Not FerragnezIl pescivendolismo di lusso delle Kardashian e il bon ton sulle tette

Le sorelle rappresentano lo spirito del tempo e ci rassicurano con la loro inesorabile volgarità. Anche se, tra tre strati di ciglia finte e il reggiseno a balconcino pure nel sonno, si percepiscono pure loro ragazze perbene

(La Presse)

Mi sono sacrificata per voi, e ora, dopo la visione di quarantanove minuti della prima puntata della nuova stagione di “The Kardashians”, sono in grado di dirvi che «Not Kourtney» non è la parte più indispensabile per capire in che modo le signore rappresentino lo Zeitgeist. La parte che meglio spiega lo spirito del tempo è quella delle tette.

«Not Kourtney» sono i due minuti che girano sui social, e in essi Kim (la più famosa delle Kardashian, che poi non sono tutte Kardashian, ma a questo ci arriviamo con calma) è al telefono con la sorella Kourtney, e le dice ciò che nei secoli scorsi dicevano le tredicenni e in questo secolo le adulte: dicono tutti che ho ragione io.

Le dice che ha una chat con le altre sorelle e con le presunte amiche dell’esclusa, chiamata «Not Kourtney», ed evidentemente dedicata a parlar male di lei; le dice che non solo le amiche ma pure i figli di Kourtney si vanno a lamentare di lei con le zie; le dice tutto quello che una volta, quando eravamo intelligenti, avremmo smesso di dire superata la scuola dell’obbligo.

Una volta, all’altezza del liceo, capivamo che caratteristica precipua degli esseri umani è dare ragione alla persona che hanno di fronte in quel momento, e che se tutti mi parlano male di Tizia non vuol dire che io sia meglio di Tizia: vuol dire che, quando quei tutti si trovano con Tizia, le parleranno male di me.

Un’altra cosa che una volta avremmo capito crescendo è che non vuol neanche dire che quei tutti disprezzino me o Tizia; parlare male di qualcuno è una modalità che non dice niente di quel qualcuno: serve a posizionare noi, mica a svelare verità sugli altri.

Ora che siamo diventati tutti imbecilli, sarebbe sciocco aspettarsi che Kourtney fosse così adulta da fottersene d’essere quella esclusa dalla chat, e infatti eccola lì che appena il video inizia a girare pubblica screenshot di amici che le giurano che Kim mente e loro nella chat mai.

Ora che siamo diventati tutti imbecilli, queste cose non le impariamo crescendo né invecchiando, e quindi eccoci qui: con l’internet che condivide smaniosa quei due minuti di Kim Kardashian nel tentativo di esorcizzare il terrore d’essere la not Kourtney di qualcuno, nel tentativo di sentirsi quella che in quel video sembra la vincente, Kim l’escludente e non Kourtney l’esclusa.

Non avevo mai visto “The Kardashians”, né “Keeping up with the Kardashians”, i filmini di famiglia che sono durati venti stagioni prima di cambiare titolo senza mutare in irresistibilità.

Non l’avevo mai visto perché sapevo che sarei entrata nel tunnel, e infatti ora sono qui che mi faccio cambiare la password di Disney sennò già mi vedo a passare le giornate autunnali guardando queste incantevoli burine.

Non l’avevo mai visto perché sapevo che poi mi sarei voluta trasformare in studiosa di Kristen Jenner detta Kris, che adesso sta con un tizio un mese più giovane della figlia Kim, e unico uomo nella vacanza in cui è ambientata questa prima puntata, ma muto come neanche le vallette mute nel Novecento, figurina sullo sfondo di questo matriarcato feroce, di questa sleppa di femmine con denti bianchi come bidet e unghie lunghe come Crudelia Demon.

Kris assai prima d’incontrare lui ha avuto cinque figlie e un figlio. Prima con l’avvocato che fece assolvere OJ Simpson (Kardashian, appunto); poi con un campione sportivo (Jenner) che un giorno ha deciso che era una donna. Tutto questo chiamando – con costante, mirabile ego – tutte le figlie con nomi che come il suo cominciassero con la K.

Nel suo ultimo spettacolo, Chris Rock dice che a lui fa impressione la rapidità con cui le per-brevità-Kardashian hanno accolto il cambio di sesso di Jenner. Cito a memoria: se mio padre un giorno dicesse «da oggi sono una donna», io lo accetterei, sono un artista, ma mio fratello fa il camionista e insomma non sarebbe così immediato.

Le Kardashian si percepiranno artiste, mica camioniste, e per fortuna mi hanno cambiato la password sennò sarei lì che recupero le puntate in cui il padre di metà di loro dice «da oggi chiamatemi Caitlyn», per vedere se mi sembra stupefacente quanto lo è sembrato a Rock. Probabilmente sì: «not Kourtney» è l’evidente furbizia drammaturgica con cui le donne meno immedesimabili del mondo, tra un aereo privato che le porta a Cabo a passare qualche giorno nella strepitosa casa di James Perse (comprata vendendomi magliette a cifre da golfini di cashmere) e un litigio su chi debba andare alla sfilata di Dolce e Gabbana con chi, ci fanno dire: uh, guarda, sono proprio come noi.

Ma non lo sono, sono delle multimilionarie (non come noi) con problemi immaginari (come noi). Khloé ha la fobia delle balene, dice che la figlia la bullizza disegnando balene: la figlia ha cinque anni, da quando siamo diventati tutti imbecilli non solo ci spaventiamo per i disegni dei cinquenni, ma riteniamo che i cinquenni siano nella posizione di vessarci.

“The Kardashians” funziona per la stessa ragione per cui “The Ferragnez” non funziona: perché è scritto da gente che sa che nessuno ha mai scritto niente d’avvincente tenendoci a far fare bella figura al proprio io narrante. È messo in scena da delle svergognate che si strillano che hanno apposite chat per parlar male l’una dell’altra, mica da delle ragazze di provincia che si fanno riprendere commosse mentre guardano la tele con dentro la sorella a Sanremo.

Ma non vorrei ci distraessimo dal punto del secolo, dalla dissonanza cognitiva che tutti ci governa, dal percepito che vince sempre sul reale. C’è un momento, al tavolo della colazione in quella strepitosa villa a scrocco di Cabo, in cui le sorelle e la madre (con fidanzato sempre muto in un angolo della tavolata) discutono di come chiamare le tette. Boobs non si può, allora meglio tits, breasts per carità no. Non importa quale sorella dica di quale di queste denominazioni che è «trashy».

Importa solo l’effetto che fa vedere una tavolata di tizie con tre centimetri di unghie, e tre strati di ciglia finte, e il reggiseno a balconcino pure nel sonno, importa solo la scissione tra l’aspetto di queste tizie che non hanno un osso del mignolo che non sia volgare, e la loro prontezza e perentorietà nel discettare di bon ton lessicale e stabilire come sia meglio chiamare le tette per risultare più raffinate.

Importa solo che sì, “The Kardashians” sarà pure la vetrina sul pescivendolismo di lusso che intrattiene questo secolo in cui ci percepiamo tutti vertiginosamente meglio di come siamo, ma – mentre ci rassicurano con la loro inesorabile volgarità – persino le Jenner e le Kardashian si percepiscono ragazze perbene, che sono pur sempre figlie d’un dentista di Cremona e le parolacce non le dicono.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club