All’inizio del 2023 il primo ministro britannico Rishi Sunak aveva delineato cinque promesse politiche, chiedendo ai cittadini di fidarsi di lui perché avrebbe «got the job done», portato a termine il lavoro. Dopo un anno di risultati se ne vedono pochi. All’inizio del 2024 il leader del Partito d’opposizione laburista Keir Starmer ha fatto la sua promessa agli elettori, presentando il suo “Project Hope”, inaugurando di fatto la lunga campagna elettorale: «Riprendiamoci il futuro della Gran Bretagna. L’opportunità di dare forma al futuro del nostro Paese è nelle tue mani». Le elezioni legislative avranno luogo nella seconda metà dell’anno, con la marcata possibilità che il Partito laburista torni al governo. Secondo gli ultimi sondaggi, il quarantasei per cento dei britannici voterà per il Labour, rispetto al ventidue per cento per i Tory.
Per Sunak, ottenere un quinto mandato dopo quattordici anni al potere sarà un compito arduo, ha affermato il quotidiano The Independent; specificando che pochi si aspettano effettivamente che i conservatori escano vittoriosi da queste elezioni. L’attuale inquilino di Downing Street è gravato della «difficile eredità» dei suoi predecessori, e anche dagli errori che ha lui stesso commesso, in particolare scommettendo così tanto capitale politico sulla sua irrealistica promessa di «fermare le traversate illegali della Manica» e il tempo a disposizione per ottenere progressi significativi su questo tema è ormai esaurito.
L’approccio dei conservatori alla migrazione, regolare e irregolare, non funziona, né come policy né come politica. In termini elettorali, infatti, la retorica sulla migrazione invasiva aliena molti dei sostenitori Tory più moderati, e al tempo stesso il fallimento nell’obiettivo di fermare l’immigrazione illegale lascia i sostenitori più di destra con l’amaro in bocca, traditi e frustrati.
E se Sunak ha scommesso tutto sulla riduzione dei migranti clandestini grazie alla sua politica di deportazione dei migranti illegali in Ruanda, un elemento centrale della posizione del governo sull’immigrazione, Starmer ha al contrario affermato che non fisserà un «obiettivo arbitrario» sul taglio della migrazione netta e ha promesso di eliminare la legge sul Ruanda.
Quella della migrazione, storicamente, è una questione delicata per il Partito laburista, che per cercare di accontentare tutti ha deciso di concentrarsi sulla sicurezza delle frontiere. La ministra dell’Interno ombra, Yvette Cooper, ha infatti annunciato che qualora il partito dovesse vincere le prossime elezioni, verrà stanziata una nuova unità transfrontaliera composta da centinaia di agenti di polizia per dare la caccia ai trafficanti. Il Labour ha menzionato anche una cooperazione con l’Unione europea su un accordo sui rimpatri, in base al quale il Regno Unito accetterebbe una quota di richiedenti asilo che arrivano nell’Ue, in cambio della possibilità di rimpatriare le persone che attraversano clandestinamente il Canale della Manica.
Sebbene non sia progressista come alcuni all’interno del partito speravano, quello di Starmer è un approccio elettorale sicuro; che tiene conto dello sfumato atteggiamento del pubblico sull’immigrazione e della bassissima fiducia dei cittadini nei conservatori.
Il piano laburista di lavorare con l’Europa non sembra essere un grosso rischio. Secondo i sondaggi, infatti, il tema della Brexit e dei rapporti con il resto del continente sono meno controversi rispetto alle ultime elezioni. Starmer ha più volte dichiarato che, se il suo partito dovesse tornare a Downing Street, non «vuole divergere» dall’Unione Europea. In alcuni commenti sulla relazione post-Brexit del Regno Unito con l’Ue, Starmer ha infatti affermato che la maggior parte del «conflitto» tra Londra e Bruxelles deriva dal fatto che il Regno Unito ha cercato di «fare cose diverse rispetto al resto dei nostri partner europei». Parlando della necessità di un «terreno comune» tra le due parti, Starmer ha dichiarato: «Ovviamente più condividiamo valori, più condividiamo un futuro insieme, minore è il conflitto».
Come leader laborista, Starmer – che in passato aveva indetto una campagna per un secondo referendum sulla Brexit – ha fatto di tutto per prendere le distanze dalle parti più pro-Remain del suo partito. Al contrario delle accuse a lui mosse dai conservatori, Starmer ha ripetutamente sottolineato di accettare la Brexit e ha escluso di voler invertire l’esito del referendum del 2016. Ma in una recente intervista con il quotidiano Financial Times, il leader laburista si è impegnato a perseguire una significativa riscrittura dell’accordo commerciale e di cooperazione (Tca) tra Regno Unito e Ue qualora il partito vinca le elezioni, sostenendo che i conservatori non sono riusciti a sfruttare al massimo l’uscita dal blocco.
Scagliando una freccia a favore di Sunak, è giusto enfatizzare come i rapporti post-Brexit tra Uk e Ue siano migliorati solo nell’ultimo anno grazie all’operato del primo ministro. Oltre all’accordo di Windsor, siglato dal premier Sunak e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a fine febbraio per risolvere la questione dell’Irlanda del Nord, il Regno Unito ha anche firmato un memorandum d’intesa con Bruxelles sulla cooperazione normativa nei servizi finanziari, e più recentemente ha aderito ai programmi di ricerca scientifica Horizon e Copernicus da novantasei miliardi di euro dell’Ue. Tutti risultati importanti per Sunak, che però, a differenza di Starmer, ha escluso l’idea di rinegoziare l’accordo commerciale post-Brexit.
Entrando nella politica estera più nel dettaglio, l’approccio dei conservatori e dei laboristi risulta essere abbastanza simile. Sullo sviluppo internazionale, sull’alleanza transatlantica, sulla minaccia cinese e in particolare sul continuo sostegno all’Ucraina, le differenze tra i due partiti sono questioni di tono o di grado, non di approccio.
Il continuo sostegno a Kyjiv per affrontare la sua guerra contro la Russia è infatti una questione sulla quale esiste un marcato consenso sia politico che pubblico nel Regno Unito. Eventuali futuri cambiamenti nella politica estera di Londra emergeranno probabilmente non dalle elezioni nazionali ma da quelle internazionali – in particolare in Europa e negli Stati Uniti.
C’è qui da fare un’ultima riflessione. Dopo anni di lotte intestine sulla Brexit, gli scandali durante la pandemia di Covid-19 e il cambio di quattro ben quattro primi ministri in sei anni, gli elettori britannici sono diventati sempre più disamorati nei confronti della politica del loro paese. Si tratta di un problema di cui Starmer e il suo team sono ben consapevoli, e che temono possa ostacolare i loro tentativi di ottenere una maggioranza dominante contro Sunak. D’altronde, il Labour ha un certo talento nel perdere le elezioni. Nel corso dell’ultimo secolo, è rimasto in carica solo trentatré anni, mettendo a capo del Paese solo sei primi ministri. I conservatori, in confronto, sono stati in carica per sessantasette anni e hanno prodotto ben quattordici premier. Vada come vada, quello che sappiamo per certo è che il Regno Unito è pronto per una lunga battaglia elettorale in vista del voto in autunno.