Il mondo gastronomico, dopo la proclamazione delle nuove stelle, si divide in due grandi gruppi: quelli che contestano ogni scelta e quelli che sono felici.
I felici sono quelli che hanno confermato o acquisito l’ambito macaron, e i loro sostenitori. I critici sono tutti gli altri, indistintamente. Perché anche se hanno premiato uno dei tuoi ristoranti preferiti, è certo che ne avranno penalizzato uno che adori e che neanche quest’anno ha raggiunto le pagine della “rossa”.
Il commento più acuto che ho sentito, proprio da uno di questi grandi esclusi (ingiustamente e ingiustificatamente, ndr, perché chi sono io per non criticare le scelte della Michelin?) è questo: «La cosa mi sembra abbastanza semplice: questa guida non fa per me, e viceversa». Ecco, forse il punto sta davvero tutto qui. Per la Michelin cinque sono i criteri di valutazione degli ispettori: qualità dei prodotti, maestria nella realizzazione, armonia dei sapori, personalità dello chef, coerenza e regolarità nel tempo e nel menu. Come abbiamo più volte sottolineato, e come ci continua a ricordare Marco Do, capo della comunicazione di Michelin, questa è una guida e non fa critica gastronomica. Siamo noi, spesso proprio noi della stampa, ma anche gli chef stessi, che l’abbiamo ammantata di un ruolo non suo, regalandole luce riflessa e facendola nel tempo diventare quella potenza indiscussa che è. Quindi: gli ispettori giudicano con i loro criteri, e scelgono in base al loro pubblico, molto definito e molto specifico. Non possono deluderli, devono dar loro le indicazioni più corrette e scegliere i locali che offriranno le esperienze che meglio si adattano ai loro gusti, senza scivoloni e senza sorprese.
Spesso, invece, quello che viene considerato avanguardia e futuro da noi che abitiamo quest’ambiente, e lo frequentiamo quotidianamente, probabilmente per il lettore medio della Michelin è troppo. Del resto, la guida è loro e la possibilità di scegliere che cosa inserire non dipende in alcun modo dai palati dei gourmet contestatari.
Di sicuro, la partita si è giocata sulle “due stelle” che hanno fatto notizia e che possono farci capire meglio la filosofia con cui questa guida effettua le sue scelte.
Non era mai successo che un ristorante aperto da pochi mesi salisse da zero a due macaron: i fratelli Mario e Remo Capitaneo sono riusciti in quest’impresa e hanno scritto la storia con il loro Verso. L’umiltà con cui li abbiamo ritrovati la mattina dopo al ristorante ci ha colpiti: entusiasti ma ancora increduli, hanno ripensato con noi a quell’invito ricevuto qualche giorno prima. «Ci hanno detto di portare la giacca, abbiamo pensato a un premio speciale, non certo alla stella, e quando hanno esaurito le stelle singole, e hanno assegnato le due stelle, ci siamo quasi demoralizzati. Quando ci hanno chiamati siamo impazziti di gioia» ci raccontano con gli occhi ancora pieni di emozione. Certo, non è una sorpresa per i due ex bracci armati di Enrico Bartolini, che con questa apertura in Piazza Duomo sono riusciti a realizzare il loro sogno. Di sicuro la magia che porta lo chef più stellato d’Italia ad azzeccare ogni apertura l’hanno interiorizzata, riuscendo anche in solitaria a ottenere un riconoscimento mai visto prima.
Seconda stella cucita sulla giacca di Andrea Aprea, chef campano ormai naturalizzato milanese, che accanto a un temperamento focoso e a una determinazione senza pari, riagguanta la doppietta che aveva già ottenuto al Park Hyatt, sua ultima tappa meneghina prima della attuale sistemazione. La differenza? Oggi il ristorante porta il suo nome, e la firma non è solo sul menu ma proprio sul contratto: la soddisfazione è doppia, la fatica anche. Ma quelle due stelle brillano solide e arrivano forse con un anno di ritardo. Come sempre, poche parole e pochi sorrisi: «Si va avanti, sono contento» è il massimo di autoaffermazione che siamo riusciti a strappargli a pochi minuti dall’assegnazione.
Per una che arriva a Milano, una che se ne va, e fa un gran rumore. Da alcuni anni le stelle perse non vengono annunciate pubblicamente durante la cerimonia, ma sono comunicate alla stampa al termine dell’evento. E questa perdita di uno dei ristoranti storici della città, Aimo e Nadia, ha decisamente fatto scalpore. Le due stelle erano in via Montecuccoli da decenni, la perdita non poteva passare inosservata. La reazione degli attuali chef, Alessandro Negrini e Fabio Pisani è arrivata il giorno dopo, con un post decisamente elegante, che probabilmente li mette al riparo da ogni possibile polemica e placa il gossip.
Mammoliti recupera le due stelle, Niederkofler le tre, e sono sul palco. Perbellini (nonostante tutte le inutili parole che sono state sprecate il giorno della dichiarazione del cambio di sede) le ha – semplicemente – mantenute, e infatti sul palco non c’era (peccato!).
Fino a qui, i riconoscimenti. Ma ci sono altri due aspetti di cui tenere conto.
Uno è l’influenza: abbiamo fatto un piccolo sondaggio e un libraio ci ha confessato che dallo scorso anno le vendite sono crollate, e il target medio è uomo over 60. Ma ha tenuto a sottolineare che ormai è l’unica rimasta, e l’unica conosciuta dai lettori, che la chiedono esplicitamente. Non è un campione significativo, ma ci dà il polso della situazione dell’editoria in primis, e delle guide gastronomiche in generale. Ci stiamo spostando sul web? Probabile. Avremo soldi per creare progetti editoriali di senso in questo settore? Molto meno scontato. Se un lettore non paga per leggere quello che scriviamo, è davvero difficile poter fare un numero significativo di recensioni imparziali pagando i ristoranti e chi li recensisce.
E allora, chi paga? E veniamo al secondo tema significativo. Le aziende che sostengono la guida sono sempre più presenti, e naturalmente pretendono il loro posto nel mondo: non penso che il cortocircuito che capita su altre guide sia capitato anche qui. Certo è che si sposta il punto di vista: più le aziende sono di riferimento, più saranno i ristoratori che – desiderosi di riconoscimento – decideranno di avere i loro prodotti, perché “non si sa mai”. Più i clienti dei ristoranti vedranno quei prodotti in tutti i ristoranti in guida, più penseranno che per starci sono assoggettati a un sistema, e daranno meno credito alla guida stessa. Un problema che è già capitato nei giornali, e di cui Michelin dovrà tenere conto. Ma, c’è un ma: la guida, per Michelin, non è esattamente un esercizio editoriale puro: è un progetto di marketing del ramo pneumatici. Così è nata nel 1901, il primo progetto di brand journalism che voleva portare in giro le persone a scoprire luoghi distanti dalle città, così che consumassero più ruote e le cambiassero più spesso. E così è ancora oggi. Parte da un diverso presupposto, rispetto a un editore canonico. E forse è questa la sua vera grande forza.