Si Salvini chi puòLa sotterranee fibrillazioni della politica italiana e il tafazzismo del Terzo polo

I risultati delle elezioni europee potrebbero portare a una scomposizione del quadro politico: per motivi diversi il leader della Lega e Conte potrebbero essere i protagonisti di questo cambiamento. I riformisti rischiano di presentarsi divisi e deboli non cogliendo le opportunità di un nuovo rimescolamento

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Se tentassimo una scomposizione del puzzle dell’attuale sistema politico nazionale, spostando i tasselli a seconda non della posizione apparente ma della loro tendenza, per ora repressa, in cerca di nuove attrazioni, potremmo avviare una dinamica che può sembrare fantapolitica. Ma ci accorgeremmo che forse non è del tutto infondata. Si consideri che un sistema retto da una legge elettorale demenziale, se va a sbattere, con le europee, su una legge discutibile ma razionale come il proporzionale puro, rischia da solo la deflagrazione anche senza forze centripete che lo sospingano.

Il punto di partenza della simulazione è l’innegabile fibrillazione all’interno dei due schieramenti base. Nel centrodestra, c’è la variabile Matteo Salvini, che si gioca tutto – coltello tra i denti – sulle percentuali che lo dividono dai due alleati. Fino a ieri c’era la gara a distanza tra lui e Giorgia Meloni, con Forza Italia materasso inerte su cui scaricare qualsiasi scelta, anche le più illiberali. Ora le sparate di Antonio Tajani per un risultato di Forza Italia sopra il dieci per cento, mettono in competizione la Lega persino con un partito dato in estinzione post mortem Berlusconi, ma ora ringalluzzito dall’harakiri del Terzo Polo, che gli ha lasciato le praterie dell’elettorato moderato e bloccato l’afflusso dei riformisti.

Nel centrosinistra, persiste l’inganno progressista dei Cinquestelle, scomodissimo per un Partito democratico che rivendica fondatamente il monopolio del progressismo medesimo, e soffre la presunta concorrenza dell’avvocato del popolo ogni volta che lancia parole d’ordine imparaticce in materia di pacifismo, anti occidentalismo, anti capitalismo e strizzate d’occhio a Landini. Bagaglio ideologico che il post comunismo ha metabolizzato da tempo in cambio dell’andata al potere, ma mantiene come radici comportamentali e culturali. E anche come complesso forse di colpa.

La Schlein va benissimo, per le varie correnti Pd, per prendersi, con il compatimento di Romano Prodi, tutte le bordate, anche mediatiche, di una posizione scomoda, bersaglio di tutte le critiche a un partito che sta diventando zimbello degli intellettuali, dei commentatori, e in Aula persino di una presidente del Consiglio maramalda. Ma sotto la cenere cova un fuoco che lascia presagire incendi grossi. Sparito Goffredo Bettini dall’orizzonte (speriamo non doverlo rimpiangere), c’è pur sempre un Dario Franceschini al lavoro, e soprattutto c’è il disagio della componente riformista, ormai – dopo la fuga dei laici – coincidente con la fascia dei cattolici, vista la scarsa leadership di Stefano Bonaccini, cui la presidenza del partito ha tarpato ali già appesantite un anno fa dalla sconfitta alle primarie cosiddette vere.

Insomma, sia a destra che a sinistra il bradisismo di movimenti per ora sotterranei, lascia prevedere un post elezioni turbolento. Basteranno classifiche sgradevoli e percentuali deludenti per mettere tutto in discussione. Allungando lo sguardo sulla calda estate 2024, la novità potrebbe essere proprio la scomposizione non solo interna, ma anche nel rapporto tra i due poli. Certe alleanze forzate, certi campi larghi mai ben definiti, alla lunga stancano e il «si salvi chi può» diventa forte. Potrebbe avvenire in Parlamento, a fronte di qualche scelta difficile. Ad esempio, quella di un supplemento oneroso di manovra economica, o – dio non voglia – in preparazione del nuovo vertice europeo, qualora i numeri non fossero stabilizzanti.

E allora i protagonisti di movimento potrebbero essere proprio Salvini e Conte, il duo delle meraviglie giallo-verdi, di nuovo al proscenio. Quanto resisterà Salvini alle sirene che arrivano da grandi malumori nella società civile? Come farà a tapparsi a lungo le orecchie con gli agricoltori che ripetono in questi giorni, ai blocchi stradali, proprio le stesse invettive che lui lanciava ai bei tempi contro l’Europa? Il richiamo della foresta talvolta è irresistibile. 

Ammesso che Salvini sopravviva dentro casa leghista a un risultato negativo, è evidente che il problema si ripercuoterebbe direttamente sul Governo. Peggio ancora se il capo leghista sarà riuscito invece a salvare percentuali accettabili grazie all’apporto del generale Roberto Vannacci (e peggio ci sentiremo). Ma un po’ di resa dei conti tra il movimentismo salviniano e il gessato presidenziale di Luca Zaia ci sarà, alla fine. E se il quadro internazionale, europeo innanzitutto, darà spago a estremismi vari, il ballo di San Vito della politica italiana potrebbe essere devastante.

Quanto a Giuseppe Conte potrebbe essere, dopo il voto, in salute elettorale migliore (anche del Pd?) se continuerà a pescare nel torbido dell’opinione pubblica, dove si cumula ostilità pronta a esplodere, magari approfittando dei sempre più cupi esiti delle guerre in corso. E, se si muovono scompostamente Conte e Salvini, può venir giù tutto. Certo escono allo scoperto le finte alleanze attuali figlie della legge elettorale che ha consegnato ai più cinici l’alibi di far finta che esista un centrodestra anziché un destra centro, che alla lunga non corrisponde neppure agli spiriti profondi dell’elettorato italiano.

Prima di augurarsi in modo suicida che alla fine si rafforzi Giorgia Meloni come male minore (tanti ahinoi la pensano così) c’è da augurarsi che come tutti i rivolgimenti l’esito non sia proprio scontato e qualcosa di buono ne scaturisca. Che bello sarebbe se esistesse una via d’uscita! Già, perché in tutto questo ragionamento fantapolitico che abbiamo fatto, manca un convitato scomparso dall’orizzonte della politica per trasferirsi nell’ambito totale del personalismo. Si, ci riferiamo al Terzo polo. Ne ricordate l’esistenza? Do you remember? Talvolta il destino è cinico e baro e può ben avvenire che tre-quattro soggetti di quell’area arrivino – nella notte del 9 giugno – a contare i voti che mancano al quattro per cento. Una serie di 3,9 per cento sarebbe il colmo, l’apoteosi del tafazzismo. C’è ancora tempo per pensarci o ripensarci?

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