Conoscere per crescere «La cultura di un territorio “dilatato” riesce sempre a esprimere novità, pur partendo dalla tradizione»

Il Consorzio Franciacorta intavola un dibattito sulle radici territoriali dell’enogastronomia, ambasciatrice del Made in Italy nel mondo

Foto di Nacho Domínguez Argenta su Unsplash

Nell’ambito della variegata offerta di eventi organizzati per “Bergamo Brescia 2023 Capitale Italiana della Cultura”, lunedì 11 settembre il Consorzio Franciacorta ha promosso un tavolo di discussione che ha coinvolto chef ed esponenti della comunicazione enogastronomica per ragionare sul valore del cibo e del vino come manifestazioni culturali, che danno lustro all’identità italiana in sinergia con il territorio in cui trovano espressione.

«Noi italiani siamo abituati molto (forse troppo) bene», esordisce il presidente Silvano Brescianini. «Siamo assuefatti dalla bellezza, e diamo per scontata quella culturale ma anche quella alimentare». Per valorizzare la cultura del territorio, continuando a creare prodotti riconosciuti e premiati nel mondo, è importante (ri)conoscerla. Così come è importante «assimilare che la cucina italiana è cultura», con il suo patrimonio di gestualità e convivialità che caratterizza la nostra quotidianità, continua la direttrice de La Cucina Italiana Maddalena Fossati. Un patrimonio che spesso ci invidiano, e che i viaggiatori nel nostro Paese ricercano affidandosi alle guide, prima tra tutte la “Rossa”.

«La presenza di ristoranti segnalati dalla Guida rappresenta un’attrattiva turistica di cui beneficia l’intero territorio», afferma Marco Do, Direttore della Comunicazione e Relazioni Esterne di Michelin Italia. «Non vuole essere una guida autoreferenziale, ma un riflesso sul territorio». E quello di Brescia – e della Franciacorta in particolare – è un esempio di come si possa «andare oltre la storia, fortificando un’identità già presente con iniziative che guardano al futuro», aggiunge l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste. Non a caso sarà il Teatro Grande di Brescia a ospitare – il 14 novembre – la presentazione della Guida Michelin 2024, con il Consorzio Franciacorta partner del Premio Michelin Sommelier 2024.

E se la terra è il punto di partenza per la crescita dell’enogastronomia italiana, occorre preservarla, rispettandone la biodiversità. Ma questa “sostenibilità”, che riempie la bocca di troppi, come può farsi verbo? «La collaborazione è l’unica strada», dichiara Stefano Cerveni, chef del ristorante Le Due Colombe a Borgonato. «Sono le persone a fare la differenza con la passione che mettono nel loro lavoro. Contadini, allevatori, pescatori, viticultori, ma anche commercianti. I cuochi sono il fattore legante che traduce questa passione in un piatto».

E così le relazioni (positive) stanno alla base di un «clima di crescita che genera una motivazione fortissima a migliorare», conferma Nadia Santini, chef del ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio. E sono proprio i giovani a «portare il valore della modernità mantenendo il mito del gusto, che regola la fortuna di chi è a tavola e crea la nostalgia di tornare. La cultura di un territorio “dilatato” (che ingloba le persone e le loro opere) riesce sempre a esprimere novità, pur partendo dalla tradizione».

Il modo di comunicare la cultura del cibo e del vino è cambiato profondamente negli ultimi anni, nelle cucine dei ristoranti e fuori. Così i blog si sono evoluti nei social network e il “food” è divenuto un tema mediatico. E se la televisione aveva tagliato fuori una parte di pubblico, il web lo abbraccia trasversalmente, favorendo un rapporto immediato con chef, comunicatori, e appassionati che in tutto il mondo condividono virtualmente pasti e ricette. Ma perché la cucina appassiona così tanto? «Tutti amano mangiare e il cibo unisce le persone attorno a un tavolo», risponde Chiara Maci, blogger e conduttrice. Il clima di familiarità veicolato dal cibo è universale, anche se ogni popolo lo accoglie in maniera diversa (non tutti amano parlare di cibo a tavola).

Mentre si mangia e si beve insieme, le barriere crollano e le differenze svaniscono; ci si apre alla contaminazione senza paura del confronto. Per questo motivo gli chef devono impegnarsi a «rendere la loro cucina accessibile a tutti», esorta Chiara Maci. E questo non significa fare una cucina “semplice”, fatta di ingredienti poveri; si tratta di mettere a proprio agio il cliente, affinché sedendosi davanti a un piatto si senta sempre all’altezza di comprenderlo. E lo stesso davanti a un buon calice, indipendentemente dal prestigio della sua etichetta. Perché per capire il cibo e il vino serve “solo” un po’ di cultura, quella che respiriamo sin dalla nascita e che permea il nostro territorio e le nostre tradizioni rendendoci orgogliosi del made in Italy nel mondo.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter