Baracconate bioeticheIl caso di Indi Gregory e la guerra dell’Italia ai medici della perfida Albione

Il governo ha conferito la cittadinanza alla bambina inglese affetta da una malattia genetica incurabile, contendendola così a Londra, per farla morire come piace a noi. Dimenticando che il principio del consenso nelle relazioni di cura è un limite invalicabile, ma non è un passepartout

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Quello di risparmiare a pazienti terminali sofferenze inutili, perché non giustificate da alcun beneficio, è un principio deontologico fondamentale e teoricamente pacifico.

La volontà del paziente o, nel caso dei minori, quella dei genitori non giustifica l’avvio o la prosecuzione di cure ritenute da medici gravose e inappropriate, né santifica l’accanimento terapeutico che, anche quando appaga il disperato e amorevole desiderio di non vedere morire le persone care, costituisce un’effrazione del patto terapeutico, in cui l’interesse del paziente deve essere valutato e soddisfatto secondo evidenze diverse da quelle del sentimento e dello strazio.

Il principio del consenso nelle relazioni di cura è un limite invalicabile, ma non è un passepartout. Dovrebbe essere chiaro – ma chiaro evidentemente non è – che come nessun trattamento può essere imposto a un paziente da un medico, allo stesso modo non può essere imposto o estorto al medico dal paziente o dai suoi congiunti. Inoltre la volontà del medico, a differenza di quella del paziente, non può essere arbitraria e irrazionale, ma deve avere un fondamento, che egli è tenuto a documentare e una giustificazione di cui deve rispondere.

Che poi il mero prolungamento della vita residua di un morente non costituisca in sé un obiettivo di cura giustificato è, in linea teorica, accettato anche dalla dottrina morale cattolica.

Nell’Evangelium vitae, enciclica di Giovanni Paolo II del 1995, si distingue appunto tra «l’eutanasia in senso vero e proprio», cioè «un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore», e la rinuncia al «cosiddetto “accanimento terapeutico”, ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi… La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte».

Nei fatti però, malgrado questa canonica distinzione tra eutanasia e rinuncia all’accanimento terapeutico, l’interruzione delle terapie e in particolare dei trattamenti di sostegno vitale di fronte a una morte “imminente e inevitabile”, nel variegato schieramento di prelati e fedeli da combattimento è per lo più equiparata a una pratica eutanasica. Così è avvenuto anche nel caso di Indi Gregory, la bambina inglese affetta da una malattia genetica incurabile, a cui, secondo le ricostruzioni denigratorie, per una sordida congiura di medici e giudici in patria volevano “staccare la spina” e che il Consiglio dei ministri, conferendole d’urgenza la cittadinanza italiana, ha ieri cercato di strappare dalle mani dei suoi aguzzini.

Mentre scrivo ancora non è chiaro se questa decisione fermerà la sanità e la giustizia inglese e consentirà ai genitori di portare la figlia in Italia all’Ospedale Bambino Gesù, che le ha offerto ospitalità.

È invece chiarissimo che il Governo Meloni ha ritenuto che nel conferimento della cittadinanza a Indi Gregory, ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, «ricorra un eccezionale interesse dello Stato». Il che significa che, non essendo affatto disponibile in Italia per quella disgraziata bambina un’alternativa terapeutica efficace – che anche l’ospedale ospitante si è ben guardato dal garantire – è diventato interesse dello Stato contenderne il corpo alla perfida Albione, per farla morire come piace a noi, rendendo il tributo di un supplemento di dolore alla sacralità della vita.

Ai medici e giudici inglesi che hanno deciso in scienza e coscienza contrapponiamo come Paese la scienza del miracolo e la coscienza della superstizione pro life. In questa nazione, come direbbe Meloni, dell’accanimento terapeutico ce ne freghiamo, quando possiamo attaccare il carretto dell’esibizionismo moralista alla bestia del cospirazionismo antiscientifico e inscenare queste orrende baracconate di necrofilia compassionevole, orchestrate, non casualmente, dall’ex senatore Pillon. Non siamo a caso la gloriosa nazione del siero di Bonifacio, della cura Di Bella, del miracoloso protocollo Stamina.

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