Se ancora non fosse chiaro, il futuro dello sci non esiste. Costruire in alta montagna nel 2023 è una forma di accanimento terapeutico, e mese dopo mese escono report in grado di ricordarlo attraverso dati inequivocabili. In uno scenario ottimistico, spiega il dossier Nevediversa 2021 di Legambiente, solo tredici dei ventuno impianti che fino a oggi hanno ospitato le Olimpiadi invernali «sarebbero in grado di ripetere l’esperienza nel 2050», mentre gli altri otto rischiano di chiudere per mancanza di neve.
L’ultimo studio degno di nota è stato pubblicato a fine agosto sulla rivista scientifica Nature Climate Change. Le stime mostrano che tutte le piste da sci nelle Alpi italiane (il cento per cento) rischiano di “sparire” a causa della carenza di neve. Per invertire la rotta, sottolineano gli esperti, le strade sono due. La prima è un cambio radicale delle politiche volte a ridurre le emissioni di gas climalteranti; la seconda è l’innevamento artificiale, una soluzione non sostenibile per via del consumo d’acqua ed energia. Anche limitando il riscaldamento globale di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale, però, il trentuno per cento delle nostre piste risulterebbe condannato.
La situazione è leggermente migliore, ma comunque drammatica, nelle Alpi francesi: il novantatré per cento delle piste del Paese rischia di scomparire senza innevamento artificiale e sforzi di mitigazione adeguati. Qui, più precisamente sul ghiacciaio della Girose, sabato scorso è cominciata una protesta senza eguali, che potrebbe rappresentare la scintilla di un nuovo movimento per la protezione delle montagne.
Fatta eccezione per qualche quotidiano locale o sito di news, la notizia è stata finora ignorata dai principali organi di stampa italiani. Sui social, però, sta circolando grazie alla pagina Instagram specializzata “L’occhio del Gigiàt”, che si definisce «un occhio contro le innaturali trasformazioni della montagna».
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Ma cosa sta succedendo, di preciso? Alle 16 del 7 ottobre, una decina di alpinisti, scienziati, professori universitari e attivisti – orchestrati dal movimento ecologista Soulèvements de la Terre – ha occupato il cantiere di una funivia sopra il paesino di La Grave, nel Parco nazionale degli Écrins. In Europa non era mai successo che una protesta del genere toccasse i tremilaquattrocento metri di altitudine. L’obiettivo, finora riuscito, è quello di fermare i lavori del terzo troncone della funivia, nella speranza di un blocco totale dei cantieri. Gli attivisti, supportati anche da alcuni residenti della zona, hanno piantato le loro tende, sommerso una ruspa di pietre e montato striscioni visibili anche da lontano.
Oltre all’impianto di risalita, che dovrebbe sostituire uno skilift e toccare i tremilaseicento metri sopra il livello del mare, il progetto da dodici milioni di euro (di cui quattro pubblici) prevede l’apertura di ristoranti e altre attività di stampo turistico. Anche la zona sottostante al ghiacciaio della Girose, quindi, rischia di trasformarsi in un centro commerciale a cielo aperto, in linea con ciò che sta accadendo in diverse aree dell’arco alpino.
Fabrice Boutet, direttore generale di Sata Group (l’impresa che sta promuovendo il progetto), sulla stampa locale ha definito gli attivisti dei «teppisti che non fanno nulla nella vita». Sata Group fa parte della Société d’aménagement touristique de la grave (Satg), che nei giorni scorsi ha sorvolato la Zad (Zona da difendere) con un elicottero. Il velivolo, però, non è riuscito ad atterrare a causa della presenza degli attivisti. Martedì e mercoledì, secondo quanto riportato su Twitter da Soulèvements de la Terre, la polizia ha minacciato di sgomberare il campo base.
Secondo la stampa locale, i lavori del terzo troncone non riprenderanno almeno fino al 19 ottobre, giorno di pubblicazione di un «dossier di esenzione per la presenza di specie protette». Le autorità giudiziarie si esprimeranno in un’udienza in programma alle 14:30. Qualora certificasse la presenza di animali o piante a rischio, il documento potrebbe rivelarsi un brutto colpo per il cantiere del nuovo impianto di risalita. Si tratterebbe infatti della prima vittoria di Soulèvements de la Terre, che sta mostrando alla comunità locale tutte le lacune del progetto. I sostenitori del comprensorio sciistico, infatti, iniziano a tremare: oggi, alle 11, si terrà una manifestazione in favore della funivia.
«L’impronta di carbonio di questa funivia sarà minore rispetto all’attuale skilift, che funziona a gasolio. Non sarà la funivia a sciogliere il ghiacciaio: l’unico pilone e la stazione di arrivo saranno posizionati sulle rocce», dice Serge Moranval, uno degli organizzatori della “contromanifestazione”», all’emittente locale Like Radio. Il tema, però, è più ampio della fusione dei ghiacciai: riguarda un modello produttivo non più compatibile con il deterioramento dell’ecosistema. La montagna non è il nostro parco giochi: è necessario puntare sulla riconversione, la diversificazione e la destagionalizzazione dell’offerta turistica.
⛏️Ce vendredi 13 octobre, après une semaine d’occupation et de blocage des travaux du 3e tronçon du téléphérique sur le glacier de la Girose, les occupant.e.s lèvent le camp et laissent la météo continuer de bloquer les travaux. pic.twitter.com/dKsDvLik3h
— Les Soulèvements de la Terre (@lessoulevements) October 13, 2023
«Cercando di far credere che l’urbanizzazione e lo sfruttamento del ghiacciaio siano essenziali per la sopravvivenza economica del territorio, Sata Group vuole costruire uno dei comprensori sciistici più grandi d’Europa. Il terzo troncone della funivia rappresenta senza dubbio il primo passo di un’operazione di sviluppo commerciale di questo ghiacciaio da parte del settore turistico», scrivono gli attivisti, che ieri – 13 ottobre – hanno smontato il campo a causa del maltempo. «Ma torneremo in primavera», assicurano.