Club of twoLa Slovacchia non vuole fare la fine dell’Ungheria

Alle elezioni anticipate gli europeisti cercano di sventare un ritorno dell’ex premier populista Fico. «Sono in gioco il futuro della nostra democrazia e la nostra appartenenza geopolitica», dice il vicepresidente di Ps, Tomáš Valášek

Il vicepresidente di PS Tomáš Valášek
Tomáš Valášek (foto da Facebook)

«Prima gli slovacchi». È la formula che abbiamo sentito declinata con ogni nazionalità, inclusa quella italiana, da leader populisti di ogni dove. Stavolta la sventola Robert Fico, ex primo ministro a Bratislava, per minacciare di interrompere gli aiuti all’Ucraina se vincerà le elezioni di domani. La coalizione europeista che lo tallona nei sondaggi sta provando a sminare questa retorica, perché difendere Kyjiv è nell’interesse nazionale, ma pure europeo. Alle elezioni anticipate «sono in gioco due cose – spiega il vicepresidente di Slovacchia progressista (Ps) Tomáš Valášek –, il futuro della nostra democrazia e la nostra identità e appartenenza geopolitica».

Valášek è stato ambasciatore slovacco alla Nato dal 2013 al 2017. Dietro di lui un fondale azzurro: il colore di Progresivne Slovensko, che fa parte di Renew Europe. La campagna elettorale è finita mercoledì. Smer, il partito sulla carta socialdemocratico ma nei fatti sovranista di Fico, l’ha combattuta speculando su un Paese già polarizzato: «Il loro linguaggio è pieno d’odio», racconta Valášek. Ai comizi insultano la presidente della Repubblica Zuzana Caputova, la tacciano d’essere «una spia degli americani». Per minacce del genere – e di morte – perpetrate anche online, lei ha già annunciato che non si ricandiderà. «Le illazioni sono avvalorate dall’autorità di uno che è stato tre volte primo ministro».

Fico, infatti, è una vecchia conoscenza del populismo (di sinistra). È stato al potere dal 2006 al 2010, poi dal 2012 al 2018, quando si è dovuto dimettere per le proteste di massa seguite all’assassinio del giornalista Jan Kuciak e della sua fidanzata. Il reporter indagava sulla corruzione ai vertici di Smer e sui legami del leader con la mafia. Il suo ritorno non è una buona notizia, come abbiamo spiegato nella newsletter di questa settimana. No-vax in piena pandemia, adesso ha politicizzato il sostegno a Kyjiv: giura di tenerla fuori dall’Alleanza atlantica e di opporsi a nuove sanzioni alla Russia di Vladimir Putin. Lo fa sbandierando un presunto «interesse patriottico».

«Noi contrattacchiamo», spiega Valášek in un inglese perfetto a Linkiesta e alcuni altri media europei. «Il vero interesse della Slovacchia è tenere le truppe russe quanto più lontane possibili dai nostri confini: non solo perché l’Ucraina è la vittima innocente di un’aggressione, ma perché è la cosa migliore anche da un punto di vista materiale, di sicurezza nazionale». Ex consulente del ministero della Difesa, ragiona al di là di ogni (sacrosanto) idealismo: cedere a Mosca oggi vuol dire ritrovarsela sulla porta domani, dover alzare le spese militari, come sanno bene in Polonia e sul Baltico, e rischiare di perdere gli investimenti stranieri.

Un negoziato sarebbe, sì, auspicabile, ma solo se la Russia tratta seriamente. «La loro precondizione è il riconoscimento dei territori conquistati, non solo nel 2014 ma anche nel 2022, cosa che ovviamente l’Ucraina, come qualunque Paese assennato, non è disposta a fare – riflette il portavoce per la politica estera di Ps –. Se qualcuno irrompe in casa tua, butta già i muri e te ne occupa metà, non legittimi l’aggressore e ti arrendi, cedendogli già che è tuo di diritto. Bisogna essere onesti, però, siamo rimasti indietro». E cioè, sulla produzione di armi, l’Europa, pur avendo un’economia che è un multiplo di quella russa, non ha accelerato quanto il nemico.

Alla vittoria si arriva anche così: attraverso l’industria. La Slovacchia è «terreno fertile» per la propaganda del Cremlino, ha ammonito la commissaria europea agli Affari digitali, Věra Jourová, e in alcuni sondaggi si registra una certa permeabilità alla narrativa filorussa. L’ambasciata della Federazione nel Paese è molto attiva sul fronte della disinformazione. In generale, secondo Valášek, la «resurrezione» di Fico, la chiama così, non si deve allo spartito di Mosca, ma a fattori locali.

L’ex premier slovacco, il sovranista Robert Fico
L’ex premier, il sovranista Robert Fico (Petr David Josek/Ap)

Nella sua analisi, le elezioni del 2020 sono stati un referendum sull’ex premier, che le ha perse, ma il governo di centrodestra, durato fino alla caduta di Eduard Heger (poi un economista ha guidato la transizione alle urne), ha deluso i cittadini: alti tassi di mortalità durante il Covid e poi il carovita. Smer ha strumentalizzato questo fallimento con una ricetta paternalista, spacciando soluzioni semplici a problemi complessi. Le ultime proiezioni danno un testa a testa tra loro e Ps, prima in due stime su cinque. Il dato positivo, dicono dal quartier generale dei centristi, è che nelle rilevazioni sono cresciuti anche i potenziali alleati: Sloboda a Solidarita (Ecr) e Demokrati (Ppe).

Il partito capitanato dal vicepresidente del Parlamento europeo, Michal Šimečka, è realista. Sa che nessuno, con questi dati, probabilmente avrà i numeri per governare da solo. Servirà un’alleanza. Da quel perimetro Valášek esclude solo Smer e l’estrema destra di Republika, mentre apre al centrodestra di Ol’ano (Ppe). Numerose sigle oscillano attorno alla soglia di sbarramento, al cinque per cento; i decimali faranno la differenza. Il pallottoliere della Národná rada, l’assemblea monocamerale, definirà un possibile perimetro.

«Chiudere i confini è una pazzia, è fisicamente impossibile», dice il vicepresidente di Ps. Nei primi giorni di guerra, si è messo alla guida di un van per portare materiale umanitario verso l’Ucraina. Appunti sulla questione migratoria: la frontiera della Slovacchia, all’interno dell’area Schengen, è quella dell’Unione. Non basterebbe l’intero esercito, dodicimila effettivi, per bloccarla. Certo, aiuterebbe se l’Ungheria non respingesse i rimpatri degli irregolari. Alla cooperazione regionale a priori – il fu Gruppo di Visegrád, con anche Cechia e Polonia oltre a Budapest – Progresivne Slovensko preferisce quella basata su una missione comune. «Dobbiamo chiederci qual è la nostra visione?»

Dopo le tirate dinamitarde, Fico rassicura i partner: il Paese non uscirà dalla Nato né dall’Eurozona. «Ma temo che, se vincesse, resteremmo dentro queste istituzioni, ma senza influenza, in un club di due membri». L’altro sarebbe Viktor Orbán. La deriva illiberale è un rischio, ammonisce Valášek. «C’è un vecchio detto sul fatto che si fa campagna elettorale in poesia e si governa in prosa, ma alcuni dei nostri avversari sminuiscono i media come nemici dello Stato, potrebbero voler avvicinare il sistema elettorale a quello ungherese». Ps è ottimista, però, vede nelle urne l’occasione per scongiurare quello scenario.

Un’alternativa è possibile. «Non è sostenibile non avere neppure una scuola nella top mille internazionale – conclude Valášek –. Il venti per cento dei nostri studenti più brillanti dopo le superiori vanno a studiare all’estero: e oltre metà di loro non ritorna più. Siamo una delle peggiori nazioni europee in termini di fuga di cervelli. Un Paese che subisce ogni anno l’emorragia di un quinto dei suoi talenti non ha un futuro».