica applicata al mondo della Difesa, ha invece ipotizzato che l’attacco sia stato un pretesto/occasione per testare qualche nuova tecnologia.

Resta comunque da capire il movente: perché gli Stati Uniti avrebbero fatto un’azione del genere? Avvertimento? Prova di forza? Rappresaglia (per un attacco informatico che hacker russi avrebbero fatto ad un gruppo di banche americane in quel periodo)? Forse la spiegazione più probabile è la volontà di creare disturbo ai Russi in un momento particolare (considerato il contesto storico «caldo») o per impedire loro di fare qualcosa.

A queste domande al momento non ci sono risposte. Rimangono solo molti indizi dettagliati, coincidenze temporali a dir poco sospette e, sullo sfondo, le parole con le quali Obama a distanza di quasi dieci anni ha giustificato un mancato intervento militare in Crimea: «Penso che abbiamo risposto a Putin con gli strumenti che avevamo a quel tempo».

Da “Operazione Satellite” di Frediano Finucci, Paesi Edizioni, 128 pagine, 14 euro. Il volume viene presentato il 19 settembre, a Roma, presso la Sala Conferenze di Spazio Europa di via Quattro novembre.

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