Come Vice Presidente di AIGAB, Associazione Italiana dei Gestori di Affitti Brevi, ritengo opportuno offrire ai lettori de Linkiesta il punto di vista di chi – come noi – lavora nel settore degli affitti brevi, a integrazione di quanto scritto da Massimo Taddei nell’articolo “Wannabe New York | L’inadeguatezza dell’Italia nella gestione degli affitti brevi” del 18 settembre.
La bozza di DDL “Santanché” fissa una durata minima di due notti per gli affitti brevi e, anche se è vero che i soggiorni di una notte pesano solo per il 5% degli affitti brevi, siamo d’accordo che si tratti di una misura volta unicamente ad avvantaggiare il settore alberghiero che potrà essere l’unico interlocutore a poter soddisfare questa domanda, togliendo ai turisti la possibilità di scegliere la sistemazione preferita.
Per quanto riguarda la categoria degli albergatori, non pensiamo -a differenza di quanto scritto- che abbiano «perso business a causa degli affitti brevi», ma, per dirla tutta, che ciò sia successo solo nei casi in cui questa categoria non sia stata capace di innovare e andare incontro alle mutate esigenze della domanda turistica, soprattutto internazionale.
Negli ultimi 15-20 anni il mercato turistico è profondamente mutato: è cresciuto enormemente per effetto dell’apertura verso nuovi mercati (BRICS in primis), si è modificato come tipologia di turista e di destinazioni per lo sviluppo del traffico aereo, soprattutto low-cost, con scoperta di nuove destinazioni (si pensi a città come Bologna, Bergamo o Bari, un tempo non considerate mete turistiche), Infine i social network hanno contribuito alla velocizzazione dei trend con spostamenti di masse turistiche più repentine da una destinazione all’altra (es. il fenomeno delle Cinque Terre, invasa da turisti asiatici).
Di fronte a questi fondamentali cambiamenti, il sistema dell’offerta ricettiva italiana è stato capace di rispondere in maniera molto limitata: molto bene nel settore del lusso, anche con investimenti importanti in località tradizionalmente non turistiche (pensiamo a Milano post Expo), molto meno bene nel turismo ‘mainstream’, dove l’unica risposta in termini di offerta è stato lo sviluppo del mercato degli affitti brevi, vedi la scarsità di offerta di hotel nelle nuove destinazioni turistiche italiane.
Gli alberghi rimangono in Italia la prima scelta in termini di offerta. Infatti, anche nel 2023 l’annuale ricerca condotta da YouTrend per conto di Wonderful Italy sulle vacanze estive degli italiani ha evidenziato come l’albergo sia ancora al primo posto nelle preferenze degli italiani con il 33%, mentre le case vacanza seguono al secondo posto con il 29%. Gli operatori del settore affitti brevi non considerano gli alberghi come competitor, perché rispondono a una domanda diversa dalla nostra. Il nostro principale concorrente è semmai il mercato sommerso: siamo quindi i primi a volere a una regolamentazione del settore finalmente organica e non frammentata su base localistica come lo è attualmente.
A proposito di regolamentazione, già dal titolo, il vostro articolo sembra auspicare per l’Italia una legislazione ricalcata sul modello newyorkese.
Crediamo però il paragone tra New York e l’Italia non regga per due motivi: la struttura legislativa e quella del mercato immobiliare. Gli Stati Uniti sono una confederazione dove ogni stato può legiferare su molte materie in totale autonomia anche su diritti fondamentali e questo rende possibile, per fare un esempio estremo, che la pena di morte sia in vigore in 13 stati e non nei rimanenti 37. In Italia le norme locali non possono derogare le norme nazionali e il proprietario di un immobile a Torino deve, secondo noi giustamente, avere gli stessi diritti del proprietario di un immobile a Trani.
Dal punto di vista immobiliare, la città di New York ha cronicamente una situazione di ‘full occupancy’ degli immobili, sia a Manhattan, sia ormai negli altri Boroughs. La mia personale esperienza di studente universitario a New York sul finire degli anni ‘90 era che le case in affitto restavano libere solo per poche ore, tanta era la domanda.
L’Italia è una nazione di seconde case, di case vuote perché spesso non utilizzate e non solo nelle località di vacanza. Su base nazionale, le case vacanza sono circa 630.000, ovvero l’1,5% dello stock immobiliare totale, mentre le case vuote sono 9,5 milioni pari a quasi il 29% del totale. A Milano ad esempio, a fronte di 17.000 case sul mercato degli affitti brevi (Fonte: AirDNA), pari all’1,2% dello stock immobiliare cittadino, secondo ISTAT ci sono 98.000 case non utilizzate (tra cui 13.000 case popolari non assegnate). A Roma le case vuote sono addirittura 240.000.
Ma perchè queste case sono vuote? Perché alcuni proprietari (pochi rispetto al totale) scelgono l’affitto breve invece di quello tradizionale? Quello che pesa maggiormente sulla scelta è l’assenza del rischio di morosità. Si invoca tanto l’adozione di nuove norme sulla locazione breve ma si trascura il fatto che la normativa sulla locazione tradizionale è ferma da 25 anni e, oltre a essere ormai obsoleta, non ha mai tutelato i proprietari di fronte al rischio di morosità degli inquilini. Anche il recente blocco di due anni degli sfratti, a causa della pandemia, non ha di certo incentivato i proprietari a entrare nella locazione tradizionale. Regole in principio giuste per proteggere la categoria più debole degli inquilini, finiscono per bloccare il mercato e lasciare milioni di case vuote.
Non è nemmeno chiaro perché la tassazione con cedolare secca sia ritenuta inappropriata per gli affitti brevi, anche se giustamente fate presente che gestire una casa vacanza è un lavoro complicato e che richiede molte attività (accoglienza, pulizie, gestione burocrazia). Queste attività comportano costi, diretti o attraverso le società di gestione che AIGAB rappresenta, che possono arrivare anche a dimezzare il ricavo lordo. Sarebbe quindi più giusto considerare la cedolare secca rispetto a questo guadagno netto, invece che rispetto alla citata tariffa di 100 euro lordi a notte.
A chi gioverebbe infine il «togliere dal mercato gli alloggi in affitto breve»? Di certo non a oltre mezzo milione di famiglie che così possono incrementare il proprio reddito. Non gioverebbe nemmeno a chi cerca casa in affitto per vivere o per studiare perché per ogni casa in affitto breve, ce ne sono almeno 7 vuote e perché le locazioni turistiche si concentrano nei centri storici, le zone storicamente più care delle città e meno vivibili (ZTL, assenza di scuole e di servizi, ecc). Non gioverebbe a un settore che a fine 2023 varrà 11 miliardi di euro e a cui si devono aggiungere 44 miliardi di euro di indotto e che occupa direttamente e indirettamente circa 150 mila persone. Soprattutto non gioverebbe ai turisti, perché solo una parte di chi preferisce le case vacanza accetterà una sistemazione in albergo. Tutti gli altri sceglieranno l’estero: le altre capitali e le località marittime del Mediterraneo ci ringrazieranno.