Eccezionalità perpetuaSinner è entrato nell’Olimpo del tennis con una vittoria storica

Primo italiano di sempre a vincere gli Australian Open, il terzo tra gli uomini a trionfare in un torneo dello Slam dopo Pietrangeli e Panatta. È già un risultato incredibile, ma lui si candida a molti altri successi: il futuro è suo

AP/Lapresse

Un servizio potente e profondo a uscire, un top spin in arretramento, un rovescio a incrociare e uno lungolinea per costringere l’avversario all’ultimo tergicristallo della partita. Con i piedi a posto, la torsione giusta e il braccio libero di andare, il diritto vincente finisce all’incrocio delle righe. Jannik Sinner può lasciarsi cadere sull’acrilico duro della Rod Laver Arena, ha vinto il suo primo Slam in Australia quasi a mezzanotte, mentre per tutta Italia è l’ora di pranzo di domenica. Un italiano torna a vincere uno dei quattro tornei più importanti del tennis quarantotto anni dopo il Roland Garros di Adriano Panatta.

Sinner si è preso una finale che racchiude tutte le realtà possibili offerte da una partita di tennis, il coronamento perfetto di un percorso di crescita verticale, per certi versi atteso – vista la storia da predestinato del ragazzo nato a San Candido nel 2001 –, ma anche imprevedibile, per i miglioramenti inesorabili del suo tennis anno dopo anno, con la costanza robotica di un software che tra un torneo e l’altro fa un aggiornamento e aggiunge nuove feature, nuove capacità, nuove possibilità ogni volta.

È stata una finale lunghissima, tre ore e quarantaquattro minuti scomponibili in due o tre o forse più partite diverse. Che è anche il bello del tennis su cinque set. Dove anche uno svantaggio apparentemente irrecuperabile si può ribaltare e non c’è inerzia che non si possa spezzare.

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Secondo game del secondo set. Sinner trova finalmente continuità con la prima di servizio dopo un inizio traballante. Va avanti 30-0. Poi concede tre punti a Medvedev in un tempo che è sembrato un battito di ciglia, al massimo due. Sotto 30-40 si gira verso il suo angolo, allarga le braccia, sembra invocare qualcosa di metafisico, disarmato di fronte alla varietà di soluzioni nella racchetta del russo. Il game si allunga, dura sedici punti in tutto, Sinner annulla quattro palle break, scioglie la tensione cercando sempre colpi diversi: scende a rete, usa molto la palla corta, chiama il pubblico dopo ogni bel punto. Si prende il game con un schiaffo di diritto. Potrebbe essere una svolta decisiva per la partita. Solo che nel game successivo Medvedev è impeccabile, tiene il servizio senza concedere un punto, quasi neanche uno scambio.

I primi due set sono stati strazianti, Sinner stritolato dal tennis tentacolare del russo, immobilizzato di fronte alla semplicità con cui il numero tre del mondo può disinnescare ogni attacco su una superficie veloce.

Per quasi due ore non si è visto il Sinner convinto e impeccabile della semifinale con Novak Djokovic, quello che aveva fatto immaginare un ultimo atto già scritto prima ancora di sapere chi sarebbe stato il suo sfidante. Venerdì si era presentato in campo contro il numero uno al mondo con la convinzione di Achille che chiama Ettore fuori le mura di Troia, sapendo di vincere il duello, come se l’avessero mandato gli dei del tennis: sembrava incapace di figurarsi una sconfitta, forse nemmeno un momento di difficoltà. Non aveva concesso una singola palla break al fenomeno serbo, che sarebbe anche il miglior giocatore della storia in risposta.

In finale però ha trovato il solito imprevedibile Medvedev. Come in ritardo per l’appuntamento più importante della sua vita, il russo ha giocato con un grande senso d’urgenza, per non sprecare nemmeno una goccia di energia più dello stretto indispensabile, anche andando contro le sue abitudini. Non ha perso occasione per attaccare, dimostrando una capacità mostruosa di giocare profondo, cercare gli angoli e le righe, padrone delle diagonali, incapace di sbagliare. Per due set ha tolto a Sinner tutte le opzioni possibili.

Era bastato forse troppo poco far scoppiare la bolla di serenità olimpica in cui Sinner aveva vissuto per tutto il torneo. L’italiano aveva vinto gli ultimi tre scontri diretti con Medvedev e aveva perso un solo set nelle due settimane a Melbourne – un tie break con Djokovic che poi non ha nemmeno influito. Un percorso impeccabile, preso in prestito da quelle corse al Roland Garros di Rafael Nadal che ormai sono lontane una decina d’anni e anche di più.

Medvedev invece aveva faticato parecchio. Era stato impreciso in tutte le partite, lasciando intravedere delle crepe insolite nel suo gioco. Compresa la difficile semifinale con Alexanderv Zverev, in cui si era ritrovato a ribaltare un tie break al terzo set, sotto 2-0. Il russo arrivava alla finale con venti ore di partita nelle gambe, contro le quattordici di Sinner. La fatica si è fatta sentire pesante nel finale del terzo set, inducendolo all’errore più di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi in una situazione di netto vantaggio, psicologico e di punteggio. Lentamente il russo è diventato vulnerabile, falloso, sempre diabolico nel trovare punti nella spazzatura della partita, ma incapace di comandare gli scambi con i colpi da fondo.

Ma non tutti i giocatori possono trovare la forza e la motivazione per ribaltare una finale sotto 0-2: pochissimi tra quelli che rischiavano di sprecare un chance così buona, forse nessuno che era lì per giocare la sua prima finale Slam. Solo che Sinner è un giocatore speciale, fa quello che fanno i grandi dello sport, di tutti gli sport: alza il livello quando il livello si alza, quando ce n’è più bisogno.

Tutti i campioni si portano dietro una quantità sconfinata di aneddoti, storie, leggende dai contorni mitopoietici. Quelle di Sinner sembrano tutte terribilmente terrene, come lo sono le vicende della provincia italiana. A sette anni il ragazzino altoatesino con i capelli rossi e un talento sconfinato nello sci aveva scoperto una voglia irrefrenabile di giocare a tennis, una fretta indiavolata di imparare. Non stava mai fermo, né accettava di sbagliare. Finita ogni lezione, riprendeva subito in mano la racchetta: palleggiava contro la parete della camera, cercando l’interruttore. Acceso, spento, on, off, on, off, click, click, click.

Prima di iniziare il quarto set, Sinner era impaziente di entrare in campo. Nella pausa tra i due set fremeva, seduto in ebollizione a due passi dalla rete. Negli ultimi due set Sinner è tornato quel ragazzo lì, colpo su colpo, ha risposto a ogni giocata di Medvedev aumentando il coefficiente di difficoltà, lasciando andare la racchetta nei suoi colpi migliori. Ha ritrovato il servizio e le percentuali che l’hanno accompagnato nell’ultimo anno. È sembrato improvvisamente lucidissimo, ha trovato il modo di giocare molti punti con i piedi dentro al campo. Non è solo tornato all’altezza degli scambi di Medvedev, è stato in grado di controllarli, di decidere quando accelerare, costringendo l’avversario a giocare come non avrebbe voluto, ritrovando una compostezza statuaria in tutti i colpi, risolvendo gli scambi senza dare aria a Medvedev.

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Sul 5-4 del quarto set, sul 30 pari, Sinner ha uno schiaffo al volo comodo per andare sul set point. Sceglie di farla rimbalzare, gli scappa un diritto dalle parti delle tribune e resta fermo qualche secondo a contemplare la pallina che vola via. Sul punto successivo, dopo il servizio di Daniil Medvedev, lo scambio è ancora nelle mani di Sinner: il russo ha la spia della riserva accesa, in difesa arriva con un attimo di ritardo e alza praticamente tutte le palle, stavolta Sinner non perde tempo e gioca lo schiaffo al volo. Vantaggio e set point. La Rod Laver Arena di Melbourne capisce che l’inerzia della partita è cambiata, ora il ragazzo con i capelli rossi e il fisico snodabile comanda la partita e il gioco. Sul servizio a rete di Medvedev il pubblico esulta, sulla seconda Sinner risponde profondo, centrale, nei piedi dell’avversario. Sull’attacco successivo Medvedev arriva ancora in ritardo e manda il diritto fuori di mezzo metro. È quinto set, Sinner ce la sta facendo, adesso è davvero il favorito.

Medvedev non ha mai davvero mollato, perché anche quando è in difficoltà non dà mai la sensazione di lasciarsi scivolare la partita dalle mani. Il primo game del quinto set Sinner lo ha dovuto chiudere con un ace secco al centro. Il terzo, il secondo al servizio, lo ha vinto a zero. Dagli spalti ogni tanto arrivava un grido “campione”.

La vittoria, Jannik Sinner, se l’è presa veramente solo nel sesto game del quinto set, sul servizio di Medvedev, facendo pesare all’avversario tutta la fatica e la tensione. È stato il break decisivo. Da lì gli sono serviti due turni di servizio non facili – ci ha messo dentro anche un doppio fallo – per vincere il primo Slam della sua carriera.

Questo trionfo australiano dice che i risultati brillanti di fine 2023, coronati dalla vittoria in Coppa Davis, non erano casuali, non erano il frutto di uno stato di grazia irripetibile ma l’essenza stessa di un giocatore eccezionale. Uno naturalmente destinato alla vittoria, adesso candidato a vincere tutti i tornei in cui è in tabellone. Compresi gli Slam. È una condizione che appartiene a pochi. Pochissimi in una generazione. Sono i più grandi del tennis. Sinner è già tra questi.

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