Ho seguito con grande interesse la presentazione, nella mia città, del libro di Christian Rocca ’’L’Ucraina siamo noi’’. Le analisi sono state suffragate da ricostruzioni storiche e da testimonianze dirette di persone che hanno assistito fin dalle prime avvisaglie al conflitto e che hanno visto da vicino le sofferenze inflitte a quel popolo dall’aggressore russo, mettendo ben in evidenza quanto sia cruciale per l’Europa e per tutto il mondo libero la resistenza dell’Ucraina fino – come dicono quei valorosi – alla vittoria. Seguendo quegli interventi non riuscivo a distogliere il pensiero da quanto sta avvenendo – sotto i nostri occhi – nella Striscia di Gaza e a capacitarmi del diffuso, sorprendente, sostegno acritico alla comunità palestinese a fronte della crescente «indifferenza» (la parola che Liliana Segre ha voluto che fosse scritta a fianco del binario della Stazione di Milano da cui partivano i convogli per i campi di sterminio) che l’opinione pubblica riserva alla tragedia ucraina. È sgradevole e prestarsi a certi paragoni perché i morti, i feriti, i profughi sono sempre uguali. Soprattutto se si tratta di civili. Ma il contesto che si è determinato dal 7 ottobre ai nostri giorni è sconvolgente: si direbbe che i palestinesi siano (direbbe George Orwell) «più civili» degli altri; la sola popolazione civile per cui il mondo deve mobilitarsi; le sole sofferenze per cui indignarsi.
L’opinione pubblica internazionale (compresa quella di casa nostra) ha seguito da spettatrice disattenta e disinteressata lo sterminio di Hassad contro il suo popolo. Rocca nell’incontro ha ricordato il massacro – anche con l’uso dei gas – di cinquecentomila siriani, per non parlare delle centinaia di migliaia di persone che sono dovute fuggire per avere scampo. In Afghanistan le donne in pochi anni hanno perduto quei diritti e quelle posizioni nella società e nel lavoro che avevano saputo conquistarsi durante i vent’anni di occupazione (a dimostrazione che la democrazia si può anche esportare).
In Italia e altrove non si manifesta in favore della popolazione civile palestinese innocente, ma a sostegno della piattaforma di Hamas. Quando si contestualizzano i massacri del 7 ottobre; quando si grida «Palestina libera dal fiume al mare», quando si accusa Israele di genocidio paragonando l’azione militare nella Striscia di Gaza alla Shoah; quando la caccia all’uomo si rivolge direttamente agli ebrei in quanto tali senza darsi nemmeno la briga, come è accaduto per decenni, di prendersela pretestuosamente con Israele e il sionismo; quando si falsifica la ricostruzione della storia di quel travagliato pezzo di terra e dei popoli che lo abitano, si compie più o meno consapevolmente la medesima narrazione di Putin con riguardo all’aggressione dell’Ucraina. Non a caso, quei personaggi esibiti nei talk show a tessere le lodi allo zar russo, oggi sono quasi tutti schierati con Hamas.
Circola su di un social un post di Alessandro Orsini che pretende di raccontare agli italiani la verità. I responsabili della Shoah – sostiene non a torto – sono gli europei e in particolare i tedeschi, mentre gli arabi non erano coinvolti nei campi di sterminio. Mi sembra evidente la malafede: i tedeschi sono i primi a farsi carico dell’Olocausto in un contesto caratterizzato da secoli di persecuzione degli ebrei; ma è adesso che gli arabi/palestinesi egemonizzati da Hamas intendono arrivare a un’altra soluzione finale degli ebrei.
Se esiste una minaccia di genocidio non riguarda i palestinesi, ma il popolo che ha trovato nello Stato ebraico, – sorto da una risoluzione dell’Onu, l’organismo internazionale che da decenni dedica gran parte del suo tempo a condannare Israele – una terra in cui vivere e prosperare in sicurezza. È difficile rendersi conto del fanatismo con cui gran parte dell’opinione pubblica occidentale sostiene la causa razzista di Hamas, al punto che non solo i putiniani di casa nostra sono diventati filo palestinesi acritici, ma l’antisemitismo tiene insieme l’estremismo di destra e quello di sinistra, alla stregua della comprensione bipartisan per le azioni imperialistiche dello zar del Cremlino.
Zelenzky è considerato un ex ballerino rompiscatole, fuori dalla realtà, quando pretende di ripristinare i confini che furono riconosciuti all’Ucraina dalle grandi potenze, Russia inclusa, nel Memorandum di Budapest del 1994. Israele viene accusato di colonialismo perché occupa per motivi di sicurezza, dopo aver vinto ben due guerra di difesa, territori palestinesi ma è, pronto a cederli – come è avvenuto nel corso delle mediazioni internazionali rifiutate dalle Autorità palestinesi – in cambio della pace. Ma questi episodi non si ricordano.
Quelli che rimproverano l’Ucraina di porre condizioni umilianti per Putin sono gli stessi che fanno propria fino in fondo l’intransigenza di Hamas. Chi si è sforzato di contestualizzare l’aggressione rossa come risposta alla Nato che abbaiava ai suoi confini; chi vuole sospendere le forniture di armi all’Ucraina ha finto di non accorgersi che il fiume di risorse provenienti da tutto il mondo per l’assistenza dei Palestinesi, serviva per comperare armi e costruire una città sotterranea.
Si fa presto a parlare di civili innocenti, come se gli abitanti di Gaza non si fossero mai resi conto che Hamas era impegnato nei grandi lavori (altro che Ponte sullo Stretto!) che ci hanno mostrato nelle riprese televisive. Quando a Bucha emersero le prove dei crimini compiuti dai russi ai danni della popolazione civile, ci fu da noi un ex inviato di guerra che – ospite di quasi tutti i talk show – cercò di dimostrare che quelle scene tragiche erano una montatura frutto (come aggiunse un altro sepolcro imbiancato) dell’industria cinematografica hollywoodiana; che è poi la stessa accusa che Hamas rivolge agli israeliani per i massacri dei kibbutz, dimenticando di aver pubblicato e diffuso le immagini dei loro crimini.
Le istituzioni occidentali, pur difendendo Israele dagli attacchi delle coalizioni dei paesi arabi, ha sempre avuto un occhio di riguardo per i palestinesi sulla linea dei due popoli, due Stati e sotto la protezione dell’Onu e delle sue agenzie (abbiamo scoperto in questi giorni che la Unwar ha dodicimila dipendenti impiegati nella Striscia di Gaza). La questione dei palestinesi poteva costituire, infatti, il pretesto per ulteriori scenari di guerra allargata in quella delicata parte del mondo. Oggi però sembra evidente che i primi a non volerne sapere dei palestinesi sono proprio gli Stati arabi che stanno a guardare perché sono interessati a normalizzare i rapporti con Israele.
Del resto, negli anni Settanta la Legione araba di re Hussein li cacciò a cannonate dalla Giordania; poi fu la volta del Libano. Hamas è oggi uno strumento dell’Iran, al pari di Hezbollah e degli Houti , a cui da noi si guarda con simpatia come se fossero emuli di Sir Francis Drake, nonostante i danni che con le loro azioni di pirateria provocano al commercio internazionale. Quanto ai civili innocenti si potrebbe adottare la dottrina Putin per quelli ucraini. Per farsene un’idea basta leggere il libro di Rocca, volendo approfondire è consigliabile la consultazione di un breve saggio di un eminente storico slavista francese, Nicolas Werth (Putin historien en chef) che è un’antologia di testi, scritti e discorsi di Vladimir Putin.
Non funziona, secondo lo zar, il criterio secondo cui «il popolo è buono, il governo è cattivo». Anzi, per lui, la denazificazione: «È un insieme di misure nei confronti della massa nazificata della popolazione, che tecnicamente non può essere punita direttamente come criminale di guerra. I nazisti che hanno preso le armi devono essere distrutti il più possibile sul campo di battaglia (…) I criminali di guerra e i nazisti attivi devono essere puniti in modo sommario ed esemplare. È necessario procedere a una liquidazione totale. Tutte le organizzazioni che si sono legate alla pratica del nazismo devono essere eliminate e messe al bando. Tuttavia, oltre ai vertici, è colpevole anche una parte significativa della massa di persone che sono nazisti passivi, collaboratori del nazismo. Hanno sostenuto e assecondato il governo nazista (…). L’ulteriore denazificazione di questa massa di popolazione consiste nella rieducazione, che si ottiene attraverso la repressione ideologica (soppressione) degli atteggiamenti nazisti e una dura censura: non solo nella sfera politica, ma necessariamente anche in quella della cultura e dell’istruzione».