Anche a dicembre del 2023, secondo l’Istat, è proseguita la crescita dell’occupazione. La chiusura dell’anno conferma il trend di ripresa del mercato del lavoro italiano, con un nuovo record di occupati, arrivati a quota ventitré milioni 754mila. I posti di lavoro in più rispetto al mese precedente sono 14mila, soprattutto uomini e dipendenti a termine. Mentre gli occupati sono calati tra le donne e tra chi ha più di trentacinque anni, con un arresto improvviso nella crescita dei contratti a tempo indeterminato e la crescita di quelli a termine. Scende il tasso di disoccupazione al 7,2 per cento e quello giovanile al 20,1 per cento, ma è un’illusione ottica, visto che in un mese gli inattivi aumentano di 19mila unità, soprattutto nella componente femminile.
Nell’ultimo mese dell’anno, dopo la crescita di novembre, tra le donne si contano cinquemila posti di lavoro in meno, a fronte di un incremento di 19mila unità tra i colleghi uomini. Nella parte femminile del mercato, tornano a crescere anche le inattive che non hanno un’occupazione e non la cercano, in aumento di 32mila unità in un mese.
Il dato positivo è che di fatto, a fine anno, l’occupazione è cresciuta praticamente solo tra gli under 35, dopo il calo di novembre. A fine anno, si registrano cinquantunomila occupati in più tra i quindici e i ventiquattro anni e trentottomila in più tra i venticinque e i trentaquattro anni. Parliamo di quasi 90mila posti di lavoro aggiuntivi tra i ragazzi italiani. Sicuramente è anche per questo che a dicembre sono crollati i contratti a tempo indeterminato, con un calo di trentatremila unità, mentre crescono quelli a termine (+21mila) e gli autonomi (+ventiseimila). Gli over 35 invece perdono in tutto settantacinquemila occupati, venticinquemila in meno tra i trentacinque e i quarantanove anni e cinquantamila in meno tra gli over 50.
Al netto della componente demografica, a fine anno i giovani under 35 tornano a guidare la crescita del mercato del lavoro con un più 4 per cento, tenendo a distanza i lavoratori più senior.
Sui dodici mesi, invece, i dati sono positivi per tutti. Ma con delle differenze notevoli. Gli occupati, a dicembre 2023, sono 456mila in più rispetto a dicembre 2022. I disoccupati sono 171mila in meno, gli inattivi calano di 310mila unità.
Ma se tra gli uomini gli occupati in più sono 283mila, tra le donne la crescita è di 172mila unità. Con l’occupazione femminile che, seppur alta, a fine anno resta a quota 52,8 per cento. Vale a dire che quasi una donna su due in Italia continua a non lavorare. E anche se il tasso di occupazione totale in chiusura d’anno, al 61,9 per cento, è il più alto da quando esistono le serie storiche, parliamo sempre di una delle percentuali più basse d’Europa.
Come il mese precedente, restano i dubbi sul contrasto tra il mercato del lavoro che cresce, mentre l’economia rallenta e i salari non crescono. La stima preliminare del Pil del quarto trimestre ha riportato una crescita dello 0,2 per cento sui tre mesi precedenti e dello 0,5 per cento sull’anno. Mentre si contano centoquattordici contratti collettivi di lavoro scaduti, pari al sessantuno per cento del totale: sono in attesa di rinnovo oltre 7,6 milioni di dipendenti del settore privato su 13,2 milioni totali.
C’è chi sostiene che i dati del Pil siano sottostimati, perché il numero di occupati non può crescere del due per cento in un anno se il Pil è quasi piatto. In realtà, come ha spiegato Tito Boeri, gli andamenti dell’occupazione seguono sempre con un certo ritardo quelli dell’economia. La crescita dell’occupazione nel 2023, quindi, seguirebbe con un anno di distanza la crescita del Pil di quasi il quattro per cento nel 2022.
L’aspetto sorprendente nei dati sull’occupazione del 2023 è la crescita dei contratti a tempo indeterminato, cresciuti di 418mila unità in un anno, mentre gli autonomi sono aumentati di 42mila unità e i dipendenti a termine sono invece diminuiti di cinquemila unità. Normalmente, in fasi di ripresa dalle crisi, come è accaduto dopo il Covid, le imprese assumono soprattutto con contratti a tempo determinato per difendersi dai costi elevati in caso di possibili riduzioni future degli organici.
Una spiegazione verosimile, dice Boeri, è legata alla demografia. Le coorti in ingresso nel mercato del lavoro, quelle più giovani, si assottigliano anno dopo anno. Le imprese che vogliono assumere tendono a sottoscrivere contratti a tempo indeterminato per tenersi stretti i lavoratori. In più, dovendo concentrarsi maggiormente su lavoratori con più di trentacinque anni, i più senior certamente sono meno disposti a farsi assumere con contratti a termine.