La battaglia sulla libera circolazione del grano ucraino in Europa ha già mietuto una vittima: l’europeismo polacco. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha infatti annunciato lo stop all’invio di armi a Kyjiv: la motivazione ufficiale è la necessità nazionale di concentrarsi sull’ammodernamento delle proprie dotazioni militari, ma è facile scorgere dietro questa mossa una ritorsione politica verso la Commissione Europea.
L’invasione dell’Ucraina, infatti, aveva indotto Varsavia a un atteggiamento dialogante con Bruxelles e i partner europei in funzione pro-Kyjiv, a causa del timore e dell’odio atavico che da sempre la Polonia nutre verso la Russia, prodotto di secoli di conflitti con un vicino ingombrante.
Per un anno e mezzo, la postura polacca in Europa sembrava cambiata radicalmente: Varsavia è divenuta uno dei Paesi membri più insistenti nel chiedere posizioni comuni in politica estera, cercando di incalzare i più scettici, sia a livello europeo che nella Nato. Un cambiamento non da poco, per un Paese storicamente restio a dare più poteri centrali all’Unione Europea, che osteggia apertamente gli obiettivi ambientali e che non brilla sui diritti civili e politici. Da tempo, ad esempio, il governo polacco affronta una serie di procedure di infrazione a causa della riduzione dell’indipendenza della magistratura, oltre che per il mancato riconoscimento del diritto all’aborto e dei diritti della comunità omosessuale.
Nelle scorse settimane, però, l’afflusso di grano ucraino nel mercato unico europeo, rappresentando un rischio per l’agricoltura polacca a causa dei costi minori, ha risvegliato vecchie abitudini. Il governo, dunque, si è messo alla testa di un gruppo di cinque Paesi coordinando un blocco al grano di Kyjiv da parte di questi cinque Stati membri. Mossa che viola le regole del mercato unico europeo: la Commissione Europea, infatti, aveva autorizzato l’arrivo nell’Unione europea del grano, e ha ribadito recentemente la sua linea dichiarando illegittimo il blocco. La stessa Ucraina, inoltre, aveva denunciato la cosa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
La risposta polacca, dunque, è stata la sospensione degli aiuti militari verso Kyjiv. Una mossa tanto spietata quanto chiara nel suo messaggio, e che rivela il bluff polacco: l’attitudine dell’ultimo anno e mezzo, più che da sincera partecipazione ai valori europei e alla difesa delle democrazie (persino quando extra-UE) nasce prettamente dal bisogno nazionale (reale o presunto) di mobilitare risorse contro Mosca, portando su questa linea quanti più Stati membri possibili.
La scelta di Varsavia si spiega soprattutto con la necessità, per il partito di governo PiS, di vincere le elezioni nazionali di metà ottobre: assecondare le richieste degli agricoltori, una delle categorie di riferimento del partito e in grado di mobilitare molti voti nella società polacca, può essere determinante in ottica elettorale. Ma per la Polonia si tratta anche di una mossa negoziale: mostrarsi disposti a sacrificare Kyjiv è funzionale a tenere sotto ricatto la Commissione Europea su altri temi, su cui il governo polacco ragiona seguendo esclusivamente l’interesse a breve termine della maggioranza.
È possibile, tuttavia, che la cosa si ritorca contro Varsavia. Il ritiro del sostegno militare può indispettire diversi alleati all’interno della Nato (Stati Uniti in primis), e persino nel partito europeo dei Conservatori e Riformisti, dove il PiS polacco siede con Fratelli d’Italia. Se Meloni è attestata su una linea di chiaro sostegno all’Ucraina, infatti, la mossa di Morawiecki potrebbe far discutere gli alleati. Inoltre, se, come è probabile, la mossa non dovesse servire a strappare concessioni sul grano, il governo non potrebbe esibire nessuna vittoria utile di fronte alle sue categorie sociali di riferimento.
È possibile, dunque, che la Polonia si ritrovi più isolata, e per giunta senza più poter ricoprire il ruolo di interprete della difesa di Kyjiv e delle preoccupazioni dei Paesi dell’est nei confronti dell’espansionismo russo.
Se a seguito dell’invasione russa, Varsavia si era improvvisata ardente sostenitrice della democrazia, la battaglia europea del grano le ha fatto gettare la maschera: e da capofila del sostegno a Kyjiv potrebbe, mestamente, tornare all’antico spirito di avversario interno all’Unione europea, più interessata a strappare concessioni e risorse che a difendere l’Europa.