Gli Stati Uniti hanno colpito due strutture nella Siria orientale, perché utilizzate dall’Iran e da gruppi affiliati. Lo ha comunicato il segretario alla Difensa, Lloyd Austin, definendoli attacchi «di precisione e di autodifesa», eseguiti dalle forze americane di stanza in Iraq e Siria.
«Gli attacchi, sostenuti dall’Iran, sono inaccettabili e devono interrompersi. L’Iran vuole nascondere la sua mano e negare il suo ruolo, ma non glielo lasceremo fare», ha detto Austin, chiarendo che ci saranno ulteriori contromisure qualora i proxy di Teheran non fermassero le ostilità.
Il blitz – avvenuto alle quattro del mattino, ora locale, vicino ad Abu Kamal, sul confine con l’Iraq – è stato condotto da caccia F-16 con munizioni di precisione. Ha colpito quelli che il Pentagono ritiene fossero magazzini di armi degli iraniani.
Non c’è stato un coordinamento con Israele, perché l’episodio esula dal conflitto con Hamas e, ha sottolineato Austin, «non costituisce un cambiamento del nostro approccio». Gli Usa rispondono piuttosto agli attacchi cominciati in parallelo alla brutale recrudescenza terroristica degli islamisti palestinesi.
Ventuno militari americani, infatti, sono rimasti feriti in almeno dodici attacchi con droni e razzi sulle basi in Siria e Iraq, dove ci sono rispettivamente novecento e duemilacinquecento soldati. Ieri, la Casa Bianca ha annunciato che avrebbe inviato altri novecento effettivi nella regione, inclusi nuovi caccia.
Nel frattempo, una delegazione di alto livello di Hamas è in visita a Mosca. Ufficialmente per discutere del rilascio degli ostaggi, alcuni dei quali russi. A guidare la missione Mousa Abu Marzook, uno dei leader del gruppo in Qatar, ricevuto dal viceministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov.
Questa settimana, Vladimir Putin s’è messo a dire che un’invasione di terra di Gaza causerebbe un conflitto più ampio. «Dobbiamo fermare la violenza e lo spargimento di sangue», ha detto il presidente russo, come se lui non ne fosse responsabile in Ucraina.