Poteva mancare la requisitoria contro lo Stato nazista che nella propria foia genocidiaria ammazza anche i propri connazionali, ragazzi senza vestiti e con la bandiera bianca travolti dal fuoco israeliano che li ha scambiati per nemici? No che non poteva mancare. Come non era mancata analoga incolpazione giorni fa, quando nella neutralizzazione dei terroristi che si erano messi ad abbattere la gente alla fermata del bus perdeva la vita anche uno che tentava di contrastarne l’azione.
Qual era il problema, lo scandalo, il crimine? L’attentato, forse? Il fatto che durante la tregua alcuni terroristi prendessero di mira i civili per le strade di Gerusalemme, ammazzandone tre, compresa una ragazza incinta? Macché. Il problema, lo scandalo, il crimine – ovviamente addossato a chi subiva l’attentato, non a quelli che lo commettevano – era il fuoco suprematista che coinvolgeva anche un israeliano.
Stessa sorte narrativa per i tre ostaggi finiti tragicamente l’altro giorno. Il problema, lo scandalo, il crimine non era il fatto che fossero ostaggi dei tagliagole, dei massacratori, degli stupratori del 7 ottobre, figurarsi. Il dramma non era che fossero ostaggi e che la loro condizione passasse da due mesi come il dettaglio inevitabile di una situazione complessa. D’altra parte che fai? Pratichi l’apartheid e poi ti stupisci e magari addirittura ti lamenti se prendono in ostaggio duecentocinquanta civili dopo averne massacrati milleduecento? No: il dramma è che tre ragazzi – alternativamente dimenticati da vivi o maledetti, perché dopotutto esponenti dello Stato nazista – sono falciati dal terrorismo israeliano. Che tra l’altro uno si domanda per quale motivo mai volessero scappare, considerando le inoppugnabili prove sul buon trattamento degli ostaggi (è dimostrato dalle loro testimonianze che il vitto è ottimo e abbondante).
Probabilmente questa parte del racconto è la più oscena, anche peggio del negazionismo giustificazionista del pogrom del 7 ottobre. Perché qui l’abominio è doppio: prima lo svilimento della vita dell’ostaggio, poi la riabilitazione in morte sempre che a ucciderlo sia la violenza di chi dice di volerlo salvare e in realtà ne fa il costo sopportabile per attuare il genocidio.
Hanno avuto una specie di fortuna, quei tre. Saranno ricordati dal racconto pacifista che trascurava il loro diritto di non essere rapiti, ma che non mancherà di onorarne la memoria in quanto vittime dell’oltranzismo sionista.