Travis King, il soldato americano che era fuggito al Nord oltrepassando il confine dalla Corea del Sud, è ora in custodia americana. Il ventitreenne è stato espulso da Pyongyang.
Aveva disertato lo scorso luglio. A sentire il regime dei Kim per via del «trattamento inumano» e del «razzismo» nelle forze armate statunitensi. La sua riconsegna, avvenuta in Cina (a Dandong), è stata resa possibile dagli sforzi diplomatici di Washington, che negano di aver fatto – in cambio della liberazione – concessioni alla Corea del Nord.
King era sotto le armi dal 2021. In Corea del Sud ci era arrivato con una rotazione. Mentre si trovava qui è stato accusato di aver assalito due persone e preso a calci un’auto della polizia: per via dei procedimenti disciplinari, terminati i due mesi di detenzione, sarebbe dovuto tornare in patria. Invece, se n’è andato dall’aeroporto, dove aspettava il volo, e durante un tour del trentottesimo parallelo (la linea di demarcazione tra le due Coree) aveva tentato il “salto”, il 18 luglio scorso.
Siccome Washington non ha relazioni diplomatiche con Pyongyang, a fare da tramite sarebbe stata la Svezia, attraverso la sua ambasciata nella capitale nordcoreana. Pechino sarebbe stata «costruttiva», ma senza «mediare».
L’amministrazione americana si era rifiutata di dichiarare King un prigioniero di guerra, mentre la Corea sembra aver trattato il suo caso come uno di «immigrazione illegale». Prima degli eventuali procedimenti disciplinari, la priorità sarà verificare le sue condizioni di salute, che sembrerebbero comunque buone. La vicenda, secondo un ufficiale citato da Reuters, dimostra «che mantenere aperti canali di comunicazione è importante e può dare risultati».