Carbo load Pasta, vino e maratona

La celebre corsa di New York richiede capacità, resistenza e preparazione, ma anche riuscire a mangiare bene e a un costo accettabile prima della prestazione non è di certo un gioco da ragazzi

New York City Marathon 2022, @Tong Su, Unsplash

Duemila-quattrocento-ottantadue, sono gli italiani che domenica 5 novembre hanno attraversato i cinque distretti di New York (Staten Island, Brooklyn, Queens, Bronx e Manhattan) per correre i 42 chilometri e 195 metri della maratona più partecipata sia in termini di corridori che di pubblico del mondo. Gli italiani sono costantemente il gruppo straniero più numeroso davanti a francesi e tedeschi.

La regola alimentare che precede una maratona si chiama “carbo load” e come si può comprendere comporta un carico di carboidrati. Regola naturalmente inventata dagli italiani che in materia sono maestri nel mondo. Si può immaginare cosa comporti l’arrivo in città di almeno tremila italiani alla ricerca, non sempre fortunata, di un piatto di pasta il sabato sera. Quando si parla dei cinquecento milioni di dollari di indotto bisogna contare anche l’irrefrenabile desiderio di spaghetti dei corridori italiani e famiglie.

Dodicimila dei sessantottomila ristoranti della città propongono una cucina italiana, la stragrande maggioranza non soddisferebbe il desiderio del turista medio: pasta scotta, spesso di grano tenero, condimenti poco raccomandabili al gusto nostrano. La maggior parte dei nostri connazionali arriva con le agenzie turistiche riconosciute dal New York Road Runners che vendono pacchetti completi di viaggio, alloggio e pettorale con prezzi che, a seconda della durata e della categoria alberghiera, variano da millequattrocento a settemila euro.

Born2run, la seconda agenzia per importanza, quest’anno ha organizzato da Tarallucci e Vino, ristorante italiano noto e apprezzato, una cena in due turni da cento persone con un menu che comprendeva due paste, chicken salad, torta di mele, acqua e caffè per sessanta euro.

C’è chi ha prenotato in un posto noto e considerato affidabile, ma ha avuto un’esperienza negativa con pessimo servizio e soprattutto cibo più scarso del concordato. Mangiare un piatto di pasta e spendere cinquanta dollari ovviamente sembra un’esagerazione, ma oggi più che mai New York è la città più cara del mondo.

Avere un amico che con un contributo di venticinque dollari a testa organizza una cena a casa sua, benché in piedi, e prepara a ognuno il piatto che preferisce, che sia riso, pasta integrale o normale, insalata, pollo alla piastra e, a sorpresa, compra una apple pie, può essere una fortuna: quell’amico sono io!

La cena con gli Urban Runners Milano

Joe Bastianich ha pubblicizzato su Instagram la sua “cena da Joe” al ristorante Becco con un primo, un secondo, dolce e caffè a cinquanta dollari, compreso di tasse e mancia: prezzo molto competitivo e soprattutto che includeva la mancia che è sempre un ostacolo difficile da capire per gli italiani in visita alla Grande Mela. Bastianich di maratona se ne intende perché l’ha conclusa sette volte tra il 2008 e il 2016, con un ragguardevole primato personale di tre ore quarantadue minuti e trentasei secondi: un risultato che comporta determinazione e sacrificio.

Non sei un vero newyorkese se non corri almeno una volta la maratona, non si sottrae a questo meccanismo neppure il mondo della ristorazione dove il leader indiscusso è Daniel Humm, lo chef di Eleven Madison Park, che ha corso cinque volte con un best time di due ore cinquantuno minuti e dodici secondi. La corsa fa parte del team building del ristorante: tutti i mercoledì mattina alle otto lo staff si ritrova a Central Park per una sgambata di circa nove chilometri, per essere precisi cinque miglia e mezzo, cui partecipano una decina di ragazzi, ma nessuno quest’anno ha corso tra Staten Island e Central Park.

Ci sono stati altri chef tra i cinquantamila di questa prima domenica di novembre dalla temperatura pressoché perfetta per correre: massima di quindici gradi, un sole non caldo, vento lieve da Nord. Dan Churchill di The Osprey e David Shim di Cote hanno concluso a un’ora di distanza uno dall’altro, la loro vittoria è stata portare cento partecipanti a raccogliere fondi (uno dei modi per aver diritto al pettorale è il fundraising per un’organizzazione riconosciuta) per City Harvest, una non profit che provvede a distribuire pasti a chi ha difficoltà: con il contributo di chi ha corso ne saranno serviti un milione e duecentomila.

Anche il mondo del food and wine italiano era ben rappresentato. Più quello del vino, in realtà: a cominciare da Gabriele Gorelli, il primo Master of Wine italiano, che aveva stampato sulle spalle della maglia con cui ha corso il motto “Run as a Master of Wine”.

Ci sono maratoneti che si preparano con severa diligenza e non toccano alcol per tre mesi per migliorare la performance, Gorelli nei fatti smentisce la teoria: «Il venerdì prima della maratona ho condotto una degustazione di Brunello, una mattinata impegnativa, eppure tagliando il traguardo di tre ore e quarantatré minuti ho migliorato di dodici minuti il mio tempo di esordio a Londra l’anno scorso. Per la pasta della vigilia ho chiamato Farinetti che mi ha riservato una saletta da Eataly al Financial District», con buona pace dei talebani dell’astinenza alcolica, d’altronde anche Stefano Baldini nel 2004, la sera prima di diventare campione olimpico ad Atene, si concesse un bicchiere di vino.

«L’ultimo mese non ho potuto essere perfetto nella preparazione perché ho viaggiato molto in Asia dove il clima, l’inquinamento e il traffico rendono impossibile allenarsi» continua Gorelli, «per questo sono molto contento, non ho trattenuto qualche lacrima di commozione arrivato al traguardo di Central Park. La maratona è un viaggio pazzesco e tra il mio lavoro e lo sport c’è un’analogia: si migliora sempre con l’allenamento. Mi ha spinto all’arrivo anche una voglia irrefrenabile di Champagne che mi ha preso attorno al trentottesimo chilometro e che ho naturalmente soddisfatto domenica sera. Lo Champagne aiuta a reintegrare i Sali». Cari runner sapevatelo.

«Ho deciso di affrontare il viaggio della maratona durante il Covid» racconta a Linkiesta Gastronomika Francesca Moretti (foto sotto), ad di Bellavista, Contadi Castaldi e Petra, che ha concluso la sua fatica in quattro ore e cinquantasette minuti.

«Una sera ero a cena con il professor Gabriele Rosa, storico preparatore e manager di atleti keniani, che è un amico; ho affermato che mi sarebbe piaciuto provare questa sfida e lui, mentre mio marito rideva neppure troppo sotto i baffi, ha accettato di prepararmi. Sono partita da zero dovendo perdere quindici chili, per fortuna il dietologo ha capito che non poteva togliermi il vino, ed eccomi qui. New York è stata la mia terza, dopo Ravenna e Londra. Sono io che ho coinvolto Gabriele Gorelli e gli ha regalato la maglia con il logo Bellavista e il motto sulle spalle. La maratona va provata, è un viaggio personale fatto di gioia e sofferenza. Finirla è una vittoria, infatti la medaglia è per tutti. Per arrivare qui mi sono allenata quattro volte a settimana: tre con la corsa e una con la bici. Devo ringraziare il mio amico Roberto Marini che ha rinunciato alla sua maratona per farmi compagnia: ci siamo abbracciati a Central Park. Un abbraccio liberatorio ed emozionante».

Ma non finisce qui la rappresentanza del mondo del vino per le strade dei cinque distretti di New York. Hanno concluso la loro fatica, tutti con la stessa emozione, Alessandra Angelini di Altesino in quattro ore e ventisette, Amedeo Moretti Cuseri di Tenuta Sette Ponti in quattro ore e dieci e James Ferragamo de Il Borro in quattro ore e quarantacinque.

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