La miracolosa convergenza deontologica della meglio stampa democratica – Corriere, Repubblica, La Stampa – e della peggio informazione meloniana – il TG1 – sul vilipendio del dolore come estrema e ubertosa frontiera dell’affarismo mediatico dimostra, tra le altre cose, anche la profondità (con rispetto parlando) culturale di quell’unità bipopulista della nazione, che è vergogna e rovina dell’Italia, ma fierezza e sollazzo delle contrapposte fazioni della politica italiana. La tragedia della donna che ha lasciato un bambino all’ospedale di Aprilia – non sappiamo per salvarlo e salvarsi da cosa – è stata prontamente prostituita alla foia moralistica degli spettatori televisivi e digitali sia da destra, che da sinistra. Questa volta, per fornire il fiero pasto all’eccitato voyeurismo della brava gente scandalizzata non è stato necessario neppure ricettare e propalare qualche velina giudiziaria.
È bastato trasmettere a reti e coscienze unificate le immagini delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale, che hanno immortalato l’azione, per meglio renderne riconoscibili i protagonisti, mentre le regole ordinistiche della professione giornalistica imporrebbero al contrario, almeno con riferimento al minore, di impedirne l’identificazione, dovendosi sempre considerare il suo diritto alla riservatezza primario rispetto al diritto di cronaca.
La Carta di Treviso, che del “Testo unico dei doveri del giornalista” costituisce uno strombazzatissimo allegato, e che da trent’anni dovrebbe disciplinare il modo in cui l’informazione affronta le questioni dei minori, è colma di minuziosissime prescrizioni e parte dal presupposto che «la rappresentazione dei loro fatti di vita possa arrecare danno alla loro personalità» e che in ogni caso vada considerato prevalente «il maggiore interesse del bambino». Però, come è noto, le norme deontologiche sono materiale convegnistico o vezzo narcisistico, rilevando nella sostanza, a destra come a sinistra, solo gli interessi di business economico e politico e la strumentalizzabilità del racconto.
Chissà se a muovere allo sputtanamento della straziante sconfitta umana raccolta da quelle immagini abbia pesato più a destra il segreto desiderio che si trattasse di una madre snaturata «zingaraccia» o immigrata, o a sinistra la pretesa di levarsi di bocca pure il bavaglio della pietà, per trasformare l’informazione in un panopticon e quindi la società in un carcere ideale e i giornalisti in secondini della «gente che vuole sapere». Quel che è certo è che questo bipopulismo informativo è lo specchio più fedele di quello politico e della sua unità di mezzi, che è sempre più importante di qualunque differenza di fini e che dà l’esatta misura umana, morale e civile dell’Italia e dei suoi porno poteri politico-mediatici alla deriva.