A leggere l’ordinanza con cui i pubblici ministeri Luca Tescaroli e Lorenzo Gestri, sostituti Procuratori a Firenze, chiedono il fermo del giovane Dani Moh’d Hakam Taleb, ritenuto responsabile del lancio di bottiglie incendiarie contro il Consolato americano di Firenze, si ha l’impressione di assistere in poche pagine alla descrizione esatta di una nuova modalità di radicalizzazione, su cui da tempo le intelligence europee sono in allarme.
Il ventenne, nato a Firenze da padre giordano e madre che vive in Palestina, ha preparato con meticolosa ingenuità il primo attentato dimostrativo avvenuto sul territorio italiano contro obiettivi «sionisti» dopo il pogrom del 7 ottobre scorso. Dalla ricostruzione degli inquirenti avrebbe alloggiato la sera prima al bed and breakfast “Il Consolato” proprio a cento metri dal luogo dell’attentato, si sarebbe registrato regolarmente fornendo i propri documenti e avrebbe utilizzato la connessione wi-fi per rilanciare i video e i messaggi di rivendicazione.
In casa sua sono stati trovati indumenti e suppellettili sporchi di benzina e sempre dalla connessione domestica avrebbe inviato messaggi nel suo gruppo su Telegram “The Whole World is Hamas”. Un gruppo con pochi iscritti (venticinque) e con messaggi che gli inquirenti definiscono «contraddittori». Il 2 febbraio, Hakam, dopo aver rivendicato con un video il lancio di molotov verso il Consolato americano, scriverà: «Da questo momento in avanti, per ognuna delle prossimi 49 operazioni, pubblicheremo un video dettagliato a riguardo solo dopo l’avvenimento, indicando il motivo dell’operazione qualora l’obiettivo sionista non fosse americano o israeliano» per poi precisare più avanti che «nessuna delle 49 operazioni intitolate simbolicamente “morte ai sionisti” prevede morti o feriti come obiettivo originario. Perciò, qualora ci fossero, non sarà stata una nostra scelta».
Un doppio registro che, se non fosse drammatico, potrebbe far anche ridere, ma che in verità cela qualcosa di più. Secondo gli investigatori, Dani Moh’d Hakam Taleb apparterebbe a una rete strutturata e il suo proclama video è di livello molto avanzato sia per dialettica che per confezionamento. Il suo reclutamento su base volontaria potrebbe essere avvenuto tramite altre piattaforme di messaggistica o canali del dark web, con un addestramento da remoto per alcuni aspetti operativi come il confezionamento di esplosivi.
Una nuova frontiera che allarma gli apparati di sicurezza italiani e internazionali, secondo cui le organizzazioni terroristiche islamiche puntano a una saldatura unitaria tra piazze, web e arruolamento online. Il caso Hakam Taleb, secondo la Procura di Firenze che ha fissato per oggi l’udienza di convalida del fermo, potrebbe essere una spia importante per analizzare il fenomeno che su scala globale presenta degli elementi di interazione significativa.
Sono frequenti i ritrovamenti da parte delle truppe dell’esercito americano dentro Gaza di materiale propagandistico contenente minacce verso l’Occidente, così come raccontato ieri sul profilo dell’Ambasciata israeliana in Italia, che ha pubblicato una manifesto in cui sulla punta della Torre Eiffel compare un minareto e lo slogan «Allah non risparmierà alcuna dimora».
Nel frattempo, come ha raccontato Simone Innocenti sul “Corriere Fiorentino”, il padre del ragazzo, «un signore che vive in Toscana e crede nella pace», si dice «distrutto», visto che non ha mai colto nessuna avvisaglia di radicalizzazione e ipotizza che il figlio «abbia voluto punire sé stesso».
Un frame, quello raccontato dal padre del presunto attentatore, che si ripete nelle cronache giudiziarie di mezza Europa e che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica del rapporto che intercorre tra salute mentale collettiva e radicalizzazione, tra polarizzazione e terrorismo. A questo proposito, il professor Raffaello Pantucci, nel suo podcast su Bbc “Terrorism and the mind”, esplora questo argomento e scandaglia il potenziale legame tra la la malattia mentale e le azioni degli estremisti violenti, un argomento che costringerà anche il nostro Paese a fare i conti su quanto un dibattito sempre più esacerbato rischi di fomentare un esercito senza capi.