C’è il finocchio, la versatile verdura invernale che si mangia cruda o cotta in mille abbinamenti, e c’è il finocchietto, il suo alter ego selvatico, dal profumo intenso, prezioso per gli erboristi e per chi soffre di stomaco, ma anche ingrediente di piatti raffinati.
La pianta è la stessa, Foeniculum vulgare è il nome latino, nelle sue versioni coltivata e spontanea, ed è tanto antica quanto versatile. Originaria dell’Asia minore, si diffuse rapidamente in tutta l’area mediterranea, dove era conosciuta dagli egizi, dai greci e dagli arabi. Oggi le zone di maggior produzione del finocchio sono India, Egitto, Pakistan, Cina, Indonesia e Argentina, mentre il finocchietto selvatico, noto anche come finocchino, finocchio amaro, finocchio selvatico o semplicemente finocchietto, cresce in natura e si trova soprattutto in ambienti aridi e assolati, nei campi incolti, ai bordi di muri esposti al sole, lungo i sentieri di campagna.
Gli antichi greci lo chiamavano marathon, perché ne crescevano tantissimi nella pianura di Maratona, e anche nella versione “domestica” è una pianta che richiede poca acqua. Quello selvatico si distingue dal finocchio dell’orto perché il grumolo, cioè la parte bianca, quella che si mangia, è minima rispetto al fusto eretto e ramificato da cui si dipartono le foglie sottilissime e di color verde acceso.
Se ne usa ogni parte, in ogni stagione: i semi, che in realtà sono i frutti e concentrano la tipica e caratteristica essenza aromatica, le tenere foglie primaverili, le ombrelle di fiori gialli a fine estate.
L’elenco dei benefici del finocchietto selvatico è lunghissimo. È utile per tutti i disturbi digestivi, per problemi di colon irritabile, come epatoprotettore, ha proprietà diuretiche e antinfiammatorie, ha un effetto equilibrante sui livelli ormonali femminili, può favorire la regolarizzazione del ciclo mestruale, la secrezione lattea e prevenire il tumore al seno.
In una versione come nell’altra, risalta il suo peculiare sapore – simile a quello dell’anice, infatti contiene una significativa quantità di anetolo – che ha la proprietà di addolcire e rendere più gradevoli i sapori. Non a caso, si dice infinocchiare: offrire pezzetti di finocchio insieme al vino era il metodo usato da venditori e osti disonesti per far sembrare piacevoli bevande tendenti all’aceto.
L’unica controindicazione è la presenza, in minime quantità, dell’estragolo, sostanza definita cancerogena dall’Istituto Nazionale Ricerca Assunzione Nutrienti (Inran), ma per arrivare a concentrazioni pericolose bisogna consumare in eccesso decotti a base di semi di finocchio.
Non bisogna, però, pensare al finocchio selvatico solo come a un rimedio da erboristeria. I semi trovano impiego in pasticceria, nei liquori, come aromatizzanti per salumi come la finocchiona toscana, in molti tipi di pani, focacce e biscotti, come i finocchini del Monferrato o i taralli pugliesi. E si può anche ricavarne un pesto.
Nelle Marche i gambi di finocchio selvatico si usano nella cottura delle lumache di mare, ma anche per insaporire la salamoia delle olive. I fiori sono ottimi saltati in padella con i funghi, e sono un ingrediente indispensabile nella ricetta della porchetta tipica dell’Alto Lazio. In Sicilia, la pasta con le sarde si prepara facendo saltare in padella un mazzetto di finocchietto selvatico.
Il finocchio dell’orto, ovvero il finocchio dolce, quello che dall’autunno e per tutto l’inverno abbonda sui banchi dei supermercati e nei negozi, mantiene molte delle caratteristiche nutrizionali del finocchietto ed è ugualmente, se non ancora più versatile nel suo utilizzo in cucina.
Attenzione al sesso. Ci sono il finocchio maschio e quello femmina. La differenza sta nel già citato grumolo. Il “maschio” ha una forma molto più tondeggiante, e risulta anche più corposo, mentre la “femmina” ha una forma più allungata e fibrosa. Il primo è più adatto per essere consumato crudo, il secondo alla cottura.
Ce ne sono poi diverse varietà come il finocchio Bianco Perfezione, una varietà precoce che si trova già a fine estate, il Bianco Dolce di Firenze, il Gigante di Napoli, il Grosso di Sicilia e il finocchio di Parma. L’importante è che siano freschi, lisci e bianchi. Se risultano mollicci, o grigiastri, meglio evitare.
Di solito, pulendoli, si conserva solo la parte centrale bianca e tenera, eliminando le foglie e i gambi. Ma è un errore, e uno spreco, perché del finocchio si mangia tutto e si possono preparare piatti di ogni sorta, dagli antipasti ai secondi, leggeri e ricchi di vitamine e sali minerali. Gratinati, ma anche crudi, a fettine sottili, conditi con olio e limone, come zuppa o vellutata e perfino come dessert, contano appena trentuno calorie ogni cento grammi.