Tratto dall’Accademia della Crusca
Da quando si è cominciato a parlare di sviluppo sostenibile nei primi anni Novanta (nel 1987 era stato pubblicato il Rapporto Brundtland dalla Word Commission on Environment and Development in cui il tema della sostenibilità è stato per la prima volta associato anche all’ambiente) si è presentato il problema di veicolare al largo pubblico, in modo rigoroso e al contempo funzionale all’ampia comprensione, i termini e i concetti tecnico-scientifici connessi. Si tratta infatti di trovare l’equilibrio fra trasparenza e precisione, essenziale per una comunicazione efficace, specie in contesti come quello della sostenibilità ambientale, in cui si mira alla consapevolezza e alla collaborazione attiva di tutti i cittadini, a prescindere dal loro livello di competenza linguistica. Rigore e possibilità di veicolare concetti complessi in questo àmbito non possono essere disgiunti. E la situazione italiana non è troppo incoraggiante, visto che le rilevazioni ISTAT restituiscono un quadro disomogeneo e non rassicurante rispetto ai livelli di istruzione (nelle ultime rilevazioni del 2020 risulta che solo il 15% della popolazione ha un titolo di laurea o superiore e che il 48% si ferma alle elementari o alle medie).
È dunque fondamentale che chi fa divulgazione scientifica (ai più vari livelli) si ponga costantemente il problema della mediazione linguistica: e mediazione vuol dire anche scendere a compromessi a favore di una comprensibilità il più possibile ampia. I giornalisti, in questo senso, sono i mediatori per eccellenza del passaggio di conoscenze dagli esperti ai cittadini e il loro ruolo di “traduttori” è sempre più complesso: è richiesta loro, infatti, una preparazione aggiornata e specialistica per entrare in argomenti tecnici, per capire processi, fenomeni, calcoli, ecc. e poter poi riportare concetti complessi in un italiano comprensibile, senza perdere troppo del rigore scientifico delle fonti.
Proprio in questa direzione, ci sono state nel corso degli ultimi anni varie iniziative rivolte al lessico e alla redazione di glossari per fornire strumenti di ausilio anche ai professionisti dell’informazione. Un’ottima guida dedicata alle parole del cambiamento climatico è quella curata da Gianni Latini, Marco Bagliani e Tommaso Orusa (nata nell’ambito del progetto Lessico e Nuvole dell’Università di Torino), che però dal punto di vista linguistico – come risulta dalle analisi di leggibilità applicate ad alcuni brani da Biffi (2023) – resta una guida decisamente di livello alto, quindi non sempre accessibile a buona parte del pubblico a cui è destinata, nonostante le finalità dichiarate nella quarta di copertina del volume, in cui si legge:
Per fondare la comprensione su solide basi, per interpretare e diffondere correttamente le informazioni, per introdurre al linguaggio e alla forma della letteratura scientifica, per orientare alla riflessione consapevole e indirizzare verso politiche, scelte e soluzioni future: a tutto questo serve un lessico condiviso come strumento di comunicazione. Ecco allora le molteplici utilità di Lessico e nuvole: le parole del cambiamento climatico, una bussola per insegnanti, studenti, giornalisti, comunicatori, amministratori, decisori politici e chiunque voglia acquisire maggiore consapevolezza su questo tema e voglia contribuire al suo studio e alla sua condivisione.
Anche la Crusca si è pronunciata in diverse occasioni su singole questioni e in occasione della XXIII edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo (ottobre 2023), ha pubblicato il volume L’italiano e la sostenibilità (curato da Marco Biffi, Maria Vittoria Dell’Anna e Riccardo Gualdo), ricco di interventi e approfondimenti sul tema. Come ricorda Biffi (2023), già nel 2017 l’Accademia era stata protagonista con ENEA di un “pesce d’aprile” che, facendo credere agli utenti di poter scaricare un’applicazione per la ricarica a distanza del proprio smartphone, proponeva una scelta di 10 espressioni per sensibilizzare al risparmio energetico (emissioni zero, ecobonus, led, mobilità sostenibile, lavori verdi, economia circolare, etichetta energetica, casa intelligente, impronta di carbonio, efficienza energetica) introdotte da questo messaggio: “Non esiste ancora una App capace di trasformare le parole in energia, ma esistono parole che ci possono aiutare a risparmiarla. È importante conoscerle e usarle bene soprattutto per coinvolgere gli altri e migliorare insieme il nostro futuro”.
Questa iniziativa va segnalata perché una delle voci trattate può aiutarci a rispondere alla domanda del giornalista Guiomar Parada relativa alla diffusissima “traduzione” giornalistica dell’inglese carbon in carbonio anche laddove ci si riferisca all’anidride carbonica (in particolare Parada si riferisce alla sequenza ormai cristallizzata emissioni di carbonio). La voce che ci interessa è impronta di carbonio (calco di carbon Footprint). In quell’occasione, ci fu una reazione molto simile a quella di Parada da parte di Licia Corbolante (autrice del blog www.terminologiaetc.it), che propose di sostituire carbonio con la formula CO2 dell’anidride carbonica (o secondo la terminologia scientifica della chimica diossido di carbonio), a suo avviso, “comunemente usata e altamente riconoscibile”. Biffi ripercorre l’episodio per notare che la locuzione con la formula è decisamente meno accessibile del calco impronta di carbonio, che – scrive – “evoca con immediatezza al parlante medio italiano esattamente quello che deve evocare: un’impronta sporca e nera di carbone lasciata nel nostro ambiente” (Biffi 2023).
Possiamo accettare questa imprecisione scientifica se il beneficio è offrire un’immagine concreta che possa restare impressa a molte più persone da informare e sensibilizzare? Risponderei “dipende”, e provo a spiegare perché facendo riferimento alla questione sollevata su emissioni di carbonio, che è analoga. Anche in questo caso, infatti, siamo di fronte a un calco dall’inglese: carbon emissions, in cui carbon, tra l’altro, è già forma ridotta della dicitura scientifica carbon dioxide. Tale semplificazione è attestata in inglese dal 1977 (secondo OED), data a cui risale l’esempio inserito con la collocazione carbon emissions sotto la voce carbon nell’accezione di ‘anidride carbonica o altri composti gassosi del carbonio rilasciati nell’atmosfera’. Anche in inglese, inoltre, in alcuni composti, come carbon paper e carbon copy, carbon assume l’accezione di ‘carbone’ (cfr. WordReference.com), così come accade in altre espressioni: carbon cost, carbon pricing, la vecchia carbon tax e la già citata carbon Footprint, che, con la loro larga diffusione mediatica, devono aver contribuito alla diffusione in inglese di carbon al posto di carbone e poi di anidride carbonica. Questa forma, approssimativa dal punto di vista strettamente scientifico ma funzionale alla trasparenza della comunicazione, ha avuto un fondamentale avallo anche dalle traduzioni dei documenti ufficiali del Parlamento europeo, che presto hanno accolto la versione ridotta dell’inglese, che, fin dagli Accordi di Parigi (2016), si trova tradotta in italiano, oltre che con emissioni di gas ad effetto serra, anche con emissioni di carbonio (“gli approcci regolatori alternativi, quali gli approcci congiunti di mitigazione e adattamento per la gestione integrale e sostenibile delle foreste, riaffermando contemporaneamente l’importanza di incentivare, ove opportuno, i benefici non in termini di emissioni di carbonio associati a tali iniziative”: Art. 5).