Ragazzo di vitaLe fotografie che celebrano i viaggi in giro per il mondo di Daniele Tamagni

Si intitola “Style is life”, inaugura oggi a Palazzo Morando e sarà possibile visitarla fino al 1° aprile. In collaborazione con il Comune di Milano, la mostra indaga il rapporto dell’artista prematuramente scomparso con l’Africa e l’America Latina, tra moda, musica e folclore

Boy with kite, Cuba, 2004 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

L’acronimo Sape in francese corrisponde a «Société des ambianceurs et des personnes élégantes». Indica il movimento di soli uomini che in Congo si fregiavano di un lusso esibito, a tratti ostentato. I tipici gentlemen, dandy afroamericani, di cui il film “Green book” (vincitore dell’Oscar nel 2019) ci ha fornito un tipico esempio. Non era tanto un modo di prendere le distanze dal resto della popolazione, anzi: rappresentava una rivalsa, un tentativo di sottolineare il processo di colonizzazione. Ecco, Daniele Tamagni ha fotografato i sapeurs, come venivano anche chiamati, nel quartiere Bacongo di Brazzaville, un lavoro che confluì nel libro Gentlemen of Bacongo, pubblicato nel 2009, una delle tante derive, delle tante forme, delle tante caratteristiche che ha assunto il suo amore viscerale nei confronti del continente africano.

La mostra che inaugura oggi, venerdì 9 febbraio, a Palazzo Morando (Milano) ha proprio a che fare con l’elogio all’Africa, ai centinaia di universi che contiene al suo interno, a cominciare dai sapeurs: la scena metal botswana, ad esempio, di cui la maggior parte di noi ignora l’esistenza, e che invece Tamagni contribuì a diffondere, nel 2012, fermandosi ospite a casa di un gruppo heavy metal, costituito dai nipoti di uno psicologo italiano, realizzatore di uno dei principali ospedali per la cura di malattie mentali del Paese. Somiglia a un film di Lanthimos, ma la verità è che andò proprio così. Le fotografie di quel periodo trascorso in Botswana sono un’ode alle borchie, alle chitarre elettriche, ai chiodi in pelle, a musicisti in posa o da soli, accattivanti, sornioni.

Willy Covary, da Gentlemen of Bacongo, 2008 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

La moda è dappertutto all’interno dei suoi lavori, imprescindibile presenza catartica, dinamica, vivace, un fiume in piena che si mischia agli intenti politici, documentaristici, quasi folkloristici delle sue opere. Delle lottatrici boliviane, le cholitas, delle vere e proprie wrestler femminili, progetto premiato dal World Press Photo, emergono soprattutto i colori accesi, fluorescenti delle loro gonne lunghe, pieghettate, sotto le quali sferrano calci violentissimi nell’arsura dei secchi paesaggi della sierra.

Anche delle compagnie giovanili delle strade di Johannesburg del 2015 ci sovvengono le tonalità variopinte degli abiti, poco più che stracci, magliette, eppure cariche di un significato che sfuggirebbe a un osservatore casuale, ma non a Daniele Tamagni, per il quale «lo stile è la vita». Da qui il titolo dell’esposizione. E che dire della settimana della moda di Dakar, in Senegal. Non riusciva a capire come mai la moda africana non suscitasse l’interesse dell’Occidente. E infatti, non rinunciò mai a tentare di divulgarla, ancora una volta piazzandosi tra i modelli e le modelle dei backstage, i laboratori, imbastendo dialoghi, confronti, amicizie.

Boy with kite, Cuba, 2004 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

Le novanta fotografie presenti, quasi tutte inedite, testimoniano la passione, l’attrazione, l’ossessione di un artista nei confronti di un luogo anche se lui aveva girato il mondo intero, e girandolo l’aveva fotografato, pubblicando poi quasi sempre il frutto di quelle peregrinazioni malinconiche, irrequiete, vitali. Aveva vissuto a Cuba. Le fotografie risalenti al periodo cubano confluiscono nel volume Global Style Battles, edito da Editions la Découverte di Parigi e da Abrams di New York nel 2015 e successivamente in Giappone da Seigensh. Passage to Rajasthan si chiama il suo reportage nella regione indiana, grazie al quale Ecopneus nel 2013 scrisse un libro sul concetto di green economy.

«Un anticonformista, un tipo eccentrico, difficile da comprendere, ma capace di trasformarsi magicamente quando, con la sua inseparabile compagna di vita, la macchina fotografica, individuava le storie più originali e inaspettate…», lo ricorda così Alessia Glaviano, a capo di Global Photovogue. Vincitore del Canon Young Photographer Awardnel 2007, dell’ICP Infinity Awardnel 2010 e del World Press Photo Award nel 2011, oggi esiste una Daniele Tamagni Foundation, istituita nel 2019 dal padre dell’artista, scomparso prematuramente all’età di quarantadue anni. La fondazione promuove soprattutto i giovani talenti che esplorano il continente africano, o che si sentono chiamati a farlo, giacché le relazioni, soprattutto quelle con i luoghi, avvengono perché sono loro a scegliere noi, a farci un cenno da lontano.

Carmen Rosa flying, from The Flying Cholitas, 2010 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

Le due edizioni del Daniele Tamagni Grant hanno finora assegnato tre borse di studio, a Fatma Fahmy, a Meseret Argaw e a Fawaz Oyedeji, iscritte al programma di fotogiornalismo e fotografia documentaria presso la scuola The Market Photo Workshop di Johannesburg, oltre ad avere istituito The Market Photo Workshop che si occupa di formare fotografi sudafricani, promuovendo l’approccio al mezzo fotografico, le tecniche, la cultura visuale all’interno di zone sociali trascurate ed emarginate.

Aïda Muluneh, curatrice della mostra insieme a Chiara Bardelli Nonino, racconta della sua esperienza in mezzo agli archivi, non avendo potuto incontrare Daniele Tamagni di persona. Si sono solo scambiati qualche messaggio. Era stato lui a contattarla, esprimendole l’interesse per il festival fotografico da lei condotto, ad Addis Abeba. «Immagino che dal primo all’ultimo viaggio in Africa abbia cercato incessantemente di ritrarre le sue mille sfaccettature», ha dichiarato. «Dal mio punto di vista, l’arte ruota attorno alla trasmissione delle nostre verità personali. Daniele si è deliberatamente concentrato su individui ai margini della società, su coloro che sfidano le norme, privilegiando l’affermazione di sé rispetto all’approvazione della società, su coloro che aprono la strada ai loro viaggi unici. A mio parere, ha scelto narrazioni strettamente allineate al suo cuore e al suo percorso di vita».

Tembisa Revolution, da Joburg Style Battles, 2012 © Daniele Tamagni/Courtesy Giordano Tamagni

 

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