Girandola di paroleL’Europa si incarta sulla guerra in Medio Oriente

Diritto all’autodifesa di Israele e necessità di proteggere i civili palestinesi sono i concetti cardine della posizione europea, tra sfumature, contraddizioni e una gara interna per la visibilità

La bandiera di Israele affissa sulle sedi del Parlamento europeo
Foto di Alain Rolland/Parlamento europeo

Tutti condannano l’attacco di Hamas, nel dibattito organizzato al Parlamento europeo. Ma subito dopo, cominciano i distinguo, le precisazioni, le prese di posizione.

C’è chi come il leader del Partito popolare europeo Manfred Weber calca la mano sul «diritto di Israele a difendersi» e sulla necessità di proteggere gli ebrei in Europa, e c’è chi come la sua omologa dei Socialisti e democratici, Iratxe García Pérez, punta il dito contro la risposta israeliana, rivolgendosi a un’impassibile Ursula von der Leyen: «Ha ricordato al signor Netanyahu che i crimini non si combattono con altri crimini?».

Su un tema così complesso le sfumature contano, e rispondono spesso alle sensibilità politiche del proprio partito. Succede anche per i deputati italiani. «Abbiamo condannato il massacro perpetrato dai criminali di Hamas, ma non possiamo accettare il diritto alla vendetta: a Gaza siamo di fronte a una catastrofe umanitaria», dice il capo-delegazione del Partito democratico Brando Benifei.

Concetto simile a quello espresso da Fabio Massimo Castaldo del Movimento Cinque Stelle: «Israele ha il pieno e indiscutibile diritto di difendersi, ma ha anche il dovere inderogabile, di rispettare, altrettanto in pieno, il diritto internazionale». «Gli innocenti sono uguali ovunque, in Israele come a Gaza», sottolinea Piernicola Pedicini, eletto con il M5S e poi passato al Gruppo Verdi/Ale.

Più netta la posizione di Anna Cinzia Bonfrisco della Lega, che incita a «combattere l’Islam politico che ci riporterebbe al Medioevo» e dell’ex leghista Francesca Donato, ora vice-presidente della Democrazia Cristiana: «Israele sta combattendo contro il peggior terrorismo e pertanto non si può non stare al cento per cento con Israele».

Un’Europa a più voci
Ma il Parlamento è in fin dei conti la casa della democrazia europea e le opinioni contrastanti dei gruppi politici sono normali e funzionali al dibattito. Più problematica, forse, la ricerca di una postura comune nelle altre istituzioni dell’Ue.

Le figure apicali dell’Unione, nei giorni successivi all’attacco di Hamas, non hanno lesinato dichiarazioni e iniziative, non sempre coordinate e coerenti fra loro. Il risultato è un’inevitabile cacofonia di voci, in cui non è ancora del tutto chiara la posizione europea.

Un quadro ironico ma piuttosto fedele della situazione lo ha dipinto nel suo intervento in aula l’eurodeputato italiano Sandro Gozi, eletto in Francia nella Liste Renaissance: «Quando si tratta di crisi geopolitiche, i vari rappresentanti dell’Unione europea sono come i “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello: ognuno racconta la propria verità, rendendo la storia impossibile da mettere in scena. Questo accade per l’assenza di una strategia comune dell’Ue, per debolezza istituzionale e per la spasmodica ricerca di visibilità e photo opportunity».

In effetti le dichiarazioni recenti di Ursula von der Leyen, Charles Michel e Josep Borrell non sono esattamente sovrapponibili, anche se partono da due elementi comuni: il sostegno a Israele contro il terrorismo di Hamas e la necessità di salvaguardare i civili palestinesi nella striscia di Gaza.

Tra i tre, la presidente della Commissione europea è sembrata quella più incline a un sostegno incondizionato al governo di Gerusalemme. Soprattutto per il suo viaggio in Israele con la presidente del Parlamento Roberta Metsola, dipinto dai critici come «un assegno in bianco» a Benjamin Netanyahu per la mancanza di riferimenti ai «limiti» da rispettare nell’offensiva su Gaza.

Ma anche per dichiarazioni iniziali considerate «sbilanciate» ad esempio dal primo minsitro irlandese Leo Varadkar. Tanto che von der Leyen sembra aver aggiustato il tiro nelle ultime uscite: «Israele ha il diritto all’autodifesa in linea con il diritto internazionale», le sue parole nell’aula di Strasburgo.

Le critiche di Michel e Borrell
L’equilibrio fra le due necessità è il messaggio chiave emerso anche dal vertice in videoconferenza fra i capi di Stato e di governo dell’Ue per discutere della situazione. La sera del 17 ottobre, al termine dell’incontro, il presidente del Consiglio Charles Michel ha da un lato ribadito il sostegno a Israele, dall’altro quello alle «popolazioni più fragili», menzionando esplicitamente la «soluzione dei due Stati» introdotta dagli Accordi di Oslo del 1993.

Michel esprime la postura dei ventisette Stati membri e non può andare oltre quanto concordato dai governi, ma rispondendo alle domande dei giornalisti è sceso nel dettaglio: «Quando si tagliano le infrastrutture di base, l’accesso all’acqua, l’elettricità e non si permette la consegna di cibo, non si agisce in linea con il diritto internazionale».

Parole che riecheggiano quelle dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, il primo a sollevare la questione nei primi giorni dopo l’attacco, e probabilmente il più critico nei confronti dell’offensiva militare di Israele (a cui comunque riconosce il diritto all’autodifesa).

«L’assedio di Gaza, con il blocco alle forniture d’acqua per la striscia, non è in linea con il diritto internazionale», aveva dichiarato il 10 ottobre al termine di un Consiglio straordinario dei ministri degli Esteri organizzato in Oman. Nel suo intervento al Parlamento di Strasburgo ha approfondito il concetto, spingendosi fino a criticare nemmeno troppo velatamente la politica israeliana degli ultimi anni.

«Dagli accordi di Oslo a oggi, il numero di coloni israeliani nei territori occupati è triplicato. Lo spazio per un possibile Stato palestinese si è ridotto e trasformato in un labirinto di spazi staccati l’uno dall’altro» le parole di Borrell, seguite dall’immancabile richiamo a colloqui di pace sotto l’egida delle Nazioni unite.

Gli aiuti ai palestinesi
Al di là della girandola di parole dei suoi rappresentanti, in concreto l’Unione europea ha preso due decisioni sul conflitto mediorientale, entrambi riguardanti gli aiuti ai territori palestinesi.

La prima è la revisione di tutti progetti di cooperazione allo sviluppo, che valgono in tutto trecentonovantasei milioni di euro, tra i duecentodiciotto già destinati a interventi specifici e i centosettantotto (dieci per la Striscia di Gaza) da allocare nel 2023.

La Commissione ha assicurato che si tratta di una scelta presa in via precauzionale alla luce di quanto accaduto, e non perché sospetta di aver finanziato indirettamente Hamas o altre organizzazioni terroristiche: circostanza esclusa in maniera categorica da von der Leyen.

Resteranno comunque in vigore gli aiuti umanitari per i palestinesi, che per l’anno in corso ammontano a 27,9 milioni e che anzi la Commissione ha deciso di triplicare. A questa seconda decisione, presa soprattutto per sopperire alle difficili condizioni che si prospettano per i civili a Gaza, si aggiunge la promessa di un ponte aereo per portare concretamente gli aiuti nella striscia passando dall’Egitto: coperte, medicine e prodotti igenico-sanitari nei primi due voli in programma.

«Non c’è contraddizione tra la solidarietà con Israele e l’agire per i bisogni umanitari del popolo palestinese», assicura Ursula von der Leyen, e almeno su questo sembrano tutti d’accordo.

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