«Stamattina ho celebrato il battesimo di due bambini. La vita va avanti. Anche qui». Padre Andriy Galavin, parroco della Chiesa ortodossa di Sant’Andrea, racconta dei nuovi nati a Bucha, mentre cammina lungo le assi di legno che portano al memoriale costruito su quella che era la fossa comune della città. In Ucraina la guerra non è ancora finita, ma anche il luogo diventato simbolo dei crimini di guerra russi è tornato a vivere nelle strade e nelle case che sono state teatro dell’orrore. Costruendo, al centro del parco cittadino, un memoriale per ricordarlo sempre quell’orrore.
«Fate attenzione, i lavori sono ancora in corso. Scusate», ripete più volte il parroco. Fu lui che negoziò con i militari russi, quando era in corso l’occupazione, la possibilità di seppellire nel parco davanti alla chiesa almeno alcuni dei corpi ammassati nella camera mortuaria e nelle strade. «La nostra parrocchia è stata costretta a organizzare la sepoltura di massa di centosedici persone qui, proprio dove ci troviamo», racconta Padre Andriy. «Il cimitero era fuori città, era troppo pericoloso andare fin lì».
Poi, dopo che i soldati russi sono andati via, i corpi sono stati riesumati e numerati per documentare gli orrori compiuti. E su quello stesso fazzoletto di terra è già stato costruito il memoriale, con i nomi delle 501 persone uccise a Bucha. «Non sono tutte sepolte qui, però non vogliamo che non si dimentichi nessuno», dice il parroco.
L’8 aprile del 2022, per far riemergere i corpi dalla terra, senza elettricità a disposizione, è stata usata una gru, a cui è stata fissata l’anta di una porta come barella. Al momento della riesumazione, erano presenti la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri Josep Borrell e anche il procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan, che ha poi emanato il mandato d’arresto contro Vladimir Putin. «Non solo hanno visto, ma hanno sentito anche l’odore», dice il parroco.
Incisi nell’acciaio si trovano i nomi, la data di nascita e di morte delle vittime. Per molti, per la data di morte, c’è solo scritto «marzo 2022» perché non si sa esattamente in che giorno siano stati uccisi. Cittadini freddati per strada mentre rientravano dalla spesa con un sacco di patate in mano o mentre provavano a fuggire in auto, torturati nei seminterrati dei palazzi e uccisi con le mani legate dietro la schiena.
«A Bucha i russi hanno fatto un safari. Uccidevano le persone come forma di divertimento», dice Padre Andriy con gli occhi lucidi. «Lavrov [il ministro degli Esteri russo, ndr] è andato all’Onu dicendo che le vittime di Bucha erano tutte una fake news? Venga qui a vedere».
Tra i sepolti davanti alla parrocchia di Bucha ci sono anche due fratellini. Uno nato nel 2017, l’altro nel 2012. Abitavano nella grande casa rossa che si vede tra le due ali del memoriale d’acciaio. «Era una famiglia che nel 2014 era scappata dal Donbas. Si erano trasferiti a Bucha, avevano trovato lavoro, i bambini andavano a scuola. Ma la guerra li ha presi anche qui», dice Padre Andriy. «Pensavano di riuscire a scappare, sono saliti in macchina mostrando un cartello con scritto “Ci sono i bambini”. Ma sono stati attaccati lo stesso dall’artiglieria russa e la macchina è andata in fiamme. Il padre è riuscito a uscire, ha perso le gambe. Ma la mamma e i due bambini sono morti».
Il 24 febbraio del 2022, quando i russi hanno invaso l’Ucraina, la nuova chiesa di Sant’Andrea era ancora in fase di costruzione. La consacrazione era prevista a fine anno, ma non è mai avvenuta. Per celebrare messe e sacramenti, oggi si usa il seminterrato. Mentre davanti al nuovo sagrato, gli operai si sono rimessi al lavoro per ultimare il piazzale. Le finestre colpite dall’artiglieria russa sono state già sostituite, ma sui muri bianchi si vedono ancora i segni degli spari e delle granate. «Hanno sparato da tutte le parti», racconta Padre Andriy. «È un miracolo che i colpi non siano penetrati all’interno. Non c’è una chiesa che non ha subito l’attacco russo. In città sono stati uccisi due sacerdoti. Uno è stato fucilato, era mio amico, ecco la fotografia. Si vede che è stato torturato».
Padre Andriy insiste nel voler mostrare sul suo smartphone scheggiato le prove di video e fotografie della mattanza russa, quella che più di uno ha insinuato fosse tutta una messinscena di Volodymyr Zelensky e degli americani. Non a caso, forse, l’interno della chiesa oggi ospita una mostra delle foto scattate a Bucha dai primi giornalisti di Reuters entrati in città dopo il ritiro dei russi. «Abbiamo deciso di lasciarle qui per aiutare le persone a capire quello che è successo», dice il parroco. «Queste sono le più delicate, ma ce ne sono altre che non possono essere mostrate per rispetto verso le vittime. C’era una famiglia che cantava nel coro. Hanno bruciato i corpi, ma prima sono stati torturati. Li abbiamo trovati senza gambe e senza organi genitali». «Per chi vuole posso mostrare anche queste foto», insiste, quasi nella paura che non si riesca a credere a tanto orrore.
Tra le immagini in mostra, si vedono le auto rovesciate tra le strade. «È perché i russi, alla fine, avevano bisogno di carburante per andare via». E poi ci sono persone che trasportano i cadaveri dei propri cari nei carrelli del supermercato, cantine usate come luoghi di tortura, anziani freddati in bicicletta, mani che spuntano dalla terra, cani che vegliano i cadaveri dei loro padroni.
Al momento della riesumazione, oltre a molti parenti delle vittime, era presente anche un gruppo di scienziati forensi francesi per svolgere i test del Dna sui corpi, in modo da facilitare l’identificazione. «Alcuni corpi sono stati settimane per strada, quindi erano irriconoscibili in altro modo», dice Padre Andriy. «Una signora, ad esempio, è stata riconosciuta solo grazie a un’unghia con il disegno di un cuore dalla dipendente di un negozio di manicure. Noi cercavamo di seppellirli come potevamo, anche perché c’erano anche gli animali. Ma in alcune vie i russi non ci permettevano di andare. E ci sono ancora decine di corpi non identificati perché i familiari sono scappati e ancora non sono tornati. Quando torneranno, attraverso il test del Dna potranno riconoscere i loro cari».
Dopo la liberazione, i cittadini che erano riusciti a fuggire hanno chiesto a Padre Andriy di andare a verificare lo stato delle proprie case. Il parroco mostra ancora le foto sul suo telefono. «Non c’è un’abitazione dove i russi non siano entrati. Hanno sfondato tutte le porte e hanno preso quello che gli piaceva. Vedete, tutti i libri sono aperti perché cercavano soldi. E poi, anche se c’erano i camini, appiccavano i fuochi sul pavimento per potersi riscaldare. Qui si vede l’anima russa», dice con rabbia. «Tutte le auto sono distrutte. Le usavano finché avevano benzina, poi le facevano schiantare sui muri. Ma prima toglievano i fari per poterli rivendere».
Con il fronte di guerra concentrato a Est, la gran parte dei cittadini di Bucha oggi è rientrata dopo il ritiro dei russi. Nelle strade che per settimane hanno visto i corpi abbandonati deteriorarsi, oggi circolano auto, bambini in bici e donne con i passeggini. Alcune delle opere realizzate dall’artista Banksy sulle case semidistrutte sono state prelevate prima della ricostruzione degli edifici per essere conservate. A un incrocio è rimasta solo l’immagine della bambina che con lo spray scrive «Stop war» su un divieto d’accesso.
«Nonostante i ricordi tragici, non vogliamo lasciare la nostra città. Noi continueremo a vivere felicemente qui. Sono nati anche dei bambini», ripete il parroco. «Certo, tanti cittadini hanno subito grossi traumi. La chiesa fa quello che può, ma ci sono anche diversi psicologi che stanno aiutando le persone a tornare a una vita normale».
A Bucha oggi vivono anche ottomila persone sfollate da Donetsk. Essendo vicini a Kyjiv, si trova lavoro facilmente. C’è ancora qualcuno continua a tornare nelle proprie case, settimana dopo settimana. E via via che si rientra, si procede alla identificazione delle vittime che si conoscevano e si celebrano le cerimonie funebri. «Ora devo andare. Ci sono due funerali da celebrare», saluta Padre Andriy.