L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata ormai quasi due anni fa, ha ricordato a tutta l’Europa quanto sia importante una capacità di coordinamento, organizzazione logistica e dialogo tra tutti gli Stati del continente in materia di difesa e sicurezza comune. È stata però anche una sveglia che ha ricordato quanto i Paesi europei non siano autonomi, o incapaci di armarsi senza l’aiuto e l’intervento degli Stati Uniti. Il Vecchio Continente fa affidamento sull’ombrello americano fin dall’inizio della Guerra Fredda, attraverso la Nato e non solo. La presenza di esercito, armi o anche solo della deterrenza statunitense negli ultimi decenni è stata data quasi per scontata dalle cancellerie europee.
Il 24 febbraio 2022 ha contribuito a cambiare la postura dell’Europa, in maniera non necessariamente prevedibile: l’ultima volta che gli sgherri di Vladimir Putin avevano sconfinato nel territorio di Kyjiv – annessione della Crimea nel 2014 – l’Europa aveva risposto con blande sanzioni e timidi tentativi di compromesso diplomatico, mentre perdevano credibilità aumentando la propria dipendenza dal gas russo.
Negli ultimi due, invece, i Paesi europei hanno saputo creare – con tutte le difficoltà del caso – un fronte piuttosto unito, reattivo nell’ospitare milioni di rifugiati ucraini, nel programmare una riduzione di forniture di gas russo, nell’imporre sanzioni economiche significative e restrizioni alle esportazioni di Mosca. E poi, ancora, e soprattutto, addestrando i soldati ucraini e invitando Kyjiv a entrare all’Unione europea.
In questi due anni gli Stati Uniti hanno contribuito allo stesso modo, affiancando l’Unione europea nella fornitura di aiuti economici e militari, nel coordinamento e nell’addestramento dei soldati, nel sostegno politico alla causa ucraina. Quasi sempre facendo tutto in una scala più grande. Ma con le elezioni presidenziali in programma il 5 novembre non è detto che Washington mantenga lo stesso approccio. Almeno nel caso di una nuova elezione di Donald Trump (ma forse anche in caso di una rielezione di Joe Biden).
«I leader europei devono prepararsi alla possibilità che, tra un anno, gli Stati Uniti saranno nuovamente guidati da Trump. Uno che durante la sua campagna per le primarie repubblicane ha suggerito che, se sarà rieletto, negozierà con il presidente russo Vladimir Putin per porre fine alla guerra in Ucraina “in 24 ore”, chiedendo che l’Europa rimborsi agli Stati Uniti le munizioni usate», scrive Foreign Affairs in un lungo articolo firmato da cinque autori d’eccezione – sono Arancha González Laya, ex ministra degli Esteri della Spagna, Camille Grand, ex Segretario generale aggiunto della Nato, Katarzyna Pisarska, presidente del Forum sulla sicurezza di Varsavia, Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, e Guntram Wolff, direttore del Consiglio tedesco per le relazioni estere. Nella loro lunga analisi, i cinque autori cercano di individuare uno schema d’azione europeo per non subire passivamente le conseguenze di un cambio di rotta e di valori della Casa Bianca.
La premessa da fare è che ormai tutto il mondo sa che Trump non ha una buona considerazione della Nato, cercherebbe di indebolire la cooperazione multilaterale in tutti i settori – dall’ambiente all’economia, dalla difesa a tutto il resto – e ha una visione solamente transazionale delle relazioni transatlantiche. E tutto questo, nel caso di una vittoria elettorale di Trump, sarebbe un assist per un dittatore come Putin, che non vede l’ora di mettere alla prova la solidità dell’alleanza transatlantica, magari tentando una nuova offensiva negli Stati baltici. Perché, va ricordato sempre, indipendentemente da come andrà questa guerra in Ucraina, la Russia rimarrà una sfida alla sicurezza europea anche in prospettiva futura.
«Un secondo mandato di Trump potrebbe esacerbare quell’instabilità politica che l’Europa sta già faticando a gestire», si legge ancora nell’articolo. «Allora spetta all’Europa adottare misure concrete per rafforzare la propria sicurezza e la propria economia. Anche l’Unione europea deve affrontare le debolezze istituzionali che limitano la sua politica in un mondo caratterizzato da conflitti. In breve, l’Europa deve rendere il suo futuro a prova di Trump. Il continente ha resistito ai primi quattro anni di presidenza, ma un secondo quadriennio sarà probabilmente molto più difficile da affrontare».
In un certo senso, il primo mandato presidenziale di Trump ha avuto anche risvolti positivi, per quanto sia difficile da credere. Ha insegnato, o forse costretto, l’Europa a fare da sé, a immaginare un futuro in cui non può godere dell’ombrello americano. Ma questo non vuol dire che l’Europa sia già in grado di farne a meno. Lo si può intuire tornando sull’esempio dello scenario ucraino: gli aiuti militari forniti dall’Unione europea all’Ucraina sono circa la metà di quelli statunitensi, e se Trump dovesse decidere di disimpegnarsi da quel conflitto, per l’Europa sarebbe praticamente impossibile compensare.
Il rischio posto da una Washington più isolazionista va oltre la guerra in Europa orientale. Intanto perché gli Stati Uniti non intervengono sul fronte della sicurezza e della difesa solo boots on the ground, quindi con una presenza fisica di militari e sistemi d’arma, ma anche con l’intelligence, operazioni di ricognizione, sorveglianza, trasporto aereo strategico e così via – oltre alla protezione offerta dalla deterrenza nucleare. Ma difesa e sicurezza non sono certo l’unico settore in cui la presenza degli Stati Uniti è ancora indispensabile per gli Stati europei.
Ecco allora che l’Europa ha bisogno di tutelarsi, di prevedere e anticipare eventuali conseguenze negative delle elezioni del 5 novembre. Secondo gli autori dell’analisi pubblicata su Foreign Affairs, nell’immediato «i leader europei devono se e come aumentare la produzione e l’approvvigionamento di materiale bellico per sostenere l’Ucraina», quindi la capacità di produrre munizioni e altre armi indispensabili a Kyjiv. Ma in realtà anche se non ci fossero esigenze così urgenti dell’Ucraina, l’Europa avrebbe comunque bisogno di aumentare la produzione di armi e munizioni, perché gli eserciti europei devono ripristinare e rinnovare le loro scorte per la difesa e colmare le carenze generate da due anni di guerra.
Poi ci sono gli interventi che guardano al lungo periodo: «Per garantire l’efficacia a lungo termine di questi sforzi, gli europei devono migliorare la loro pianificazione logistica e la formazione degli eserciti, potenziare l’arsenale di strumenti strategici critici, come droni e satelliti, e sviluppare migliori capacità informatiche e di trasporto aereo», si legge ancora nell’articolo.
Tutte queste operazioni richiederanno tempi lunghi. E quindi è necessario che l’Europa pianifichi in anticipo. Aspettare l’esito delle elezioni americane potrebbe essere un pericolo – anzi, forse non è nemmeno un’opzione.
Non va dimenticato che per prendere queste decisioni, e stabilire come renderle operative, l’Unione europea avrebbe bisogno che almeno al suo interno i processi decisionali siano quanto più lineari e semplici. Questo dovrebbe passare da alcune riforme istituzionali – ad esempio eliminando l’unanimità su alcune politiche di sicurezza economica in favore della maggioranza semplice, oppure l’istituzione di un comitato per la sicurezza economica composto da economisti ed esperti di sicurezza delle istituzioni Ue e degli Stati membri.
Ma forse il rischio più grande che Trump pone all’Europa riguarda i suoi valori, a partire da multilateralismo, attenzione all’ambiente, stato di diritto, democrazia.
«Con la sua retorica, Trump sminuisce questi principi agli occhi dell’opinione pubblica», scrive Foreign Affairs. «L’Europa deve iniziare a prepararsi ora per resistere alla pressione interna, preparandosi a difendere meglio lo stato di diritto nei suoi confini». Ma sarebbe utile avere una certa influenza anche sul vicinato. «L’Unione europea deve anche promuovere la democrazia tra i suoi vicini utilizzando lo strumento più efficace di cui dispone: l’allargamento dell’Unione europea. I precedenti cicli di espansione hanno dimostrato che lo stesso processo di adesione all’Unione europea conferisce all’organismo una notevole influenza per trasformare la governance e la cultura politica dei Paesi che entrano», si legge ancora nell’articolo.
Anche se Trump non dovesse vincere a novembre, l’Europa avrebbe parecchio lavoro da fare. E le elezioni del Parlamento europeo di giugno rappresentano un’opportunità in questo senso. «I partiti politici – concludono i cinque autori dell’articolo – devono discutere le scelte strategiche fondamentali e fare della difesa della democrazia e della riforma istituzionale dell’Unione europea una parte fondamentale dei loro discorsi pubblici. Il messaggio che l’Unione europea invia nella sua campagna elettorale deve essere un forte contrappunto a una retorica isolazionista e antidemocratica che potrebbe arrivare da Trump.