Per spiegare a un non triestino cosa sia un’osmiza – che si può scrivere così, ma anche nella corretta grafia slovena, osmica, che comunque si pronuncia sempre con la zeta – bisogna andare per esclusione. Serve cibo e vino a prezzi più che popolari, ma non è un ristorante, e nemmeno un agriturismo o un’osteria. Può essere una cantina, in estate un cortile o un giardino, ma anche la stanza di un’abitazione privata. È aperta al pubblico, ma solo in alcuni periodi dell’anno. Non si può ordinare di tutto, ma solo cibi prodotti in loco come salumi di ogni tipo, prosciutto, formaggi, sott’oli, olive, uova sode, qualche volta strudel, accompagnati da pane e dai vini dell’altipiano, Terrano, Refosco (rossi), Vitovska e Malvasia (bianchi).
Non ha insegne, per trovarla bisogna seguire la “frasca de vin”, un mazzo di edera corredato di una freccia di legno rossa che indica la direzione. Si frequenta, in teoria, a pranzo o a cena, ma in realtà ci si va a ogni ora, da soli, con gli amici, in gruppo o in coppia, dopo un tuffo in mare o una camminata, prima o dopo un matrimonio, un funerale, una laurea, nella pausa pranzo, al mattino, al pomeriggio. E c’è chi, si racconta, in osmiza ha scritto tesi di laurea e libri, anche se il frastuono delle chiacchiere e, a volte, dei canti che di solito vi regna rende il racconto abbastanza improbabile.
La sua estensione territoriale coincide per lo più con l’altopiano del Carso, tra Italia e Slovenia: in tutta la provincia di Trieste, dove se ne contano una cinquantina, nella Valle del Vipacco e nell’Istria slovena, nei comuni di Capodistria e di Isola. Ma l’osmiza è stretta parente della frasca, o privata, friulana e del buschenschank altoatesino e austriaco.
L’antenato comune è l’Impero austroungarico, a cui tutte queste regioni appartenevano, il padre è Giuseppe II d’Asburgo che nel 1784 autorizzò i contadini a vendere i propri prodotti direttamente all’interno delle loro aziende. Per l’epoca sembra un atto innovativo e per il mondo contadino una conquista, quasi un chilometro zero ante litteram, ma pare che l’imperatore non facesse altro che dare veste ufficiale a un’usanza ancora più antica, che alcuni storici fanno risalire all’epoca di Carlo Magno quando l’Istria e Tergeste vennero abbandonate dai bizantini ed entrarono a far parte del Regno franco. Sarebbe stato il fondatore del Sacro Romano Impero il primo a concedere a tutti i viticoltori del territorio il diritto di vendere direttamente il loro vino segnalando tale attività con l’esposizione di una frasca. Un documento del 1430 riporta le ragioni dei contadini di Prosecco, un quartiere di Trieste, con cui sostenevano che il loro vino sfuso venduto sul posto fosse esente da dazi.
Il permesso di vendita durava per periodi di otto giorni consecutivi, da cui la parola osmiza, da ocem, che in sloveno indica il numero otto. Stava ai contadini definire orari e prezzi. Anche in questo caso sarebbe la ripresa di un’usanza più antica. Già secoli prima, i festeggiamenti estivi in occasione delle fiere di San Lorenzo e di San Giovanni duravano lo stesso periodo di tempo.
Oggi le osmize hanno molta più libertà. Sono disciplinate da un regolamento comunale e il loro periodo di apertura e la sua durata sono a discrezione del proprietario, in base alla quantità di vino prodotto. Le stagioni migliori sono quelle in cui si può stare all’aperto, ma anche le osmize invernali, con la stufa o il camino acceso, hanno un loro fascino.
Per rintracciarne una dove andare – l’apertura e la chiusura delle osmize più popolari sono un argomento di conversazione molto diffuso – non occorre andare a caccia di frasche, perdendosi nell’intricata viabilità carsolina tra fitti boschi, curve a gomito e muretti a secco traditori; basta consultare un sito che ne indica telefono, orario e giorni di apertura e indirizzo. Regola vuole che ce ne siano sempre alcune disponibili. Ovviamente si può anche andare a caso, e raramente si sbaglia, ma i triestini hanno i loro punti di riferimento e i loro indirizzi storici, ormai arrivati alle seconde e anche alle terze generazioni.
Senza far torto agli altri, tra i nomi più noti, anche a livello internazionale, per l’eccellenza di vini e formaggi, c’è Benjamin Zidarich a Prepotto. Notevoli la terrazza vista mare e la cantina, visitabile, profonda 22 metri e suddivisa in tre piani sotterranei. Sempre a Prepotto c’è Škerk, ininterrottamente in attività fin dal 1960. Offre una scelta di vini dalla Malvasia al Sauvignon – passando per l’immancabile Terrano – e ottimi salumi prodotti a partire da maiali allevati allo stato brado in una dolina. E ancora, prosciutto crudo o arrosto e dell’ottimo formaggio Jamar stagionato in grotta e servito con un po’ di miele. A Slivia, frazione del comune di Duino-Aurisina, le Torri di Slivia abbinano alla degustazione di vini e salumi accompagnati da olive, verdure e pomodori , la visita a delle suggestive grotte di proprietà dell’osmiza, che si raggiungono con un trattore guidato dal proprietario. Da leggere, per scoprire la storia, i racconti e le particolarità del mondo delle osmize visto ed esplorato palmo a palmo, Osmize illustrate. Trieste e il Carso di frasca in frasca, di Alessandra Cossu ed Elisabetta Bonino.