Ricapitoliamo: quel fesso di Vladimir Putin aveva pianificato una veloce conquista dell’Ucraina con un’Armata che tremare il mondo fa, fantasticando di baci e abbracci che avrebbe ricevuto dagli ucraini e beandosi del giubilo espresso dagli utili idioti dei talk show e di tre o quattro partiti italiani. L’Ucraina russificata sarebbe stato un primo passo verso la riconquista coloniale delle repubbliche indipendenti un tempo sotto il giogo imperialista prima zarista e poi sovietico, almeno secondo i piani di guerra di Putin.
Il piano del mitomane del Cremlino era quello di farsi gioco dell’Occidente decadente, di indebolire la Nato e di ricostruire l’impero russo inopinatamente crollato sotto le macerie del Muro di Berlino, estendendolo magari verso l’Europa continentale e l’Africa.
Meno di due anni dopo questa grottesca, quanto velleitaria, pianificazione putiniana, la Russia ha perso almeno trecentoquindicimila dei trecentosessantamila soldati che aveva inizialmente mandato a invadere all’Ucraina, ha ridato slancio allo spirito indipendente e nazionale di tutte le regioni ucraine, comprese quelle del Donbas e della Crimea, ha accelerato le procedure di ingresso in Europa dell’Ucraina, della Moldavia, e anche della Georgia, ha fatto conoscere al mondo un popolo straordinario, commovente ed eroico del quale fino a un momento prima dell’invasione il mondo non sapeva niente, ha ricompattato l’asse atlantico, ha rinvigorito l’Occidente e ha ridato uno slancio che sembrava perduto a un genuino spirito europeo, grazie al quale proprio ieri è stato deciso di avviare i negoziati per l’adesione all’Unione europea di Ucraina, Moldavia e, con tempi meno febbricitanti, anche la Georgia.
Inoltre, la Svezia e la Finlandia, nazioni tradizionalmente neutrali sulle questioni di difesa, e a un passo da San Pietroburgo, sono corse a chiedere un riparo sotto l’ombrello della Nato, esattamente a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.
In Polonia sono tornati al governo gli atlantici europeisti, a Oslo hanno assegnato il Nobel per la pace agli ucraini, ai bielorussi e ai (pochi) dissidenti russi, mentre i paesi baltici sono diventati esempi virtuosi di anti autoritarismo post sovietico e anche fari di libertà.
I russi sono diventati i paria dei consessi internazionali e dell’umanità, ancor più dei tagliagole di Hamas, sempre con la fulgida eccezione dei talk show italiani e di qualche spargitore automatico di fregnacce in cirillico.
Oltre trecentocinquanta miliardi di dollari in asset russi, custoditi in Europa, sono stati sequestrati in Occidente, e già si discute di come girarli al più presto all’Ucraina.
Dodici pacchetti di sanzioni hanno piegato l’economia russa, tornata alle file per comprare il nulla come non si vedevano dai tempi sovietici, e hanno anche congelato i miliardi di numerosi oligarchi.
Una buona parte dei generali e dei pezzi grossi del regime di Mosca sono stati uccisi dagli ucraini in battaglia oppure sono morti in circostanze non limpidissime in patria, mentre circa trenta milioni di russi vivono ancora oggi senza il cesso in casa e con un criminale al Cremlino.
Per finire, il leader che ha guidato la fermezza europea durante l’invasione russa, ovvero Mario Draghi, potrebbe diventare presidente del Consiglio europeo o della Commissione, e rappresentare plasticamente – dopo le elezioni europee di giugno – un altro grande successo di critica e di pubblico di Vladimir Putin.
Quando durante uno spettacolo teatrale al Ford’s Theater di Washington uccisero Abramo Lincoln, la leggenda vuole che un giornalista si avvicinò alla neo vedova chiedendole: «Apart from that, Mrs. Lincoln, how did you like the play?», «a parte questo, signora Lincoln, come le è sembrato lo spettacolo?».
Ecco, signor Putin, a parte la disfatte elencate qui sopra, come le sta sembrando la guerra?