Se non siete mai stati a Sanremo durante la settimana del Festival, è difficile capire quale circo si muova dentro i palazzi, tra le vie del centro storico, in ogni centimetro quadrato di questa città. Se ci siete stati per lavoro, allora sarete sicuramente d’accordo con me: questa città e questa settimana sono un delirio cosmico. Qui «ci si conosce tutti come in un paese, sempre le stesse facce mese dopo mese, e il giorno cambia leggi e cambia governi, e passano le estati e passano gli inverni, la gente di Sanremo sopravvive sempre»: ecco, la citazione musicale, visto il contesto, l’abbiamo fatta, ma il concetto è proprio questo.
A Sanremo le persone sono quasi sempre le stesse. I novellini, quelli del primo anno, li riconosci subito: presi da un entusiasmo fanciullesco e dalla paura di perdersi qualcosa, corrono da una parte all’altra come i bambini alle giostre. I veterani, quelli che anno dopo anno timbrano il cartellino, sono quelli che salutano tutti, con sguardi tra il contento e il disperato, perché sanno che per una settimana intera non dormiranno, ma sono anche quelli che ti sanno dare le dritte giuste: su come ottenere pass e accrediti vari e su dove riuscire a scovare gli artisti per un’intervista al volo.
Ecco, vi avverto, questo è un articolo per gli addetti ai lavori. Per i giornalisti, gli operatori tv, gli inviati delle radio. E anche per le hostess e gli steward, impegnati in una delle milioni di postazioni, che le aziende di ogni genere mettono su in questi sette giorni di visibilità totale e assoluta. Da casa, guardando le storie su Instagram, probabilmente buona parte del popolo italico ci invidierà: mia sorella mi augura, ad esempio, buon divertimento ogni giorno. Come se fossi qui a fare la groupie di questo o quell’altro cantante, come se fossi una tra i pochi eletti che possono stare a Sanremo in questi giorni e saltare pure le fila, mostrando il pass di riconoscimento.
La verità è un’altra. Qui, per sette lunghissimi giorni, si abdica dalla vita, si prende il proprio corpo e lo si regala alle velleità artistiche e produttive di Amadeus, che decide quando andrai a dormire, notte dopo notte. Ecco, un inciso, una supplica: Ama, ci hai annunciato un Festival più breve… Mantieni la promessa, per favore, che non abbiamo più l’età per dormire tre ore a notte.
La mattina comincia presto, con le conferenze stampa dei vari artisti in gara, che proseguono nel pomeriggio e si alternano alle prove (lunghissime anch’esse) al teatro Ariston, dove noi, i comuni mortali ma con un pass appeso al collo, abbiamo accesso. Poi c’è la diretta tv, poi comincia il caro Fiorello e si sono fatte più o meno le quattro del mattino. Ora, ditemi voi se c’è il tempo di riuscire a far riposare le nostre povere membra? La risposta mi sembra quasi scontata.
In questi anni di esperienza (pochi per essere sinceri) qualche cosa l’ho capita. Ho provato a tentare di sopravvivere. Perché, se la prima volta che ho calcato il territorio sanremese, ho pensato, da brava e credulona giornalista enogastronomica, di riuscire a provare tutti i ristoranti tipici e qualcosa di gourmet qui nella città dei fiori, mi sono dovuta ricredere dopo sole 24 ore. Qui, cari amici e cari colleghi, non si mangia! O meglio, ci si nutre, con quello che si può. Quello che mi è stato chiaro sin da subito è che possiamo provare a metterci in forma, che, per chi come me è abituato a mangiare dalla mattina alla sera per lavoro, diventa quasi una forma di detox obbligato.
Ecco quindi un piccolo vademecum per chi è alle prime armi con il Festival di Sanremo. La prima regola è: fate colazione, sempre e comunque. In giro è pieni di caffè e bar, pronti a consolarvi con ogni genere di dolciumi e di focacce. Non disdegnate neppure i panifici, che tra pizze, pane e focacce con lo stracchino (no, non le possono chiamare di Recco per questione di denominazione e di Igp, ma sono più o meno la stessa cosa), riusciranno a calmare la vostra fame e vi terranno per la maratona di lavoro.
Approfittate sempre quando qualcuno vi offre qualcosa per strada. Qui a Sanremo è pieno di piccole e grandi aziende che girano nella città per far provare i prodotti: prendeteli, prendeteli tutti.
Se siete giornalisti, non dovrei essere io a dirvelo, ma sappiate che gli uffici stampa dovrebbero diventare i vostri migliori amici: c’è sempre qualche area sponsor o festa o aperitivo, dove c’è da bere e da mangiare, il trucco è farsi invitare e riuscire a rifocillarsi.
Il gioco è cercare di nutrirsi quando si può, perché le ore in sala stampa sono lunghissime e la macchinetta presente non può essere la vostra ancora di salvezza. Almeno, non sempre.
Se poi non siete riusciti a mettere niente sotto ai denti per tutta la giornata, vi segnalo un market che rimane aperto 24 ore su 24, si trova in corso Garibaldi 134 e dentro ci troverete di tutto: dai generi alimentari ai personaggi più o meno famosi che ruotano intorno al Festival. Evidentemente anche loro non mangiano come Dio comanda in questi giorni.
Come sono arrivata a Sanremo, per dovere di cronaca, ho chiesto al proprietario della casa che ho preso in affitto se avesse dei ristoranti da consigliarmi. Io ve li segnalo, eh, ma con un indicazione: ne ho provato solo uno e credo che gli altri rimarranno nel cassetto dei sogni di quella parte di me che avrebbe voluto fare cronaca enogastronomica. Il primo, quello che è provato, è Mare Blu: ho mangiato una frittatina di rossetti (pesci simili ai bianchetti, ma che bianchetti non sono) e il brandacujùn, piatto tipico del Ponente ligure, una variante del baccalà alla provenzale. Gli altri sono il Flipper, la Pignese e lo stellato Paolo e Barbara; come ho detto, non li ho provati, ma potete farlo voi e non mi assumo nessuna responsabilità. Lo chef toscano Daniele Ciapetti però mi ha detto che la sardeinara più buona di Sanremo si mangia a La Taverna, proprio accanto all’Ariston. L’ha detto lui, non io, però di mestiere fa lo chef, quindi dovremmo poterci fidare.
In fondo, io a Sanremo ci sono venuta per prendermi una pausa dai menu degustazione, dalle cene infinite e dai chili in più. Chissà! A fine Festival potremo fare tutti insieme la prova bilancia. Certo, se sopravvivremo. Perché sopravvivremo, vero?