L’anno scorso il deficit di bilancio della Russia si è ampliato più del previsto, poiché le entrate del petrolio e del gas sono diminuite di quasi un quarto mentre il Cremlino continuava ad aumentare le spese militari della guerra d’aggressione contro l’Ucraina. Gli ultimi dati del ministero delle Finanze russo mostrano che il gap fiscale ha superato i tremila miliardi di rubli, una cifra pari a trentasei miliardi di dollari, ovvero l’1,9 per cento del Pil. Si tratta di trecento miliardi di rubli in più, sia rispetto all’obiettivo di bilancio fissato per l’intero 2023 che alla stima per fine dicembre annunciata in precedenza dal ministro delle Finanze Anton Siluanov.
La spesa ha superato dell’undici per cento le proiezioni, mentre le entrate fiscali dalle esportazioni di petrolio e gas – che rappresentano quasi un terzo delle entrate della Russia – sono crollate del ventiquattro per cento rispetto al 2022. Ciò è dovuto al calo del prezzo dei barili di greggio degli Urali in un contesto globale di calo del mercato, e ai primi effetti della stretta degli Stati Uniti sui controlli dell’applicazione del price cap, ora affiancati all’introduzione delle prime sanzioni secondarie sulle società dei paesi terzi. Inoltre, ad accentuare il calo delle entrate nette è il crollo delle esportazioni russe dai gasdotti, e i generosi sussidi statali concessi all’industria petrolifera nazionale.
La rilevazione della riduzione degli incassi da petrolio e gas e l’aggravarsi del deficit arriva all’inizio di un anno in cui Mosca ha pianificato un aumento di quasi il settanta per cento delle spese militari, che ormai rappresentano l’unico fattore di crescita della Russia, con effetti fortemente distorsivi nella percezione dei dati e della realtà economica dopo l’invasione dell’Ucraina. Mosca infatti ha sfidato le previsioni iniziali sul crollo a due cifre della sua economia colpita da un’ondata senza precedenti di sanzioni occidentali. Nel 2022 il Pil si è limitato a una contrazione del 2,1 per cento, seguita da un ritorno alla crescita nel 2023 con un dato finale che dovrebbe raggiungere il 3,5 per cento. Dietro questi dati oggettivamente positivi però c’è una spesa pubblica fuori controllo, un’inflazione elevata e forti distorsioni e nella produzione industriale e nell’occupazione.
Secondo Alexandra Prokopenko, economista ex consigliere della Banca centrale russa che ha lasciato l’incarico e la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, la combinazione di spesa militare, carenza di manodopera e aumento dei salari e dei sussidi ha creato un’illusione di benessere che non durerà. «Piuttosto che segnalare la salute dell’economia, la crescita russa è sintomatica di un surriscaldamento» scrive Prokopenko in un’analisi per la rivista Foreign Affairs, sottolineando che nel lungo periodo le spese militari di Mosca potrebbero destabilizzare la sua economia.
Valutazioni simili a quelle di Konstantin Sonin, economista russo che insegna nell’Università di Chicago negli Stati Uniti. In un articolo per la Novaya Gazeta – quotidiano russo che dal 2022 ha sospeso le pubblicazioni in Russia e lanciato un’edizione europea dalla Lituania – Sonin spiega che l’economia russa si sta adattando alle priorità militari del Cremlino, e che la crescita del Pil russo è quasi una finzione statistica.
«Più vengono pagati stipendi nel complesso militare-industriale, più le persone vengono occupate. Più lo Stato domanda equipaggiamenti, armamenti e tecnologie militari, più cresceranno le imprese e le infrastrutture legate al settore. Tutto questo però sottrae capitale e manodopera alle altre attività produttive», sostiene Sonin, affermando che la guerra sta cambiando la struttura dell’industria russa facendo prevalere la produzione militare su quella civile, surriscaldando l’economia.
Una crescita del Pil legata a un settore che non trasmette a sufficienza capitali e produzioni nell’economia civile significa che i russi per consumare devono continuare a importare beni dall’estero (principalmente dalla Cina), ma con una valuta estremamente debole, perpetuando il circolo vizioso che ha portato il rublo a oscillare fra cinquanta e cento rubli per dollaro in soli due anni.
Pertanto, nel 2024 la crescita potrebbe fermarsi, ma non l’inflazione, che invece continuerà a salire. Nell’ultimo report la Banca centrale russa ha corretto al rialzo le previsioni per l’inflazione del 2024 portandole al 14,2 per cento (il livello più alto dall’invasione dell’Ucraina). Il dato ufficiale attualmente è del 7,5 per cento su base annuale, ma su molti beni di prima necessità è superiore. In base ai dati della Banca centrale, da gennaio 2023 i prezzi delle uova sono aumentati del quarantatré per cento, quelli di frutta e verdura del ventidue per cento, i biglietti dei trasporti pubblici del diciassette per cento, la carne dell’undici per cento. L’inflazione percepita è al diciassette per cento.
Il basso rapporto debito/Pil (sotto il venti per cento) e la disponibilità di yuan e di riserve auree permettono a Mosca di non di non temere l’aumento del debito interno, né di preoccuparsi come finanziare il debito estero. Ma nel medio-lungo periodo la Russia rischia di trovarsi in una situazione simile a quella iraniana, con un regime politico arcaico e intriso di belligeranza verso l’esterno che mantiene intatto il suo potere, sullo sfondo di una forte repressione interna, e una decennale stagnazione economica.