Zoccolo duroIn Serbia il nazionalismo si intreccia con l’arte urbana e lo sport

Gli ideali rappresentati dal presidente uscente Vučić non sono mai completamente svaniti e si canalizzano nelle relazioni con il Kosovo oltre a permeare la città di Belgrado con numerosi murales che ricordano il passato e un calcio segnato dagli scandali

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Nel suo report sull’allargamento di qualche giorno fa, l’Unione europea ha chiesto alla Serbia maggiori sforzi sulla lotta alla criminalità organizzata, sugli ambigui rapporti con la Russia e sul processo di normalizzazione con il Kosovo. I negoziati sono arrivati ormai al decimo anno ma il Governo guidato da Aleksandar Vučić non ha compiuto passi in avanti significativi e diversi nodi restano ancora da sciogliere. Negli ultimi tempi soprattutto a Belgrado e soprattutto tra i giovani è cresciuto il sentimento pro-Europa.

Le ultime elezioni dicono che nella capitale la distanza tra i partiti europeisti e quello di Vučić è minore rispetto al resto del territorio e nella prossima tornata elettorale del diciassette dicembre il divario potrebbe ridursi ulteriormente, anche se il Presidente uscente sembra ancora il favorito. C’è un notevole zoccolo duro nazionalista (da cui proviene anche Vučić) che continua ad essere ben radicato in molti ambienti a Belgrado e nel resto della Paese. Gli ideali della Grande Serbia non sono mai completamente svaniti e oggi si canalizzano soprattutto nelle relazioni con il Kosovo. «Remember: Kosovo is Serbia» si legge nella scritta graffito su un ponte che accompagna verso l’aeroporto Nikola Tesla. La questione del Kosovo non è ancora stata superata e stando alle ultime parole di Vučić se sarà lui a trionfare il diciassette dicembre non ci saranno progressi rapidi verso la normalizzazione delle relazioni e, di conseguenza, verso il percorso di adesione all’Unione europea.

Graffiti
La partita elettorale si giocherà in buona parte a Belgrado dove vive più del venti per cento della popolazione. Una città affascinante ma complicata da raccontare a chi non l’ha visitata. A livello urbanistico-architettonico la capitale serba è composta da vari stili differenti, figli di molti progetti rimasti incompiuti a causa delle vicissitudini che la città ha vissuto in diversi momenti della storia. Capita di passeggiare non lontano del centro e trovarsi di fronte a palazzi distrutti a pochi metri da edifici moderni appena ricostruiti. Le influenze austro-ungariche si contrappongono al brutalismo degli anni del periodo di Tito. Insomma, Belgrado sembra contenere al suo interno diverse città. 

A questo patchwork negli ultimi anni si sono affiancati i murales che hanno saputo ritagliarsi uno spazio importante nel contesto urbano della capitale, diventando un vero e proprio patrimonio artistico preservato e curato dai cittadini. Spesso però questa forma d’arte si è mescolata con la politica e i graffiti sono diventati lo specchio di una contrapposizione ideologica che riporta improvvisamente agli anni Novanta. Ne è l’esempio il murales raffigurante Ratko Mladić, «il macellaio di Bosnia» ex generale dell’esercito condannato per genocidio. Ma quello di Mladić è solo uno degli esempi di un certo tipo di comunicazione che in alcuni quartieri si declina con raffigurazioni ultranazionaliste ancora legate a un passato le cui cicatrici non sembrano essersi del tutto rimarginate. Ed è così che i muri della città diventano espressione delle diverse posizioni anche sull’invasione dell’Ucraina, con i nazionalisti a rappresentare il volto di Putin o le «Z» simbolo delle forze armate russe e gli oppositori antifascisti a rispondere a colpi di vernice.

Nel murales che raffigura Mladić è presente anche il simbolo di una delle due squadre di calcio della città: il Partizan Belgrado. Già, perché nella capitale serba più che in altri posti la politica si intreccia con lo sport e a Belgrado lo sport è cannibalizzato dalle due principali polisportive della Serbia: Partizan e Stella Rossa.

Il derby eterno
Le due squadre della capitale sono le migliori del Paese. Nel calcio c’è un predominio della Stella Rossa mentre nel basket la situazione è più equilibrata. Recentemente gli appassionati di pallacanestro hanno potuto ammirare lo spettacolo dei derby di Eurolega tra le due squadre della capitale, con più di ventimila spettatori che hanno infuocato la Stark Arena in diverse occasioni nel 2023. Numeri che raramente si vedono nei palazzetti europei. In Serbia il basket è uno sport molto seguito ma a Belgrado Stella Rossa e Partizan potrebbero sfidarsi anche a ping-pong che si troverebbero di fronte a migliaia di spettatori. C’entra un senso di appartenenza che si mischia agli aspetti sociali, culturali e politici. Lo sport nella capitale serba viene vissuto con una passione ed un trasporto che ha pochi eguali al mondo.

«Non esiste un luogo al mondo che possa essere raccontato così bene attraverso il calcio come i Balcani» scrive Gianni Galleri –giornalista di Meridiano13 e SportPeople, tra i maggiori esperti italiani di sport dei Balcani– nel suo libro “Curva Est”. Abbiamo chiesto a Galleri di raccontare a Linkiesta come questa passione unica al mondo a Belgrado diventi qualcosa di più. «Le due polisportive di Belgrado raccolgono buona parte della popolazione della città e del Paese. La Stella Rossa è la squadra della Serbia, nasce dalla rielaborazione di squadre già esistenti. Il pubblico inizialmente è quello intellettuale e bohémienne della città ma con il passare degli anni va mescolandosi sempre di più. Il Partizan nasce invece come la squadra dell’esercito. A livello sportivo alla fine degli anni Ottanta c’è stata un’ascesa della Stella Rossa che ha vinto la Coppa dei Campioni nel 1991 a Bari contro il Marsiglia. In quell’occasione è stata mostrata dalla curva della Stella Rossa la bandiera serba e non quella jugoslava, segno di un percorso nazionalista ben avviato dal quale non si sarebbe più tornati indietro.  La contrapposizione sportiva è stata riempita di un altro significato».

In quegli anni i biancorossi di Belgrado erano una squadra pazzesca con un livello di talento impressionante. Ma dopo la vittoria della Coppa dei Campioni e di quella Intercontinentale lo sport è passato in secondo piano e le partite sono diventate lo specchio delle lacerazioni che si stavano manifestando nella regione. La Jugoslavia di fine anni Ottanta aveva quattro grandi squadre, due delle quali erano a Belgrado. Le altre erano la Dinamo Zagabria e l’Haijduk Spalato. La rivalità con le croate andava oltre il calcio e raggiunse il suo apice in Dinamo Zagabria-Stella Rossa del maggio 1990 che causò più di sessanta feriti tra i tifosi e che divenne famosa anche per il calcio di Zvominir Boban ad un poliziotto.

«Negli anni Ottanta nascono movimenti nazionalisti all’interno delle curve che vengono sfruttati dal potere costituito. –continua Galleri– Per controllare gli ultras della Stella Rossa e gestire le tensioni fu messo a capo della curva Željko Ražnatovic, la tigre di Arkan un militare ed ex agente segreto di etnia serba condannato per vari crimini. La guerra ha accentuato le differenze sociali e il risentimento verso gli altri popoli balcanici. Le curve di Belgrado sono state la massima espressione di questi sentimenti e la politica ha provato a controllarle dall’interno. È così ancora oggi».

Chi aveva il potere capì ben presto che in una città particolarmente calda come Belgrado controllare quella passione sarebbe potuto tornare molto utile: gestire il movimento per avere disordini controllati. Un sistema che si è poi tramandato negli anni.

Stadi e politica
In Serbia la presenza della politica nel calcio e nel mondo che gli ruota attorno è molto invadente.  La situazione ha di recente attirato le attenzioni di testate internazionali come il New York Times che si è soffermato sui rapporti tra le tifoserie di Belgrado e gli esponenti del Governo di Vučić. Il Presidente serbo ha legami datati con gli ambienti del tifo che risalgono alla sua gioventù. Inoltre suo figlio è stato fotografato con i leader del gruppo Janjicari del Partizan ai mondiali in Russia nel 2018. Vučić è un grande tifoso della Stella Rossa il cui sponsor è Gazprom, colosso russo dell’energia che ha stretti legami con lo stato serbo e che ha contribuito con forti investimenti alla crescita della società. Un accordo possibile anche grazie alla decisione di Vučić di non estendere le sanzioni alla Russia dell’amico Putin.

Il clima negli stadi non è migliorato e il calcio serbo continua a perdere appeal e spettatori anche a causa dei numerosi scandali. Uno degli ultimi risale al 2021 e ha coinvolto Veljko Belivuk, capo del gruppo ultras del Partizan Janjicari e leader di uno dei più temuti clan criminali della regione, accusato di omicidio, tortura e altri crimini alcuni dei quali commessi in una stanza dedicata nella pancia dello stadio. Nell’indagine è spuntato anche il nome dell’ex presidente della federcalcio serba Slaviša Kokeza —molto vicino al partito di Vučić— sospettato di avere legami con Belivuk e costretto alle dimissioni nel marzo 2021. Dopo due anni i candidati a succedergli alla presidenza della federazione erano due: il settantasettenne Dragan Džajić, vicino a Kozeka, e l’ex calciatore del Manchester United Nemanja Vidić, un volto nuovo con un approccio moderno e trasparente che avrebbe portato a diversi cambiamenti ai vertici del calcio serbo. Indovinate chi ha vinto.

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