Dibattito apertoBarolo e Barbaresco, come cambia il disciplinare

C’è fermento nell’area di produzione delle due denominazioni d’origine, con al centro della diatriba proposte che riguardano ad esempio le zone di imbottigliamento e di vinificazione

Foto di Sebastian su Unsplash

I disciplinari di Barolo e Barbaresco potrebbero cambiare profondamente. Alla vigilia di Grandi Langhe, l’evento promozionale svolto a Torino il 29 e 30 gennaio scorsi, il Consorzio di tutela ha diffuso una lista di ipotesi di modifica approvate dal Cda con l’obiettivo di avviare una consultazione tra i produttori, titolari della decisione finale.

Le modifiche proposte dal Consorzio
Al centro del menu di proposte c’è il divieto di imbottigliare Barolo e Barbaresco fuori dalla zona di produzione. Ancora oggi accade infatti che partite abbondanti di Nebbiolo sfuso vengano acquistate da importatori stranieri per essere imbottigliati come denominazione in Svizzera o in America. «Negli Stati Uniti funzionano tre livelli di commercializzazione: l’importatore nazionale vende a un distributore nazionale che vende al ristoratore. Se vendi il vino sfuso e lo imbottigli in America salti i tre livelli e crei una concorrenza sleale. C’è il rischio che i grandi gruppi possano lanciarsi su questo business quindi bisogna approvare il divieto al più presto».

A parlare è Matteo Ascheri, presidente del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. Che chiarisce: «Per approvare questo passaggio abbiamo due paletti: la zona di imbottigliamento deve coincidere con la zona di vinificazione, mentre sopravvivono i diritti acquisiti di chi dimostra di aver imbottigliato nei cinque anni precedenti per almeno due anni». Per il Consorzio «questa è l’unica misura caldeggiata, con connotati di urgenza e necessità». Il motivo è semplice. I tempi tecnici per l’approvazione potrebbero richiedere due-tre anni con il rischio di consolidare il fenomeno. «Ma così chi può ne approfitta», avverte Ascheri.

L’altra modifica in discussione è la cosiddetta “interscambiabilità” e “reciprocità” tra le zone di Barolo e Barbaresco per la vinificazione e l’imbottigliamento. In caso di approvazione, i produttori potrebbero vinificare e imbottigliare il Barolo nell’area di produzione del Barbaresco e viceversa. Resterebbero esclusi i territori siti nella parte sinistra del fiume Tanaro, così come rimarrebbe invariata per le due denominazioni la zona di produzione delle uve. «Barolo e Barbaresco sono indipendenti e nel momento in cui si limita la zona di imbottigliamento ci sembrava utile stabilire una reciprocità: è un modo per favorire i produttori e sollevarli dalla necessità di costruire una cantina apposta per rientrare nella denominazione», spiega Ascheri. Ma la proposta sta raccogliendo molte resistenze.

Allo stesso modo, ci sono resistenze anche all’ipotesi di eliminare il tradizionale divieto di impiantare vigneti di Nebbiolo atti a Barolo o Barbaresco nei versanti collinari esposti a nord. La ratio della modifica è lo stravolgimento climatico che costringe ad allevare le viti in condizioni compatibili con l’aumento del caldo e la diminuzione delle piogge. In proposito, il Consorzio precisa che la superficie vitata di Barolo e Barbaresco attualmente contingentata resterebbe la stessa, fornendo solamente «una possibilità agronomica in più per i produttori». In più, osserva Ascheri, «i vigneti esposti a nord permettono maggiore sostenibilità, perché non c’è bisogno di ricorrere all’irrigazione di soccorso che potrebbe rendersi necessaria con l’aumento della siccità».

Infine, sembra più facile l’approvazione delle proposte rimanenti: l’aggiunta delle menzioni comunali per la denominazione Barbaresco che, a differenza del Barolo, non le prevede, e l’utilizzo di grandi formati superiori ai sei litri per scopi promozionali.

La voce dei produttori
Assolutamente a favore del divieto di imbottigliamento fuori zona – «Snaturano l’autenticità delle denominazioni» – si dichiara Martina Culasso, ultima generazione della cantina Piercarlo Culasso con sede a Barbaresco. «Per un’azienda come la nostra la possibilità di imbottigliare Barolo può essere una buona idea: la zona del Barolo può solo fare bene al Barbaresco». Quanto all’uso dei vigneti al nord c’è ancora da riflettere: «Non sappiamo come sarà tra cinque o dieci anni e dovremmo evitare il rischio della monocoltura», dice Martina che dà fiducia al Consorzio: «È valido e prenderà la decisione giusta».

Netta la chiusura da parte di Luciana e Massimiliano Passone, piccoli viticoltori nel paese di Novello: «Non siamo d’accordo, sono cicli meteo che passano, se da sempre c’è un divieto a fare Barolo nei vigneti a nord un buon motivo c’è».

Quello sul nord è un vecchio dibattito, assicura Nicola Argamante, agronomo e titolare di Podere Ruggeri Corsini a Monforte d’Alba: «Sono stato consigliere del consorzio e se ne parla da vent’anni”. Dice Nicola: «In futuro ci sarà sempre più caldo e un’apertura al nord la farei: non sempre c’è qualità a sudovest, basterebbe diminuire un po’ l’angolo di “non piantabilità” a nord». Sulla reciprocità tra Barolo e Barbaresco la posizione è dubbiosa: «Può essere un aiuto perché eviterebbe le spese mostruose necessarie per costruire una cantina nella zona, ma solo a condizione di intensificare i controlli per evitare comportamenti disonesti».

Sul tema del divieto di imbottigliamento ritorna Mauro Sebaste, fondatore della cantina omonima con sede a Gallo: «Noi stessi avevamo un importatore a Zurigo, ma non gli abbiamo mai venduto Barolo. Sono d’accordo sul divieto, è la scelta più corretta: se fossi un consumatore non comprerei un Barolo imbottigliato fuori zona». E sulla reciprocità tra le denominazioni principali? «Sono d’accordo anche se non faccio Barbaresco, siamo contigui e il divieto qui mi pare anacronistico».

C’è però qualche azienda del Barbaresco, territorio più limitato con una maggiore incidenza di piccole aziende familiari, che teme l’assalto dei “barolisti”. «Dieci anni fa ho investito nell’astigiano e in fondo gli abbiamo tirato la volata, perché il territorio era in ritardo: dal 2015 i terreni hanno quadruplicato il valore», risponde Sebaste. Che resta più conservatore sull’estensione dei vigneti a nord: «Qui resterei sul tradizionale divieto, è vero che c’è il cambiamento climatico, ma abbiamo comunque buone esposizioni e sarebbe eccessivo allargare. Vediamo che succede tra dieci anni».

Un “nì” sulla “questione nord” arriva da Federica Boffa, titolare dell’azienda Serio & Battista Borgogno con sede nel comune di Barolo: «Se sono terreni già vitati a Nebbiolo ha senso dare l’ok, perché in determinate annate può aiutare, ma se si andasse verso il disboscamento sarei assolutamente contraria: siamo sostenitori dei boschi, noi stessi li abbiamo e non abbiamo intenzione di spiantarli per creare nuovi vigneti».

Sulla “interscambiabilità” tra Barolo e Barbaresco c’è invece una grande apertura. «In questo modo – chiarisce Federica – sarebbe garantita più sostenibilità: oggi chi vuole produrre nell’altra denominazione è obbligato a costruire una nuova cantina e a comprare nuovi macchinari, con la conseguenza di raddoppiare gli investimenti». Uno spreco, in effetti. E poi, continua, «Barolo e Barbaresco sono fratelli: sarebbe bene fare squadra piuttosto che impedire a uno di produrre l’altro». Quanto all’imbottigliamento in America o in Svizzera: «Mi vengono i brividi solo a pensarlo».

Sulla stessa linea Giuseppe Blengini, architetto e produttore di Alta Langa a Vicoforte Mondovì con l’azienda Monsignore: «A dir la verità quando sono arrivato pensavo che il disciplinare prevedesse già il divieto di imbottigliamento fuori zona, anche perché oggi il mercato chiede prodotti di altissima qualità identificati con il loro territorio di provenienza». Perplessità, invece, sulle altre proposte. «L’interscambiabilità tra Barolo e Barbaresco mi pare un po’ tirata per i capelli: servono informazioni semplici e attendibili, dobbiamo evitare furbizie», dice Blengini.

E sui vigneti esposti a nord avverte: «Il cambio del clima c’è ma non abbiamo ancora dati sufficienti per capire come reagire, prima di cambiare servirebbero studi sensati». Inoltre, aggiunge, «il nostro cliente cerca la Langa fatta non solo di vigne ma anche di campagne e di allevamento, oggi le zone di Barolo e Barbaresco, tutte vitate, non sono più come quelle dei tempi di Beppe Fenoglio». Infine avverte: «Aspettiamo di capire se la qualità è all’altezza, altrimenti con l’estensione a nord rischiamo un autogol clamoroso».

Conclude la panoramica Cesare Barbero, general manager di Pertinace, cantina cooperativa con sede a Treiso. «Nel momento in cui si limita giustamente la zona di imbottigliamento a quella di vinificazione non vedo come un problema la reciprocità tra Barolo e Barbaresco», afferma Barbero. Il motivo è semplice: «Nel mercato bisogna pensare anche ai momenti di difficoltà e per un produttore di uve del Barbaresco, per esempio, poter vendere il raccolto non solo nei tre comuni della denominazione ma anche negli undici del Barolo significa aprire il mercato. Quindi credo che sia una modifica utile per aiutare il territorio».

Barbero è favorevole anche all’estensione di Barolo e Barbaresco nei vigneti a nord: «Vista la siccità delle ultime annate la vedo come una esigenza tecnica di produzione; inoltre non sempre nelle attuali esposizioni si trovano le uve migliori». Poi ricorda: «In passato imprenditori anche blasonati si sono spostati in Alta Langa dove un tempo c’erano le piste da sci: non fu uno scandalo allora, non lo sarebbe adesso». Insomma, nelle Langhe il dibattito è aperto.

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