Scorrendo i social del Partito socialista europeo (Pse) non c’è nemmeno un coriandolo digitale per la vittoria di un loro affiliato, a pieno titolo, in Slovacchia. In compenso, ci sono la marcia dell’opposizione polacca o Pedro Sánchez a ricordare che l’«ultradestra si può fermare» (in spagnolo suona meglio: «la ultraderecha no es imparable», come quando a luglio ha rinfacciato il «fracaso» al «blocco involuzionista»). Ecco, il sospetto è che Robert Fico abbia più da spartire con l’ultradestra di cui sopra: nella casa dei progressisti è nel migliore dei casi un imbucato. Un intruso.
Il primo a congratularsi, guarda caso, è stato invece l’ungherese Viktor Orbán: «Indovina chi è tornato?» Apostrofa Fico come «patriota», lui che di patrioti se ne intende, inclusi quelli italiani, eredi però della destra sociale missina, non dell’eurocomunismo. I possibili coinquilini di coalizione di Fico – tre volte primo ministro, ha vellicato prima lo zoccolo del Paese omofobo e no-vax, oggi filorusso, sempre a fini elettorali – sono sempre del Pse.
La formazione di Peter Pellegrini, ex transfugo di Smer (da cui si è separato nel 2020), è una delle quattordici affiliate. Fico fa parte dei trentadue soci ufficiali. In passato ha rischiato: una sospensione parziale nel 2006. A marzo dell’anno scorso sono state due altre famiglie politiche, Popolari e Renew, a chiederne con una lettera aperta a Iratxe García Pérez l’espulsione, di fronte alla «retorica filorussa e fascista». Tra i firmatari c’era Michal Šimečka, il leader degli europeisti sconfitti sabato scorso.
Non bastasse la prima etichetta, sempre più sovrapponibile alla seconda, «fascisti» dovrebbe essere una red flag a sinistra: e del rosso sbagliato. Gli altri possibili alleati, quelli che consentirebbero di arrivare a quota settantanove deputati (oltre ai quarantadue di Smer e ai ventisette di Pellegrini), sono i nazionalisti filorussi di Sns. L’interlocutore più naturale di Fico era forse l’estrema destra di Republika, che fortunatamente non ha superato lo sbarramento al cinque per cento.
Intervistato in Svezia, il presidente del Pse Stefan Löfven ha citato proprio la «retorica» e l’ultradestra. Riassumendo: se Fico intende imbarcarla al governo, «sarebbe inevitabile avviare la procedura per l’espulsione di Smer». L’ufficio stampa dei Socialisti, interpellato per una replica, ci ha rimandato agli stessi virgolettati. Insomma, stavolta si fa sul serio. I dem italiani a Strasburgo fanno bene a incalzare il partito.
In quella comunità «non c’è spazio per chi è asservito a Putin e alla propaganda del Cremlino, per chi propone il ritorno dei nazionalismi e delle piccole patrie – ha detto la vicepresidente dell’Europarlamento, Pina Picierno –. Fico avrebbe dovuto essere estromesso già da tempo (come giustamente chiese la delegazione italiana nel 2015) e sicuramente dopo le responsabilità politiche connesse all’omicidio di Jan Kuciak e della sua compagna Martina Kušnírová».
Il punto è proprio questo: non è da oggi che il leader populista è un imprensentabile. Certo, il disimpegno dall’Alleanza atlantica, mezzo rimangiato insieme alle rassicurazioni sul «resteremo nell’Ue» della sera della vittoria, la sospensione degli aiuti militari ma con arsenali ormai vuoti, sarebbero delle aggravanti. Bruxelles ha degli strumenti per contenere la riottosità di uno Stato membro, che dipende dai suoi fondi – proprio come l’Ungheria.
Parafrasando Nanni Moretti – una shortcut pigra ma, si spera, ancora in voga tra i progressisti – la questione per il Pse non è più soltanto dire «qualcosa di sinistra», ma «di civiltà». Anche perché Fico, in campagna elettorale, ha collezionato abbastanza uscite irricevibili. Sì, è andato al seggio con la mamma, tenero; ma ha pure paragonato i soldati della Nato agli occupanti della Seconda guerra mondiale e detto che il conflitto in Ucraina è cominciato nel 2014 «per colpa dei nazisti del Donbas che hanno ammazzato cittadini russi».
Non è abbastanza? Già così, intendo. Il potere d’interdizione di Bratislava sarà anche limitato, per quanto possa essere “limitato” un altro veto al Consiglio europeo, soprattutto contro nuove sanzioni a Mosca, in un uno-due con Orbán che farà applaudire al Cremlino, però i Socialisti devono e possono risparmiarsi una farsa alla Fidesz. Con gli ungheresi prima sospesi, poi non ancora cacciati – ma quasi – e alla fine usciti dal Ppe per i fatti propri.
Rinviare ancora non avrebbe senso neppure per bieco cinismo politico: il pacchetto del premier magiaro, in plenaria, valeva tredici voti, cioè quanto tutti i seggi meno uno della Slovacchia all’Europarlamento. Insomma: Pse, rispondi, non ti far mettere in mezzo sull’Ucraina, dì qualcosa, dì una cosa, reagisci. Anche perché Fico non ha fatto mistero di cosa pensa davvero, a prescindere da come andranno a finire le consultazioni. Ha ricevuto il mandato dalla presidente, Zuzana Čaputová, che lui ritiene una «spia americana» e i suoi hanno minacciato di morte online. La cacciata di Smer sarebbe, infine, un messaggio anche per Pellegrini, ritrovatosi kingmaker.