La solidarietà è un’altra cosa. Non appena la Commissione europea, venerdì scorso, ha annunciato che non avrebbe rinnovato le restrizioni alle esportazioni di cereali ucraini – varate a maggio proprio per l’insistenza di cinque Stati membri – Ungheria, Slovacchia e Polonia (tre di quei cinque) hanno annunciato un embargo unilaterale. Romania e Bulgaria si sono sfilate da questa specie di blocco del grano. Ora Kyjiv risponde: un ricorso non a Bruxelles, che si è limitata ai richiami verbali, ma all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).
Un nuovo embargo (unilaterale)
«È importante dimostrare che queste azioni sono legalmente sbagliate», ha detto il rappresentante del governo di Volodymyr Zelensky, Taras Kachka, in un’intervista a Politico Europe. La denuncia formale dovrebbe arrivare «nel futuro immediato». La motivazione della scelta della sede per la battaglia è che «tutto il mondo deve vedere come questi Paesi si comportano nei confronti dei loro partner commerciali e della loro stessa Unione», spiega Kachka.
Kyjiv ha dal 2014 un accordo di associazione con l’Ue e dal 2016 un trattato di libero scambio ha ridotto i dazi, azzerati dopo l’invasione russa del febbraio 2022 in un segnale di sostegno alla Repubblica sotto attacco. La Commissione prima dell’estate aveva acconsentito a misure eccezionali e temporanee per i cinque Stati di cui sopra, che avrebbero voluto una proroga di regime sino alla fine dell’anno. Ma «le distorsioni sui mercati dei cinque Stati membri sono scomparse», ha rilevato Bruxelles, annullando le limitazioni applicate a grano, mais, colza e semi di girasole.
A queste derrate era preclusa la vendita in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Romania e Bulgaria, ma i carichi ucraini potevano lo stesso attraversare i loro territori per raggiungere il mercato unico. Il punto è che i governi “ribelli” sono andati oltre. Se Bratislava ha prorogato il bando sul frumento, l’Ungheria ha incluso nella lista venticinque nuovi prodotti, tra i quali la carne. È un provvedimento simbolico, le esportazioni di macelleria sono residuali per Kyjiv. Rischiano di essere più dolorose, in termini economici, le aggiunte polacche, che hanno colpito farina e mangimi.
Se non verranno ritirate, «saremo costretti a rivalerci, proibendo le importazioni di frutta e verdura dalla Polonia», ha avvisato Kachka, che ha anche risposto alle giustificazioni addotte dalle tre nazioni. La scusa è proteggere i rispettivi agricoltori. «Il bando non aiuterà i contadini, non avrà effetti sui prezzi perché sono globali – ha concluso Kachka –. Ciò che stanno facendo si basa sull’opinione pubblica». Sembrerebbe suggerirlo anche il calendario elettorale.
L’intreccio con le elezioni
In Polonia si vota il 15 ottobre. I sovranisti di Diritto e Giustizia (PiS) si sono irrigiditi anche perché temono la concorrenza a destra di Konfederacia. Varsavia ha tenuto una linea fermamente atlantista, ma l’avvicinarsi delle urne ha innescato una sterzata identitaria che rischia di intaccare l’alleanza con l’Ucraina. Dopo il tentativo di distensione storica tra i presidenti Zelensky e Andrzej Duda per i massacri in Volinia durante la Seconda guerra mondiale, ora il primo ministro Mateusz Morawiecki antepone gli «interessi degli agricoltori polacchi» alle «lamentele» di Kyjiv.
Per il PiS il mondo rurale è il principale bacino di consenso. Sta cercando di compattare quello zoccolo con leggi-spot, come quella (ancora da ratificare al Senato) che di fatto vieta l’educazione sessuale nelle scuole o nuove puntate nella restrizione dell’accesso all’aborto. Dell’Ungheria – neutrale nella teoria, filorussa nella prassi – non parliamo. La Slovacchia va alle urne prima di Varsavia, il 30 settembre.
Il rischio, concreto, è che il ritorno al potere dell’ex premier Robert Fico coincida con un riposizionamento del Paese. Già al vertice tra il 2006 e il 2010, poi dal 2012 al 2018, il capo di Smer ha collezionato dichiarazioni imbarazzanti, anti Nato, durante la campagna elettorale. Ha detto, tra le altre cose, che se vincerà interromperà gli aiuti militari a Kyjiv; che il conflitto, di cui lui ritiene corresponsabile l’Occidente, è «cominciato nel 2014 quando i nazisti ucraini hanno iniziato ad assassinare cittadini russi in Donbas». Tesi che ricalcano la propaganda – falsa pure dal punto di vista storico – del Cremlino.
L’attuale esecutivo di Bratislava probabilmente cerca di non alienarsi voti a poche settimane da un appuntamento decisivo. Come nel caso polacco, sono mancette elettorali. Oltre le nuove tensioni a livello europeo, di cui nessuno sentiva il bisogno, va ricordato che le derrate ucraine sfamano un pezzo di mondo. Nel 2021 il Paese era il secondo esportatore mondiale di grano (le entrate, ventisette miliardi di dollari, valevano metà del suo export).
Per questo, seppur con volumi ridotti e nel silenzio globale per gli attacchi russi, Kyjiv sta cercando di spostare tonnellate lungo una nuova rotta sul Mar Nero: un corridoio vicino alle coste di Romania e Bulgaria, membri dell’Alleanza Atlantica. Sabato da lì sono passate due navi, con un carico di ventimila tonnellate di cereali destinate ad Africa e Asia. La Commissione ha sgridato, diciamo così, il trio, ma non ci sono procedure d’infrazione all’orizzonte. Così da consentire, a Bratislava e Varsavia, di scavallare la data delle elezioni.