Derive punk e rockI documentari che raccontano la vita segreta degli artisti musicali

Dal 4 al 12 novembre si tiene a Firenze il Festival dei Popoli, che da più di sessant’anni promuove e diffonde il cinema d’autore a livello internazionale. Da Joan Baez a Pete Doherty, passando per Cosmo: la sezione “Let the music play” indaga l’artigianale verità delle loro esistenze

I Am a Noise, Joan Baez, courtesy of Festival dei Popoli

Il Festival dei Popoli di Firenze è giunto alla sua sessantaquattresima edizione e si presenta con un cartellone ricco di film e documentari internazionali che vanta anche una sezione dedicata alla musica dal titolo Let The Music Play. Cinque i film che verranno presentati in anteprima nazionale. Si racconta la memoria, frammenti della storia recente attraverso le vicende private e personali dei protagonisti. In prima mondiale arriva Kissing Gorbaciov di Andrea Paco Mariani e Luigi D’Alife, viaggio di andata e ritorno dal 1988.

Quell’anno partì da Melpignano, nel Salento, un tour punk e rock che ruppe la cortina di ferro tra Occidente e Unione Sovietica. Storie incredibili di quel viaggio, indicato con il nome “Idi di marzo”, tra le testimonianze di chi quel concerto lo ha pensato e realizzato. Protagonisti i CCCP – Fedeli alla linea che presentano materiali d’archivio mai visti prima, dalla Puglia a San Pietroburgo, insieme ai Litfiba, i Rats e i Mista&Missis. In calendario che Caiti Blues di Justine Harbonnier; ANTI-POP di Jacopo Farina dedicato al cantante Cosmo; Squaring the Circle (The Story of Hipgnosis) di Anton Corbjin, un tuffo nelle storie delle copertine cult del rock e Pianoforte di Jakub Piątek dedicato ai musicisti che partecipano al concorso pianistico dedicato a Chopin. Ma sono due gli appuntamenti imperdibili della sezione musicale del Festival: la prima italiana di I Am A Noise, biografia di e con Joan Baez, per la regia di Miri Navasky, Maeve O’Boyle e Karen O’Connor e Pete Doherty: Stranger in My Own Skin di Katia deVidas (con il cantante protagonista di uno showcase live al Cinema La Compagnia domenica 12 novembre).

I Am a Noise, Joan Baez, courtesy of Festival dei Popoli

I Am A Noise (in sala il 4 novembre alle 20:30) è un biopic delicato, solare, capace di raggiungere il buio e le profondità più intime della protagonista, Joan Baez. «Le persone hanno tre vite», si legge sullo schermo riportando una citazione di Gabriel Garcia Marquez, «quella pubblica, quella privata e quella segreta». Ecco, in questo film andiamo lì, in quella segreta, che si mescola naturalmente a quella pubblica e a quella privata. Che emerge grazie al disvelamento di un lavoro dolorosissimo che Baez ha fatto su di sé e che custodisce nel suo archivio. Le chiavi le ha lei e questa volta ha scelto di aprire la porta e farci entrare in quella stanza ordinata, piena di scatole e cassetti che classificano ogni cosa. Ci sono disegni splendidi (suoi), i quaderni e i diari, ci sono le registrazioni dei concerti, ma anche della sua terapia con uno psichiatra che l’ha aiutata a raggiungere quei segreti con l’ipnosi.

Ci sono le foto (tante, tantissime) e video di famiglia (splendidi). C’è la sua storia musicale, quella sentimentale, amorosa e genitoriale e c’è il presente. Ci si trova in questa epoca a Parigi, nella camera d’albergo di una Joan Baez incapace di resistere al suono che arriva dalla strada di un gruppo di percussioniste che sta suonando: scende e si mette a ballare, scalza, davanti a loro. Scalza come quando aveva vent’anni e forse come quando era bambina. Come quando aveva scritto in un tema scolastico Io sono un rumore, I am a noise. Il rumore, il suo rumore, arriva fin qui, Baez fa i conti con commozione, lo traduce nella musica, nel mondo – quello sì – solido e cristallino delle sue canzoni.

Pete Doherty, courtesy of Festival dei Popoli

Le sue tre vite sono lì, sullo schermo, guardate e messe in fila da lei stessa in una memoria lunga, dolorosa e forse pacificata. Pete Doherty quella memoria in qualche modo la raccoglie e si chiede proprio alle prime battute del film Stranger in My Own Skin che cosa significhi parlare di memoria. Altro paradigma, altro mondo, altra sensibilità quella di Doherty, che emerge anche dal punto di vista filmico. Il bravo ragazzo che è stato incontra presto quello che è diventato appena poco più grande, quando il successo lo ha consacrato come cantante dei Libertine e la dipendenza dalle droghe a un loro fedelissimo adepto. Ci sono le visioni psichedeliche dell’eroina, ci sono sogni poetici di nevicate dalla terra verso il cielo, ci sono i suoi quaderni su cui componeva le canzoni e la sua voce, così bassa che sembri stia parlando unicamente a se stesso. È un poeta punk-rock, oscuro, a volte geniale e altre incomprensibile, ma capace di raccontare gli abissi.

La storia procede con il successivo gruppo Babyshambles e la reunion del primo, la relazione con Kate Moss e, soprattutto, nella storia della sua tossicodipendenza. Fino raggiungere lo sdoppiamento della personalità: dopo il 2019 Doherty è libero dalle droghe e stenta a riconoscersi in questa storia, parlando di se stesso come del “ragazzo del documentario”. Che mostra anche la sua trasformazione, perché la regista, l’attuale moglie, ha ripreso ogni cosa. Ne viene fuori un ritratto brutale, intriso di quella malinconia che solo il rock sa raccontare (in cartellone il 12 novembre alle ventuno).

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