Si è creato, sulla tragedia di Israele e i suoi delicatissimi sviluppi, un inedito asse tra governo, Italia Viva-Azione e Partito democratico sull’unica linea che abbia un senso: stare dalla parte di Israele senza se e senza ma e al tempo stesso auspicare che non si crei un disastro umanitario a Gaza, lavorando per una «risposta proporzionata» di Israele – ha detto il Ministro degli Esteri Antonio Tajani – che colpisca duramente Hamas ma evitando un massacro di innocenti. E per questo si segue la strada dei corridoi umanitari. Una strada difficilissima.
La posizione di Elly Schlein è altrettanto chiara: «Ci siamo tutti schierati al fianco di Israele, senza ambiguità nel condannare nettamente l’attacco terroristico di Hamas, di violenza efferata contro i civili israeliani. Ora è il tempo della politica e di fare ogni tentativo per evitare un’escalation del conflitto e nuove vittime innocenti. Bisogna lavorare perché il diritto di Israele a difendersi dall’aggressione e di contrastare e fermare il terrorismo di Hamas si realizzi nel rispetto del diritto internazionale e proteggendo la vita dei civili palestinesi, le cui vite non valgono di meno». E Matteo Renzi: «Israele ha il diritto di difendersi e reagire, perché Israele ha il diritto di esistere. Se qualcuno entrasse nelle vostre case e vi uccidesse i figli davanti agli occhi e vi violentasse le figlie davanti agli occhi e vi uccidesse i nipoti davanti agli occhi, voi cosa provereste? Un sentimento di generico buonismo? Porgereste l’altra guancia? Non scherziamo. Poi è ovvio che una comunità democratica deve fare di tutto per mettere al riparo i civili dalla controffensiva».
I toni possono essere diversi ma sostanzialmente l’asse regge. E per la politica italiana, a differenza del delirio sui social e nei talk show, è una prova di maturità che rende ancora più incomprensibile il fatto che l’altro giorno in Parlamento si siano più o meno tutti comportati da ragazzini così da non riuscire a votare una mozione unitaria. Si potrebbe dire che le cose dette da Tajani, di cui va apprezzato l’attivismo di queste ore, Schlein, Renzi e Carlo Calenda siano scontate. Ma non è così.
Matteo Salvini infatti in questa discussione semplicemente non esiste, è sparito (infatti più che di governo dovremmo parlare di Forza Italia e Fratelli d’Italia in asse con centristi e dem), probabilmente sempre alle prese con il plastico del Ponte di Messina.
Giuseppe Conte dice e non dice e soprattutto rilancia la parola d’ordine del no alle spese militari nel momento di massima tensione internazionale da quando è finita la Seconda guerra mondiale e litiga con il presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi.
La sinistra radicale ha evidentemente a cuore esclusivamente una questione palestinese che non si capisce più bene in che cosa consista e che è l’emblema del “partito né né” adiacente ai giovani che stanno inscenando (piccole) manifestazioni anti-israeliane.
Si disegna dunque una faglia tra le forze responsabili e le altre, o distratte o ambigue. È un piano che chiaramente non va confuso con quello politico generale e tantomeno sulle questioni economiche: siamo alla vigilia dello scontro sul salario minimo e sulla legge di Bilancio, temi giustamente messi in ombra dal dramma israeliano e dalla snervante attesa per quello che potrà succedere nella Striscia di Gaza – dove la clessidra del disastro corre veloce –, ma inevitabilmente destinati a riprendere forza nelle prossime settimane.
Va da sé che il quadro politico non cambia. Ma proprio per questo è un fatto positivo che su questa spaventosa emergenza internazionale (d’altronde era stato così anche almeno in parte per l’Ucraina) si registri una convergenza tra partiti di maggioranza e di opposizione. Che taglia fuori i matti e gli ambigui.